Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

giovedì 19 marzo 2020

I numeri anti-violenza sono attivi anche durante l'epidemia

L'epidemia ha bloccato tante attività, sta costringendo molti di noi a rimanere forzatamente chiusi in casa.
Chi ha responsabilità e attività nei servizi più importanti sta facendo tutto quanto è possibile, spesso in condizioni difficilissime.
Ancora una volta, ammalati e personale sanitario a parte, le difficoltà più grandi riguardano i più deboli, le persone sole, quelle in difficoltà, quelli che normalmente fanno fatica a vivere.
La convivenza forzata è complicata per tanti, può trasformarsi in un inferno per chi si trova in condizioni di violenza familiare.
È giusto, con ogni mezzo, far sapere, soprattutto alle donne, che i 
centri anti-violenza e il numero verde 1522 
sono attivi. 
Sono attivi i servizi sociali, la Protezione Civile, le forze dell'ordine, il Pronto Soccorso.
Basta una telefonata per trovare aiuto: il Covid-19 prima o poi sarà debellato, la violenza familiare purtroppo ha bisogno di una medicina che ancora non si trova.

domenica 15 marzo 2020

Crisi. Scelta. #stiamoacasa

Non è una novità che quando le difficoltà paiono insormontabili a molti risulti di consolazione, o almeno motivo di riflessione, consultare, rivedere, rileggere i saggi o i classici. Lo hanno fatto in tanti nei lunghi millenni di storia dell'uomo, sempre scoprendo qualcosa di utile, sempre trovando spunti per comprendere, idee per agire.
Chi fra noi solo qualche settimana fa, poniamo il 1 gennaio dopo una serata e una notte di festa, avrebbe immaginato ciò che ci sta accadendo oggi? Qualcuno dotato di poco cervello continua a minimizzare, a volersi intestardire nel proseguire come se niente fosse, ma la stragrande maggioranza di noi ha capito che siamo di fronte a qualcosa di inaudito. E che ci spaventa soprattutto perché è sconosciuto e perché non sappiamo quando ne usciremo, non sappiamo quanti di noi potranno ammalarsi e, forse, non riuscire a vedere la fine dell'epidemia.
Viviamo, quindi, un periodo di grande incertezza, che si potrebbe riassumere con la parola "crisi". Crisi dell'economia, crisi delle relazioni sociali, crisi del sistema in generale.
Eppure... Gli antichi greci davano un significato diverso alla parola (loro che di pestilenze e accidenti vari erano esperti), consideravano la crisi un momento di cambiamento, di scelta, addirittura di forza distintiva e di giudizio.
Di sicuro qualche cosa l'abbiamo già capita, a causa di questo virus:
Siamo fragili, per nulla invincibili. Tutte le nostre certezze vanno in frantumi in un nonnulla: la costruzione delle nostre giornate, il rapporto con gli altri, il lavoro e le sue modalità. Ciò che consideriamo spesso fondamentale si è rivelato all'improvviso per ciò che è: un'appendice che ci aiuta a non pensare fino in fondo a ciò che siamo e che dovremmo essere. La nostra società ipertrofica e distratta verso buona parte del mondo mostra tutta la propria debolezza, i nostri piedi d'argilla tremano.
Abbiamo scoperto all'improvviso che ci sono davvero cose insostituibili, fondate sul lavoro e l'impegno di altri: i contadini e gli allevatori, i trasportatori, i volontari organizzati per bene, le istituzioni alle quali ci appendiamo ogni ora per avere supporto, conforto, speranza. Soprattutto abbiamo scoperto che esiste la sanità pubblica, quella che critichiamo spesso a vanvera perché vorremmo un operatore per ciascuno di noi per poi volerli licenziare in massa appena ci è passato il mal di pancia. Ci siamo accorti che chi lavora nella sanità è quasi sempre pagato meno di quanto merita, che i tagli apportati al servizio pubblico almeno negli ultimi 20 anni sono serviti soprattutto  a ingrassare pance già piene e hanno sguarnito i reparti di medici, infermieri, OSS, addetti ai vari servizi. Abbiamo anche capito che non si diventa medici o infermieri su internet, che la conoscenza ha bisogno di tanto tempo, ricerca, impegno, esperienza. Abbiamo anche, forse, capito che nemmeno i luminari smettono di studiare e che neanche loro possono per forza salvarci: ce la mettono tutta ma non è detto che ci riescano. Dovremmo infine capire una volta per tutte che quegli scafandri che indossano in queste ore, i respiratori, i macchinari e tutto il resto costano, e parecchio. Facciamo bene ad applaudire ogni giorno chi sta lavorando indefessamente per noi rischiando più di noi: ricordiamocelo quando tutto sarà finito e cominciamo a chiedere la fattura o lo scontrino. Il servizio sanitario è pubblico, non gratis.
