Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

mercoledì 30 agosto 2017

Il cipresso monumentale in pericolo? #Conegliano

Da sempre è chiamato "la sentinella di Piazza Duca d'Aosta, è l'albero più antico di Conegliano, inserito nell'elenco degli alberi monumentali della Regione Veneto.
È un cipresso splendido, o meglio era...
Da mesi passando per la Piazza si poteva notare che diversi rami della chioma superiore si stavano seccando, ma in questo ultimo scampolo di estate lo spettacolo che si presenta è davvero triste e preoccupante.
Più volte, da non esperta della materia, ho chiesto all'Amministrazione di adoperarsi per un monitoraggio serio dei grandi alberi cittadini, affinché si possa mettere in campo un progetto di salvaguardia del nostro patrimonio arboreo, ma le risposte che ho ricevuto sono sempre state, a dir poco, evasive. 
Fin ad ora abbiamo solo visto il taglio di tanti alberi, il reimpianto di alcuni, tra l'altro con la triste problematica dei piccoli cipressi del viale del cimitero, tutti secchi.
Ora il grande, plurisecolare e bellissimo cipresso di Piazza Duca d'Aosta offre un triste spettacolo: ho chiesto all'Amministrazione se, per caso, se ne sia già occupata, se ci siano già azioni in atto per curarlo, salvarlo, se vada tutto bene così (ma non credo).
Ancora una volta ripetiamo che il patrimonio arboreo è un tesoro da accudire con cura e dedizione: gli alberi sono nostri grandi amici e, in qualche caso, rappresentano anche la nostra storia più bella.

P.S. La foto, a causa della luce, non rende il colore marrone bruciato dei rami superiori dell'albero, di seguito il testo dell'interpellanza.


Conegliano, 31/08/2017


Oggetto: interpellanza sullo stato di salute del cipresso monumentale di Piazza Duca d'Aosta

PREMESSO CHE

La Legge 10 del 14/01/2013, all'art. 7 precisa che per «albero monumentale» si intendono:
a) l'albero ad alto fusto isolato o facente parte di formazioni boschive naturali o artificiali ovunque ubicate ovvero l'albero secolare tipico, che possono essere considerati come rari esempi di maestosita' e longevita', per eta' o dimensioni, o di particolare pregio naturalistico, per rarita' botanica e peculiarita' della specie, ovvero che recano un preciso riferimento ad eventi o memorie rilevanti dal punto di vista storico, culturale, documentario o delle tradizioni locali;
b) i filari e le alberate di particolare pregio paesaggistico, monumentale, storico e culturale, ivi compresi quelli inseriti nei centri urbani;
c) gli alberi ad alto fusto inseriti in particolari complessi architettonici di importanza storica e culturale, quali ad esempio ville, monasteri, chiese, orti botanici e residenze storiche private.

CONSIDERATO CHE
  • Il cipresso plurisecolare di Piazza Duca d'Aosta, che insiste nell'area dell'ex convento di S. Antonio Abate, è stato inserito nell'elenco degli alberi monumentali della Regione Veneto ed è l'albero più antico della nostra città;
  • Ormai da qualche mese risultava evidente il progressivo rinsecchimento degli strati superiori della chioma dell'albero;
  • Che ora buona parte dell'albero mostra rami e foglie del tutto secchi e che una parte della sua maestosa copertura è scomparsa;
  • L'albero è posizionato in proprietà privata ma è patrimonio dell'intera comunità;
  • Più volte in sede di Consiglio Comunale è stato chiesto un intervento di monitoraggio sulla salute dei grandi alberi di Conegliano.
Il sottoscritto consigliere CHIEDE:
  • Se questa Amministrazione abbia già provveduto a richiedere o predisporre analisi del caso per comprendere le cause dello stato di sofferenza dell'albero e decidere le eventuali azioni volte a salvaguardarlo.
  • Che cosa la stessa Amministrazione intenda fare per tutelare la salute del cipresso di Piazza Duca d'Aosta e degli altri grandi alberi cittadini

domenica 27 agosto 2017

Più di mille chilometri... la Calabria che si fa amare

Chissà se il giornalista del New York Times ha visto i miei stessi posti...

