Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

mercoledì 24 aprile 2019

#25aprile I martiri della mia terra

Contadini, operai, studenti, impiegati, soldati semplici o ufficiali, alpini, marinai, paracadutisti, donne, quasi sempre giovanissime. Tutti loro, con idee politiche diverse, religiosi oppure no, intellettuali o semianalfabeti, sono quelli davanti ai quali dobbiamo inchinarci ogni giorno, quelli i cui nomi sono incisi sulle tante lapidi che costellano anche questo nostro territorio.
Le nostre colline, così belle e rigogliose, hanno visto atrocità impronunciabili, crimini efferati, torture contro degli innocenti, hanno visto soprattutto, nei mesi tra l'8 settembre 1943 e l'aprile 1945, fiorire l'orgoglio di chi non accettava l'idea di un'Italia preda di uno straniero sterminatore, di chi non sopportava più una dittatura lunga vent'anni che aveva portato lutti e disonore all'Italia.
Lo raccontano con semplicità le lettere spedite ai loro cari prima della fucilazione: non parlano di odio, ma di orgoglio patriota, di speranza di libertà, di democrazia.
Sono morti per dare noi quella libertà che oggi più di qualcuno sembra disprezzare prendendo a calci la storia, tentando di infangare una delle pagine più belle e luminose della breve vita dell'Italia unita.
Erano tutti santi? Certamente no. Qualcuno di loro ha commesso errori gravi? Certo che sì. 
Hanno dato il proprio sangue per noi? Sì e mille volte sì, consapevoli che il loro sacrificio sarebbe servito a chi sarebbe venuto dopo di loro.
Domani saranno 74 anni da quel 25 aprile di speranza: questa sera una staffetta partigiana vicentina ha riaffermato con orgoglio di essere felice di averlo fatto, rammaricandosi solo che per troppi italiani quella libertà ha significato "non pagare le tasse" e quindi vivere sulle spalle di tutti gli altri.
Ha ragione, la staffetta Wally, ma tutto questo non può sminuire la sua fierezza per aver contribuito a più di settant'anni di pace e democrazia.

Anche quest'anno, grazie all'ANPI di Conegliano e di San Vendemiano, al Corpo Volontari della Libertà di Treviso, ad alpini e paracadutisti in congedo, all'assessore Floriano Zambon in rappresentanza della città di Conegliano e ai cittadini che hanno partecipato, sono state deposte corone in tanti luoghi simbolo della Resistenza e del sacrificio dei martiri della nostra zona.
Quello che segue è l'elenco dei cippi visitati oggi, dei martiri cui abbiamo reso omaggio: in fondo a noi sono state sufficienti alcune ore del pomeriggio, a chi legge qualche minuto, loro hanno dato la vita per noi.
Nel Cimitero di San Giuseppe di Conegliano riposa Pino Lazzarin, il primo partigiano coneglianese caduto, una lapide sul muro esterno del camposanto lo ricorda insieme ad altri sette caduti: Liberato Provato, Giovanni Pezza, Giovanni Campardo, Claudio Ceschin, Beniamino Petrovich, Leopoldo Camillo, Ivo Pozzi.

Il muro esterno dell'ex Caserma San Marco, oggi sede della Guardia di Finanza, ricorda con due lapidi il Colonnello Mario Romagnoli, caduto a Cefalonia, e il Colonnello Eugenio Passerelli, internato militare morto in un lager tedesco.
 

A Susegana, sul muro del vecchio municipio troviamo il nome di Giovanni Morandin "Barba", morto a 20 anni per l'onore d'Italia, appartenente alla Brigata Piave.
A S. Lucia di Piave lo stadio comunale si chiama "25 aprile" ed è dedicato a tre partigiani trucidati dai nazifascisti, Alfredo Cenedese, Ado Cuzziol
e Aldo Donadon.
Lungo la riva del Piave furono ammazzati quattro dei partigiani ricordati sul muro del cimitero di Conegliano, là dove tanti altri giovani erano morti vent'anni prima, vittime della follia di una guerra che cancellò un'intera generazione.
Il piccolo cimitero di Collalto custodisce i resti di Sergio Bertazzoni, Capitano Maggiore paracadutista. Apparteneva a quelle truppe
italiane che si erano unite agli alleati contro i tedeschi e, insieme a tanti altri, preferì immolare la propria vita per salvare un intero paese, Filottrano (Ancona), dal bombardamento.
È davvero incredibile dover morire in uno dei luoghi più belli e suggestivi delle nostre colline: a Refrontolo, in una conca immersa nella campagna furono trucidati i Conti Agosti, due fratelli che avrebbero potuto condurre una vita ben diversa, ma scelsero di lottare per la libertà di tutti. Insieme a Claudio Dal Bo e Gianni De Polo, Gino e Giuseppe Agosti furono massacrati dai nazifascisti che, non paghi di averli uccisi, infierirono sui loro corpi al punto dal renderli irriconoscibili. 
Alla loro mamma fu impedito di vedere lo scempio, a un altro partigiano, Berto Lorenzoni, fu dato l'onere del riconoscimento.
Poco più in su, quasi nascosta e lungo una strada trafficata, perse la vita Rino Collodel il 27 aprile 1945, due giorni dopo la Liberazione.
Di Pietro Maset (Maso) medaglia d'oro al valor militare, capitano degli alpini e caduto della Brigata Osoppo si sa molto e Conegliano, oltre ad onorarne la tomba e avergli dedicato una via, gli ha intitolato la scuola della sua frazione, quella Scomigo immersa nella bellezza delle colline.
 
Un'altra frazione di Conegliano, proprio di fronte a Scomigo, conserva  un altro cippo, l'ultimo a cui oggi abbiamo reso omaggio: a Ogliano altri cinque martiri furono trucidati: Guido Boscarato, Bruno Centazzo, Giovanni Da Re, Felice De Martin, Domenico Salvador.

Ho voluto riportare tutti i nomi per stringerli tutti insieme nel nostro ricordo e nel nostro omaggio, pensando a ciò che hanno saputo fare, dare, sperare, immaginare. Poco lontano, nella torre del castello che sovrasta Conegliano, dove oggi i giardini ci offrono pace e tranquillità, i repubblichini torturavano e massacravano partigiani, civili, lavoratori, chiunque per qualunque motivo potesse essere identificato come antifascista.
Quel luogo era identificato come il castello delle urla strazianti, solitario sopra la città.
Oggi Conegliano è libera e prospera, sono liberi anche coloro che si dimenticano del valore della libertà, anche quelli che vorrebbero toglierla a tutti noi. Non passeranno: quella torre deve rimanere alta e bella anche per ricordarci la sofferenza di quei giorni lontani, che non devono tornare.
Scriveva Giacomo Ulivi, 19 anni, fucilato il 10 novembre 1944: Come vorremmo vivere, domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere!
A noi tutti il compito, la responsabilità di mantenere e migliorare la nostra democrazia, salvaguardare la libertà, far crescere le generazioni future nella consapevolezza che questa parola bellissima, libertà, non è per sempre: va coltivata, preservata, nutrita.
Viva il 25 aprile, Viva la Resistenza, Viva l'Italia democratica!






2 commenti:

  1. C'è un errore madornale, nella lapide di Santa lucia di Piave c'è anche il nome di mio pro-zio Alfredo cenedese che non fú trucidato dai Nazifascisti!!! Sopravvisse alla guerra e morì nel 1948 a causa della Tbc

    RispondiElimina
  2. Informarsi prima per favore!!! Mia nonna è rimasta scioccata dalla vostra affermazione "Trucidati" nonché sua sorella....

    RispondiElimina