Stiamo iniziando a vedere le acque dei fiumi più limpide, a sentire l'aria più respirabile, ad apprezzare il silenzio e i rumori che la natura sa regalarci anche nelle nostre città: facciamone tesoro.
Ci siamo accorti che per problemi complessi non esistono soluzioni facili: siamo una società complicata in cui anche la gestione quotidiana delle famiglie è sottoposta a complicatissime fasi organizzative, spesso sulle spalle delle donne, che oggi compiono un ulteriore sforzo. E non mi soffermo sul problema enorme della gestione delle persone anziane o con disabilità, è difficile anche solo immaginare l'angoscia loro e dei loro familiari.
Da ultima la scuola, ancella povera di una società sbagliata che la considera quasi inutile, se non come parcheggio di pargoli difficili da tenere a casa.
Abbiamo scoperto la tecnologia, tutti gli insegnanti sono da giorni alle prese con mail, aule virtuali, lezioni on-line, registri elettronici che si "impallano" ogni mezz'ora, case editrici che invitano a usare le proprie piattaforme per lezioni interattive e quant'altro. Abbiamo scoperto che tutto questo è utile, utilissimo, fondamentale e probabilmente questa esperienza consentirà un altro passo avanti verso una scuola più duttile. Però ci sono almeno due però. Il primo riguarda il concetto di uguaglianza: non tutti gli alunni sono dotati degli stessi strumenti informatici e ancora una volta quelli più fragili sono quelli che faticano di più o che hanno rinunciato a imparare, magari perché il loro ambiente familiare non è in grado di aiutarli, né dal punto di vista educativo né da quello economico.
Il secondo però è connesso al primo: oggi non è possibile per ovvi motivi, ma gli studenti stanno bene a scuola, anche se, ahinoi, nei bagni  manca spesso il sapone e le aule somigliano a pollai, i muri sono scrostati... A scuola ci sono loro, però, insieme a noi e a tutti quelli che ci lavorano ogni giorno. La scuola è soprattutto comunità. Il nuovo utilizzo massiccio della tecnologia (e per fortuna che c'è) ci ha insegnato proprio che la scuola, quella vera, è insostituibile.
Pare che gli italiani (chissà, un giorno anche gli europei...) abbiano imparato a lavarsi le mani. Ora comincino a scegliere, giudicare, fare propria la forza distintiva e la capacità  di cambiamento che ci insegnano ancora oggi, dopo millenni, gli antichi greci e dismettano i panni di Ponzio Pilato per vestire quelli della consapevolezza e della disponibilità a  capire che cosa è davvero fondamentale e cosa, invece, è superfluo. Il superfluo è spesso utile, importante è dare il giusto peso alle cose.
Intanto ascoltiamo chi ne sa più di noi e #stiamoacasa


martedì 3 marzo 2020

#Conegliano #LilianaSegre

Purtroppo per motivi di salute ieri sera non ero presente alla seduta del Consiglio Comunale, cosa che mi dispiace molto visto che ci tengo ad onorare il compito che mi è stato affidato dai cittadini.
Mi dispiace doppiamente perché era in discussione la mozione, di cui sono prima firmataria, per il conferimento della cittadinanza onoraria di Conegliano alla senatrice Liliana Segre.
Sarebbe spettato a me illustrarla e avrei chiesto al Presidente del Consiglio Comunale di poter rinunciare agli interventi mio e dei miei colleghi di minoranza per dare la parola a lei, mandando in onda il discorso che Liliana Segre ha tenuto al Parlamento Europeo, davanti ai deputati in lacrime e ossequioso silenzio.
Sì, perché le sue parole semplici e chiare valgono più di mille dei nostri discorsi, perché mai nulla nella storia d'Europa è stato paragonabile all'orrore del nazifascismo. Nulla. Nulla. Nulla.
Quei milioni finiti in cenere nel vento ci parlano ancora, urlano il loro dolore a tutti noi, ci danno l'indicazione chiara sulla colpa di fondo, l'odio, sui veri colpevoli, i nazisti in primis insieme ai loro compari fascisti che hanno fatto da spie e mandato coscientemente a morire altri italiani colpevoli solo di essere nati, tutti quelli che hanno fatto finta di non sapere o che hanno approfittato della situazione per mettere in atto qualche vendetta personale.
Tutti questi sono parte di quell'ombra nera che ha coperto l'Europa per troppi anni, colpevoli per sempre di tutto l'odio seminato e cresciuto, un seme che ancora oggi produce quegli sterpi senza foglie verdi ma solo secchi e pieni di veleno, per parafrasare il grande Alighieri.
A fare da palo e da complici ai colpevoli ci sono state (e ci sono ancora) soprattutto l'ignoranza e l'ipocrisia.