C'è un luogo, ce ne sono tantissimi in realtà, in cui la proprietà privata è talmente sacra che una cagnetta priva di pedigree ha il suo regno in un recinto di 40 mq proprietà di 10 persone diverse: lei fa la guardia per conto di tutti...
Reti sacre e inviolabili quelle che dividono un orto da un recinto, un magazzino da una scala, una casa dal cortile comune; tutto è frutto di secoli di precarietà, del lento scorrere del tempo, della caparbia volontà di possedere qualcosa da lasciare a chi verrà dopo. A ben vedere si tratta di storie comuni alle genti di montagna, solo che qui si tratta di una montagna più lontana, è la Calabria ad essere lontana, lontana e complicata, anche se ora una rete di ottime strade l'ha avvicinata a se stessa e a noi.
Fra le tante contraddizioni di questo nostro bellissimo Paese questa regione spicca per contrasti: mesi di siccità e acqua che scorre ovunque, incendi e squisiti porcini serviti fra boschi verdissimi, lo sviluppo costiero più grande insieme a una cucina sostanzialmente di montagna,
due foreste (Sila e Aspromonte) a tratti davvero fitte e misteriose e due mari di due diversi intensi colori, storie di orrori e di calabresi perdutamente innamorati della loro terra, tesori archeologici da far girare la testa e l'insana mania di abbandonare ovunque i rifiuti, il lungomare di Reggio Calabria e le buche nelle strade, l'ostinata e ignorante rassegnazione all'ineluttabilità del brutto e della corruzione e l'orgoglio invincibile di chi si ostina a crederci e anzi pensa che sia giunta l'ora di scrollarsi di dosso ciò che non va e guardare avanti dandosi da fare.
Qualcuno ha scritto che la gente di montagna si somiglia un po' ovunque ed è vero: caparbietà e conoscenza del sacrificio sono nel DNA di chi per vivere deve per forza salire e scendere continuamente.
La passione per l'arrampicata di Pierluigi è preziosa: con il nostro amico ospite Gennaro abbiamo raggiunto Mendicino (CS), dove, guarda un po', la palestra di roccia è oltre un ponticello su un torrente che hanno chiamato Acheronte (sic!). C'è una caverna trasformata, chissà quando, in ovile o
riparo e poi abbandonata. Lì intorno lo spettacolo è insieme affascinante e desolante, ma poi scopriamo che esiste un gruppo di eroi che si è messo in testa di ripulire e sistemare tutto. A capo c'è quello più matto di tutti, Francesco, speleologo, naturalista, guida ambientale e chissà cos'altro: non contento di far conoscere a tutti quelli che incontra la bellezza del monte Cocuzzo, vuole che Mendicino diventi un albergo diffuso e ci ha trascinati, mentre calava la sera, nel magico intrico di stradine di un paese fatato. Nel paese le stradine si inerpicano costeggiando case e palazzi, chiese e una sorta di castello con una vista mozzafiato sulla valle. Lui e sua moglie Lucia, entusiasta come lui, sono la punta di diamante di chi vuole trasformare le difficoltà in opportunità: di sicuro Mendicino fra un paio d'anni sarà la meta di un turismo nuovo, curioso anche di sapere come sono arrivate fin qui dal Veneto le macchine per lavorare la seta che mpreziosiscono il piccolo museo sulle filande.

