Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.
domenica 22 luglio 2012
domenica 8 luglio 2012
Giuseppe Bottai sui partiti
Chi riscorra con la memoria tutte le successive fasi della storia del partito fascista, dal '21 ai suoi anni ultimi, e chi, ancora ai giorni nostri, porga attento orecchio ai dibattiti che assumono a proprio obiettivo il concetto e la pratica organizzazione di partito (con tutta quella serie d'ostici neologismi: partitico, apartitico, partitismo, ecc) ritroverà sempre nel fondo questi due motivi, alternantisi o oppugnantisi: l'antipartito, ossia il proposito, dopo grandi avvenimenti nazionali, come un successo rivoluzionario o una guerra che fondono in unità le aspirazioni di un popolo, di toglier di mezzo fin l'ultimo resto delle divisioni di parte per attingere una compatta unanimità nell'unica autorità dello Stato; e l'iperpartito, espanso fino ad abbracciare la totalità dei cittadini, attuante quell'unanimità nella potenza della sua organizzazione e del suo apparato direttivo. Il partito, dunque, tra l'antipartito e l'iperpartito. L'allitterazione fa sembrare questa frase un bisticcio; e non lo è. (Giuseppe Bottai, Vent'anni e un giorno, 1949)
Una riflessione interessante, scritta da un uomo che aveva vissuto da dentro il fascismo e che ne analizza con lucidità, onestà e passione tutta la tragedia. Tutto il libro vale la lettura, vi si trovano parole intelligenti e analisi davvero di prima mano da parte di un fine intellettuale che non giustifica, ma analizza.
Una riflessione interessante, scritta da un uomo che aveva vissuto da dentro il fascismo e che ne analizza con lucidità, onestà e passione tutta la tragedia. Tutto il libro vale la lettura, vi si trovano parole intelligenti e analisi davvero di prima mano da parte di un fine intellettuale che non giustifica, ma analizza.
martedì 19 giugno 2012
Nave Ospedale "Gradisca".
“O
volete
essere
fra
le
donne
forti,
quelle
che
attraverso
la
santità
della
guerra,
vissuta
in
olocausto:
attraverso
il
radioso
espandersi
delle
nuove
leggi
di
vita
dell’Epopea
Mussoliniana,
sono
venute
formandosi
ad
una
nuova
magnifica
linea
di
femminilità?
Esse
vogliono
non
solo
custodire
i
valori
ad
essi
affidati
dalla
tradizione:
un
solo
uomo,
molti
figli,
una
casa
comoda
e
sana
che
irradi
la
pace
e
l’amore:
ma
questi
valori,
con
un
ciclo
di
opere
patriottiche
e
sociali
vogliono
assicurare
ad
ogni
famiglia
della
patria,
difendendo
così
la
sanità
della
stirpe,
accrescendo
la
ricchezza
e
ogni
bene
nazionale.
La
Rassegna
Femminile
Italiana
con
sicura
coscienza
segna
la
via
a
questa
nuova
femminilità
italiana.
Collaboratrici
alte
e
pure
sono
con
noi.
Con
noi
è
il
consenso
e
lo
sguardo
vigile
del
Capo
del
Governo
e
del
Capo
delle
organizzazioni
femminili
fasciste.
Con
noi
è
la
verità
e
la
onestà,
senza
le
quali
ogni
opera
femminile
sarebbe
vana”.
(…).
Per
le
Giovani
Italiane.
Le
norme
di
vita
per
le
Giovani
e
Piccole
Italiane,
dell’on.
Augusto
Turati,
Segretario
Generale
del
PNF:
- Compiere il proprio dovere di figlia di sorella, di scolara, di amica, con bontà, letizia, anche se il dovere è talvolta faticoso.
- Servire la Patria come la Mamma più grande, la Mamma di tutti i buoni Italiani.
- Amare il Duce che la Patria ha reso più grande e più forte.
- Obbedire con gioia ai superiori.
- Avere il coraggio di opporsi a chi consiglia il male e deride l’onestà.
- Educare il proprio corpo a vincere gli sforzi fisici e l’anima a non temere il dolore.
- Fuggire la stupida vanità ed amare le cose belle.
I
sogni
ed
i
desideri,
si
sa,
hanno
una
forza
tremenda,
scavalcano
le
montagne.
Per
quelle
che
riuscivano
a
conquistare
l'autonomia
dalle
imposizioni
familiari
l’emozione
e
la
spinta
interiore
erano
fortissime:
“Per
la
prima
volta
avrei
dormito
fuori
casa
e
in
un
ambiente
del
tutto
estraneo
a
una
ragazza:
quello
dei
soldati.
Eravamo
ai
primi
di
luglio
del
1940.
Da
poche
settimane
era
stata
dichiarata
la
guerra
e
già
mio
padre
portava
all’occhiello
del
risvolto
sinistro
della
giacca
un
piccolo
nastrino
azzurro
con
una
stellina
d’argento:
mio
fratello
Giovanni,
il
maggiore
dei
due,
aviatore,
era
caduto
a
ventotto
anni
e
la
buona
balia
portava
il
lutto
stretto.
Noi
no;
mio
fratello
minore
ed
io
pensavamo
che,
anziché
piangere,
era
giusto
fare
qualcosa,
per
essere
degni
di
lui”.
Il
verbo
“fare”
diventa
una
nuova
parola
del
vocabolario
e
soprattutto
del
quotidiano
di
ragazze
di
buona
famiglia,
allevate
con
una
prospettiva
del
tutto
diversa:
omaggiate
forse
ma
di
sicuro
poco
utili.
Quel
fare
significa
guerra,
sangue,
dolore,
morte,
disperazione,
abnegazione
e
fatica.
Delle
crocerossine
forse
non
si
è
ancora
scritto
abbastanza,
se
non
di
quante
prestarono
servizio
durante
la
Grande
Guerra.
Iscriviti a:
Post (Atom)