Fa specie sentir parlare di Italia da chi voleva pulirsi il didietro col Tricolore, da chi nelle cerimonie pubbliche è costretto a partecipare ma non riesce proprio a guardarlo, il Tricolore che sale durante le note di Fratelli d'Italia,  men che meno ad accennare anche solo col labiale alle parole. 
Qualcuno ha paura della memoria della Shoah perché teme di far parte,  anche se in piccola misura, della banda di cui parlavo sopra, e allora la vergogna porta a usare i famosi "ma", "anche", "se".
Vogliamo unificare tutto? Facciamolo, e allora diradando l'ombra nera vedremo gli orrori commessi dagli Italiani in Africa (altro che faccette nere contente: donne stuprate e vendute), parleremo finalmente con  coscienza della storia del nostro confine orientale dove popoli di lingua italiana, slovena, croata, austriaca (con tutte le tante varianti dialettali) hanno convissuto per secoli prima dell'avvento della disgrazia nazionalista, chiederemo scusa del sinonimo, per nulla scherzoso, slavo-schiavo, ci vergogneremo pubblicamente e ufficialmente dei crimini commessi dagli italiani in Jugoslavia, dell'aver impedito ai cittadini di lingua slava persino di mantenere il proprio nome e di poter pregare Dio nella propria lingua, di aver usato per  primi le foibe dopo aver distrutto interi villaggi.
C'è la possibilità remota di giustificare i massacri di italiani innocenti da parte delle truppe di Tito? No, assolutamente no, su questo non si discute. Risulta ammissibile equiparare la Resistenza ai massacri? No, assolutamente no e su questo nessun italiano che ami la  propria terra può avere dubbi. Ovunque, in tutta Europa, proprio la Resistenza, i partigiani italiani, francesi, greci (gli spagnoli avevano un altro feroce dittatore amico di Hitler e Mussolini), slavi in generale, sono quelli che hanno contribuito a sconfiggere quell'ombra nera e far tornare, almeno in parte, il sereno.
Il nazionalismo slavo ha portato altri lutti? Certo che sì, ma abbiamo capito che si tratta di un'idea trasversale, portatrice di lutti e orrori ovunque abbia preso piede.

Tra l'altro in tema di esodi e profughi vale la pena di sapere quali e quante furono le difficoltà per quei poveri esuli istriani e dalmati una volta giunti nella sognata Italia: non c'era posto per loro, si diceva che "Prima noi, gli italiani veri". Appunto. 
I documenti d'archivio (gli storici seri questo fanno prima di scrivere, cioè leggono e studiano le carte) raccontano tutti gli ostacoli che incontrarono, le denunce, le baruffe. Poi per loro è tornato il sereno, accompagnato sicuramente dalla nostalgia per quanto avevano dovuto lasciare e dal profondo senso dell'ingiustizia patita.
Non è seminando altro odio che si trova la pace, non è mescolando alla rinfusa le vicende della storia che si fa chiarezza o si spiegano le cose, sempre che il fine non sia quello di una misera, miserrima propaganda.

Auschwitz rappresenta più di ogni altro luogo quella cappa nera, la sua liberazione un simbolo fondamentale del diradarsi della notte per far spazio a nuovi raggi di sole.
Per questo non può e non potrà mai essere mescolato in un minestrone nauseabondo.
Mi auguro che Conegliano si dimostri degna di aver conferito la cittadinanza a Liliana Segre, a cui va il mio caloroso abbraccio.