Quella che si chiamava A3 e oggi A2, che è passata da "Salerno - Reggio Calabria" ad "Autostrada del Mediterraneo" è un lunghissimo nastro d'asfalto che si snoda fra viadotti mozzafiato e gallerie che bucano le tante montagne della parte terminale della penisola. La cosa bella è che è gratuita, e per fortuna, permette ai calabresi e anche a noi turisti di raggiungere i tantissimi borghi in modo semplice. Chi di voi avrebbe mai visto Grimaldi, un paesino della valle del Savuto, con un passato glorioso e un presente abbarbicato alle proprie incrollabili tradizioni, oppure Altilia, che meriterebbe molto di più? A tre uscite dopo Cosenza la strada si inerpica e appaiono palazzi con portali in pietra scolpita accanto a case con porte talmente basse e strette che ci si domanda chi, se non gli animali, potesse passare da simili pertugi.
Viene da pensare che la gente, da queste parti, ha vissuto un Medioevo troppo lungo, costretta a vivere come noi oggi non immagineremmo mai, se non nei luoghi più sperduti del pianeta. A Grimaldi c'è tutto: pane, frutta, una macelleria che vende solo carne locale, qualche bar e pizzeria, il mercato del sabato, perfino qualche festa in piazza e un ristorante di Antichi sapori (I sapuri de 'Na Vota) che Biagio e sua moglie Maria gestiscono con garbo e gusto (buono davvero). Gironzolando da queste parti ho forse capito perché quasi tutti viaggiano a non più di 40 km/h: devono vedere bene chi passa e fermarsi a scambiarsi un saluto, anche solo un "Tutto a posto?" che dice tutto sulla capacità, ancora, di mantenere rapporti umani fra le persone.

Quando il Mediterraneo era il centro del mondo da qui sono passati tutti, dai Fenici ai Greci ai Romani, ai Normanni, ai Saraceni: ciascuno ha lasciato qualcosa, almeno una leggenda.
Anche il grande condottiero Annibale il Cartaginese si fece un giretto da queste parti, un tunisino ante litteram che cercò di contrastare la supremazia romana; sappiamo tutti come andò a finire ma un ponte sul Savuto edificato da Roma circa 80 anni dopo il suo passaggio prese, nella leggenda popolare, il suo nome e ancora oggi il ponte romano sul Savuto di Scigliano è per tutti il "Ponte di Annibale" o, nella vulgata cristiana, il ponte di Sant'Angelo. Un luogo di suggestiva e antica bellezza, nascosto ai più così da rimanere pressoché integro insieme all'ambiente che lo circonda, chiesetta distrutta a parte.

Le strade che portano in Sila il giorno di Ferragosto sono prese d'assalto: tutti ci vanno, quelli che vivono qui tutto l'anno e quelli che lavorano lontano ma in estate tornano a casa, ad andarci di meno sono i turisti mancanti di guide locali personalizzate: cara Regione Calabria, è ora che tu faccia qualcosa di più per aiutare noi forestieri a conoscere meglio questo territorio e i suoi tesori...
Noi siamo stati fortunati: prima di essere sommersi dal cibo del pranzo ferragostano abbiamo potuto fermarci in uno di quei luoghi che se fossero in Francia o in Germania avrebbero la coda tutto l'anno. Gioacchino da Fiore ha lasciato tanti segni nella sua Calabria e la basilica di Corazzo a Castagna di Carlopoli fu uno di questi. Oggi ne rimangono i ruderi, con ben riconoscibili le destinazioni delle varie parti di quello che fu un grande centro di culto benedettino nell'XI secolo, un incanto, un luogo che ispira pace e dolcezza, che invita a pensare e riandare indietro nei secoli.

Talmente bello da guardare con solo un lievissimo senso di stizza i fiori e l'alberello di Natale di plastica incastonati sotto una improbabile Madonnina nell'abside: nulla contro la devozione, ci mancherebbe, ma la plastica (brutta) in un manufatto di 900 anni fa è davvero eccessivo. Anche qui l'uomo contemporaneo ha purtroppo evitato di astenersi dall'intervenire, ma tant'è, per fortuna quegli orpelli si possono facilmente rimuovere, basta volerlo.

C'è poco da fare: Pierluigi ha bisogno di arrampicare altrimenti sta male e così eccoci in un'altra meraviglia. Stilo è un paesino di montagna addossato alla lunga falesia del monte Consolino. Piccolo e curato meriterebbe una sosta più lunga. È stato sufficiente parcheggiare accanto al cimitero per raggiungere le vie di arrampicata sportiva per scoprire che il piccolo camposanto, costruito a gradoni per sfruttare in altezza la montagna, è stato ricavato in un antico monastero francescano del XIV secolo. Sono sufficienti le vecchie pietre a lasciare stupefatti.

Dell'Aspromonte e delle sue meraviglie ho già parlato in un altro post, non mi rimane che l'ultima puntata. Tutto questo lunghissimo viaggio, dal Veneto fin quaggiù, aveva come scopo finale Reggio Calabria, il famoso "chilometro più bello d'Italia" e loro...
Lo stretto di Messina è un braccio di mare di raro fascino e guardare la grande città siciliana dalla spiaggia di Reggio mette un brivido, la nostra civiltà, ciò che siamo davvero nel profondo è passato di qui; l'Etna, laggiù in fondo, ci rammenta che è la natura ad avere l'ultima parola, sempre, anche quando crediamo di essere più forti, più furbi.
Menti sapienti e lungimiranti hanno saputo piantare qui intorno non solo palme, ma una serie di ficus magnolioides imponenti, in grado di dare ancora più maestosità ad un paesaggio davvero unico: loro non hanno potuto vederli crescere, li hanno regalati al futuro. Sta a noi preservare tanta bellezza.

L'ultimo ricordo riguarda loro, la meta del viaggio, inseriti nel rinnovato Museo Archeologico di Reggio Calabria con nuove sale, un allestimento degno del grande e stupendo numero di reperti soprattutto della Magna Grecia, quando il Mediterraneo sapeva insegnare al mondo che sarebbe venuto, lasciandoci testimonianze di forza, grazia, bellezza.
Costa poco, l'ingresso in un museo come questo, dove si respira la storia tutta intera e tutta in una volta, costa ancora meno quando, alla fine, si entra nella loro sala.
I Bronzi di Riace non sono descrivibili, le fotografie e le parole scritte non riescono a dare l'emozione che solo la perfezione è in grado di trasmettere. Quante volte al liceo i professori hanno parlato dell'ideale greco di bontà e bellezza, dell'uomo, dell'eroe kalos kai agathòs.
Eccolo qui davanti a me, quell'ideale, quello che Omero ci ha raccontato, quello che abbiamo accarezzato con la fantasia, quello che ciascun amante del bello, della nostra cultura e del suo significato tutto sommato ricerca.
Senza parole, con la pelle d'oca e un briciolo di commozione: i 20 minuti concessi per guardarli trascorrono mentre cerchiamo di fissare nella mente i muscoli, i capelli, le mani, i piedi e lo sguardo dei misteriosi modelli antichi.
C'è poco da fare: la Grecia rimarrà sempre nostra madre.
Venite in Calabria, dove ad ogni angolo trovate le vestigia della storia, anche quella che non ci piace, ma soprattutto il perché della nostra ricerca del bello.

Grazie, davvero di cuore, a chi ha accompagnato me e Pierluigi: Gennaro Pagnotta con Marco e Valerio, Enzo Ciconte con Adriana nel loro splendido rifugio a picco sul mare, Francesco La Carbonara con Lucia e il loro entusiasmo per Mendicino, Giuseppe e Demetrio, guide dell'Aspromonte.

domenica 20 agosto 2017

Aspromonte: le Alpi incastrate nel blu


Nei disegni imperscrutabili della natura, o più probabilmente casualmente fortunati, tra ficus monumentali e fichi d'India a perdita d'occhio occorreva qualcosa che avvicinasse dolcemente l'Africa all'Europa, una terra buona per gli approdi di Fenici e Greci nel loro peregrinare mediterraneo, misteriosa e affascinante.
Ve lo immaginate il Tirreno che finisce poco sotto Sorrento? Niente Golfo di Policastro e il Pollino sbattuto dalle onde e dai venti. Come avrebbe fatto Ulisse ad approdare nei suoi viaggi? Niente Odissea, nessuna terra intermedia...
Invece no: nella sua tumultuosa evoluzione la Terra ha lasciato andare un enorme pezzettone, quasi 800 chilometri di costa che si sono incastrati proprio lì dove ce n'era bisogno, appiccicandosi con clamore sotto il Pollino e donando alla nostra Penisola la forma finale che tanto amiamo, quella riconoscibile subito in ogni planisfero.
Questa, in sostanza, è la Calabria, una terra alpina in mezzo al Mediterraneo, ancora stupita di essere qui, con un mare superbo che non si capacita della stranezza.
Capita che da queste parti si mangi il pesce spada e per dessert dolci secchi con miele e noci.
Capita che a picco sul mare svettino montagne di conifere.
Capita che sopra distese di fichi d'India arsi dal sole inizi una foresta di faggi, pini di ogni tipo, con le radure impreziosite da cespugli di ginepro.
Capita, soprattutto, di fare incontri inaspettati.
Questa è una regione difficile, diciamolo pure anche perché è risaputo, con grandissime contraddizioni, bellezze assolute e brutture inaccettabili.
Chi potrà aiutare la grande bellezza, il patrimonio culturale, paesaggistico, naturale della Calabria, se non i suoi figli più giovani, quelli testardi e innamorati?
Ne abbiamo incontrati, fra gli altri, due speciali, decisi a instillare in ciascuna delle persone che incontrano nel loro lavoro il desiderio di conoscere, sapere di più.
Giuseppe e Demetrio ci hanno accompagnati per un'intera giornata in Aspromonte: con la scusa del bird-watching abbiamo girato in lungo e in largo una porzione di foresta che chiamare stupefacente è ancora poco.
Decine di migliaia di uccelli migratori passano di qui nei loro lunghissimi viaggi, a volte si fanno vedere ed altre rimangono acquattati in attesa che i binocoli se ne vadano, ma lo spettacolo è comunque assicurato: falchi pecchiaioli si contendono il cielo con l'aquila reale, stormi di gruccioni lanciano il loro verso, il picchio nero si crea sapientemente il nido e la dispensa, le cicogne passano in gruppo.
Giuseppe trova i segni del passaggio delle lepri, delle capre, dei cinghiali e dei maiali inselvatichiti, Demetrio sa dove sciare d'inverno guardando il mare, conosce ogni anfratto adatto per l'avventura.
Da quassù si può guardare il Tirreno e poco dopo lo Ionio, mentre sulla costa si brucia col sole, qui la brezza e l'ombra ci danno refrigerio.
Reggio Calabria, andata e ritorno in Aspromonte, tristemente famoso per il male, ma che può e deve riscattarsi mostrando il meglio di sé, ovvero una biodiversità unica, l'alternarsi di pianori, montagne, orti, ulivi e faggi, conifere, sentieri fra pigne, resina e aghi di pino.
L'Aspromonte? Un luogo tutto da scoprire, grazie soprattutto alla passione dei professionisti del Parco Nazionale.
Ancora grazie a Giuseppe e Demetrio, guide instancabili e davvero uniche.
Alla prossima

domenica 13 agosto 2017

Calabria: il rosso nel cortile

Pare che nulla debba accadere, forse davvero quasi niente turba le ore che si susseguono le une alle altre apparentemente invariabili, se non per la luce o il succedersi delle stagioni.
Il cortile è silenzioso, lindo e apparentemente senza vita.
Siamo giunti in un caldissimo pomeriggio d'estate, con l'aria resa meno respirabile dagli incendi sulle montagne qui intorno.
Strano davvero, pare che debbano accendersi per forza, se non ce ne sono la gente guarda in su incredula: "Ma come, e l'incendio delle 9? E quello delle 15? Possibile che siano in ritardo? Ah, non ci sono più gli incendi di una volta...".
Purtroppo c'è poco da scherzare e ogni mattina gli abitanti dei borghi si affannano a scopare e lavare i cortili e le strade dalla cenere che si deposita ovunque, chissà quando finirà questo strazio.
Il cortile, mercoledì pomeriggio, era silenzioso e identico a come l'avevamo lasciato 4 anni fa, compresi il cane e un micio davvero pelosissimo e schivo come gli uomini di queste parti.
Muri, porte di varie dimensioni e finestrelle, una volta imparata la geografia tutto va al proprio posto.
Ieri mattina, invece, un'improvvisa animazione: voci maschili e femminili, il cane che gironzola più agitato, il gatto scomparso e una serie di cassette rosseggianti che si sono accatastate davanti alla porta d'ingresso dei vicini. Nessun incendio, la sera prima, e il pavimento è rimasto lindo e sgombro, pronto ad accogliere la grande giornata; donne materializzate da chissà dove, uno spirito ciarliero prima insospettato, perfino l'uomo di casa che parla incessantemente.
Miracoli della passata di pomodoro, stamattina ne rimane ancora da fare mentre parte delle bottiglie riempite e sterilizzate ieri sono esposte in bella mostra: il prossimo inverno pastasciutte e spezzatini avranno il loro intingolo.
Ancora qualche ora di lavoro, oggi, e poi il cortile potrà tornare al consueto silenzio, speriamo che finiscano anche gli incendi.
Al rosso del fuoco ora preferisco di gran lunga quello del pomodoro.                   

giovedì 10 agosto 2017

Ciao, L'Aquila

A guardarla così, per la prima (colpevole) volta in vita mia, non sembra per niente un rapace, piuttosto un animale maestoso e ferito.
Confessando la mia ignoranza non sapevo che L'Aquila fosse così bella, così maestosa, così ricca, maestosa, affascinante, commovente.
Non sapevo nemmeno che il suo territorio comunale fosse così vasto e ricco di borghi
Assergi - San Franco
suggestivi, aggrappati con le unghie alla montagna, anch'essi feriti dalla furia della terra accompagnata dall'insipienza di chi per anni ha costruito senza criterio: una storia comune a tanta parte del nostro territorio nazionale.
San Franco - Il rosone
L'istinto sarebbe stato quello di fotografare tutto, ma non sarebbe stato giusto: non sono una reporter e nemmeno una giornalista e poi mi parrebbe inverecondo insistere sulle ferite.
La ricostruzione è sicuramente lenta, in ritardo, sono ancora evidenti i tanti palazzi sventrati, le crepe che rendono pericolanti infissi e solai, ma là dove si è intervenuti colpiscono la sapienza con cui si è lavorato, la perseveranza nel ridare nobiltà e cura dei particolari ai palazzi maestosi del centro cittadino.
Ci siamo arrivati verso il tramonto e l'odore inconfondibile che si sentiva lungo il corso era quello dell'intonaco, della malta fresca: quintali e quintali che ci hanno fatto ben sperare.
L'Aquila, Piazza >>Duomo
Collemaggio
Gente splendida, da queste parti, accogliente e non intrigante, disposta al sorriso e cosciente che il forestiero è merce preziosa, che aiuterà un intero territorio a rinascere, così come accade davanti alla bellezza immensa della basilica di Collemaggio: nel grande prato davanti, chiamato Parco del Sole, c'era chi faceva jogging, chi chiacchierava e soprattutto bimbi e ragazzi che giocavano a pallone: come sempre fondamentale è proprio ricostruire il tessuto sociale, insieme a quello urbano, ridare speranza al futuro.
C'è ancora tanto da fare, di sicuro tante cose non vanno, chi vive qui conosce mancanze e difetti, ma chi arriva da fuori può solo restare stupito dalla bellezza, dalla lunghissima storia, dal pervicace attaccamento al futuro

Collemaggio - Il Portale

Fontana delle 99 cannelle
Sarò un'inguaribile ottimista, ma credo che fra qualche anno tornerò a L'Aquila e la troverò ancora più bella di prima, in cui il profumo dei fiori avrà superato quello dell'operosa edilizia.
Ciao L'Aquila, torna a volare maestosa.
Paganica - Affresco rupestre

martedì 8 agosto 2017

La luna è partita da qui #Gransasso

La luna si è fermata qui, prima di rimbalzare e lanciarsi nella sua orbita sempiterna intorno a noi. Avvallamenti, rocce affioranti, da qualche parte anche una sorta di "mare della solitudine", dove a fare compagnia c'è soltanto il vento, che soffia senza sosta.
Fiori rosa di cardi spinosi, piccoli cespugli gialli in mezzo all'erba che fatica a crescere e si limita a tremare per l'aria che la sferza.
I fiori danno certezza: siamo sulla Terra, una
terra speciale però. I monti qui intorno, coi loro ghiaioni a strati ondulati e le pieghe, le rughe provocate dai millenni, stanno rispettosamente a ornamento (mille sono le sfumature del grigio e del marrone) di sua maestà, il Gran Sasso d'Italia.
Incredibile, un alieno dolomitico piovuto da queste parti oppure uscito dalle viscere di una terra in ebollizione: non c'era più posto fra le Dolomiti, lì era necessario lasciare il posto alle vallate del Tirolo, ai boschi del Cadore, ai grassi pascoli di montagna; meglio posizionarlo qui, fra due mari vicini, coi suoi quasi 3000 metri a dominare un intero territorio che si volge a guardarlo, imponente e maestoso.
A guardare l'altopiano di Campo Imperatore dall'alto si scopre un luogo di incredibile bellezza solitaria, in cui lo storico hotel spicca per la sua assurdità, sbrecciato come la Storia che lo ha reso famoso, con un'aria d'altri tempi, per fortuna andati, anche se hanno lasciato troppe cicatrici.
Ci consola la bellezza di un panorama mozzafiato che scaccia i brutti pensieri, un rifugio, il Duca degli Abruzzi, appollaiato e accogliente come deve essere un vero rifugio di montagna.
Mentre guardo commossa, qui dall'alto, la vallata ferita dove c'è L'Aquila che sta risorgendo e sarà ancora più bella di prima, il vento si alza impetuoso, le due piccole bandiere davanti a me sventolano fortissime, i miei bastoncini cadono e
per poco vola via il libro che ho qui accanto al PC.
Pierluigi ha già conquistato la cima del Gran Sasso: meglio entrare al rifugio, il profumo del cibo e delle torte è troppo attraente.
Sotto di noi, nelle viscere della montagna, gli scienziati studiano le particelle anche per noi, i comuni mortali con il naso all'insù.

sabato 5 agosto 2017

Tutta colpa delle ferie? #Conegliano #idee

Tutta colpa delle ferie?
Le linee di mandato del Sindaco a pagina 30 ci dicono che l'ex Caserma Marras dovrà diventare la sede della Biblioteca, ma nel frattempo si pensa di sistemare il tetto, per il resto vedremo, mentre a pagina 31 si afferma che l'Amministrazione valuterà la possibilità di dare alla biblioteca una sede più ampia e adeguata.
Come dire che la biblioteca rimarrà dov'è per i prossimi dieci anni almeno.
Apprendiamo però che all'improvviso si è aperta la possibilità di acquisire l'immobile ex Veneto Banca, fra Corso Mazzini e via XX Settembre, ma la Giunta ha pensato di non avvalersi del diritto di prelazione.
L'assessore Brugioni ha dato alla stampa 3 motivazioni: mancanza della posta in bilancio, diffcoltà di convocare il consiglio comunale in agosto e mancanza di idee.
La terza opzione ci pare più probabile, tanto per cambiare.
Visti i tempi non pensiamo che ci sarà la fila per acquisire un immobile che, fra l'altro, rappresenta un pezzo di storia recente di Conegliano, che rischia di diventare uno dei troppi luoghi abbandonati del centro cittadino e che sarebbe invece una bellissima sede per la biblioteca, magari anche con una sala per esposizioni. 
Ci sentiamo di dare un consiglio alla Giunta: appena passa la calura che non permette di pensare, si potrebbe prendere nuovamente contatto con chi di dovere, magari una soluzione si trova. Non che sia una passeggiata, per un Comune, un'operazione del genere, ma provare, con energia e autorevolezza, a prendere la palla al balzo, sarebbe una grande opportunità per la nostra città. Quando ci ricapita?