Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

domenica 28 giugno 2015

CASE POPOLARI DI CONEGLIANO: I CONTI NON TORNANO!

martedì 16 giugno 2015

Guerra e pace

La guerra non è un'amenità, ma l'opera più ignobile nella vita; bisogna capirlo, e non giocare alla guerra.
[...]
E che cos'è la guerra, che cosa occorre per il successo nelle operazioni militari? Quali sono i costumi d'una società militare? Lo scopo della guerra è l'assassinio; gli strumenti della guerra sono lo spionaggio, il tradimento, l'incitamento a tradire, la spoliazione degli abitanti, il saccheggio a danno degli abitanti stessi o il furto per vettovagliare l'esercito; l'inganno e la menzogna, che si dicono astuzie militari; i costumi della casta militare sono l'assenza di libertà, cioè la disciplina - l'ozio, l'ignoranza, la crudeltà, la corruzione, l'ubriachezza. E ciò nonostante, questa è una classe superiore, onorata da tutti: tutti gli imperatori, tranne l'imperatore della Cina, portano l'uniforme militare, e a colui che ha ucciso un maggiore numero di uomini, si dà la più alta ricompensa.
Si incontrano, come si incontreranno domani, con lo scopo di uccidere; abbattono, stroncano diecine di migliaia d'uomini; e poi celebreranno dei Te Deum di grazia, perché hanno ucciso molta gente (di cui accrescono anche il numero), e proclamano la vittoria, reputando che quanto maggiore è il numero dei caduti, tanto maggiore è il merito. Come Dio di lassù li guarda e li ascolta!

(Così esclamava il principe Andrea Bolkonskij il 25 agosto 1812, prima della battaglia di Borodinò.
Da Guerra e pace, di Lev Tolstoj)

Ogni commento è superfluo: il grande maestro non è ancora stato ascoltato

sabato 13 giugno 2015

Alpini a Conegliano

Anch'io ho un sogno: si chiama pace. Fin dall'infanzia mi hanno scolpito nel cuore l'idea che sia necessario un mondo senza guerre, senza fame e malattie, di libertà e fratellanza.
Tutte frasi vere e fatte, molto fatte, soprattutto perché fino ad oggi si tratta di chimere, visto che mai come in questi anni il pianeta ha sofferto di un numero così alto di conflitti.
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa, ma l'Italia, come le altre nazioni, non può fare a meno di guardarsi intorno e di svolgere il proprio ruolo nel contesto internazionale. E questa è azione politica, sullo svolgimento della quale, giustamente, si dibatte e si discute, mentre altrove si bombarda e si spara.
Di una cosa sono certa: nelle guerre, in tutte le guerre, quelli che pagano di più sono i popoli, invasi e depredati, coi propri figli mandati a combattere in prima linea e quasi sempre a morire.
E questa è anche la storia della fanteria italiana, da campagna e da montagna. 
Ad essere arruolati nella "truppa" sono sempre stati soprattutto i figli del popolo, durante le guerre che hanno insanguinato il XX secolo e dopo, quando si trattava comunque di prepararsi a difendere il suolo della Patria: attraverso quell'esperienza, a volte durissima, hanno comunque imparato a conoscersi, a fidarsi l'uno dell'altro, a condividere giorni e notti, brande e rancio. 
Hanno imparato (e detto oggi assume un valore tutto particolare) che la disciplina e l'obbedienza sono anche un valore.
Hanno imparato che la solidarietà è il primo ingrediente per costituire una comunità.
Nino De Marchi, comandante partigiano nella foresta del Cansiglio, non manca mai di associare il suo bel fazzoletto dell'ANPI (che è tricolore) al cappello alpino, ricordando a tutti noi che i soldati amanti della Patria furono il perno dell'organizzazione della Resistenza al nazifascismo.
Gli alpini, nella loro stragrande maggioranza, non amano la guerra e non sono nazionalisti: ciò che li accomuna è certamente il ricordo, la memoria e, perché no, un pizzico di nostalgia per la gioventù.
L'errore più grave della sinistra è stato proprio quello di confondere l'idea di Patria con il nazionalismo, lasciando spesso alla destra e ai nazionalisti proprio l'idea di Patria, che è di tutti.
Oggi il concetto di solidarietà e di amore per il prossimo fa sì che proprio gli Alpini siano spesso i protagonisti del volontariato, in Patria e fuori, ovunque si renda necessario il loro aiuto: ovunque tutti sanno che quando si tratta di lavorare davvero e lasciar stare le chiacchiere loro ci sono.
L'amore della gente, soprattutto della gente di queste terre, per gli alpini nasce proprio da tutto questo: sono spesso figli di questa terra, danno tanto in termini di aiuto e solidarietà.
E' tutto molto semplice, ma non banale.
E pazienza se per due notti non dormirò a causa dei canti sotto le mie finestre...
BENVENUTI ALPINI DEL TRIVENETO!!!

venerdì 5 giugno 2015

La Costituzione e la Repubblica Italiana

Grazie al Comune di Maserada sul Piave che mi ha concesso l'onore di consegnare la Costituzione ai neo diciottenni.
Una cerimonia semplice e solenne.
Di seguito le parole che ho pronunciato davanti alla platea attenta dei ragazzi.

CONSEGNA DELLA COSTITUZIONE AI DICIOTTENNI DI MASERADA (TV)
4 giugno 2015

Oggi è un giorno di festa: da due giorni il nostro Paese ha festeggiato i 69 anni della Repubblica, oggi voi diventate cittadini a tutti gli effetti.
Così come divennero cittadini le italiane e gli italiani il 2 giugno 1946, quando per la prima volta poterono votare dopo 20 anni di dittatura e 5 di guerra. Per la prima volta le donne ebbero il diritto di voto, conquistato a forza di sangue e sacrifici.
Voi ricevete la Costituzione in un anno speciale, dopo settant’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale: la libertà riconquistata ha ridato il sorriso a un intero Paese, a un intero continente, l'Europa, dilaniato da una guerra lunghissima, folle, che alla fine contò, in tutto il mondo, più di settanta milioni di morti cancellando per sempre intere comunità.
Cento anni fa, lo sapete, l’Italia entrava nella Prima Guerra Mondiale: quelli che morirono, che la subirono, che ne patirono la tragedia e le devastazioni erano considerati sudditi, non cittadini.
Oggi voi diventate cittadini a pieno titolo, con tutti i diritti e i doveri sui quali si regge ogni comunità.
Per due volte ho pronunciato questa parola, cittadino, una delle più belle del nostro vocabolario: significa parte di una civiltà, di una cultura condivise. Nessuno superiore all’altro, tutti ugualmente liberi e responsabili.
La consegna della Costituzione, la legge che dà il senso a tutte le altre, è un simbolo importante: mi auguro davvero che facciate tesoro di questo piccolo libro, che lo leggiate e lo teniate sempre in bella vista nella vostra libreria.
Questo 2015 è un anno speciale, nel quale ricorrono almeno tre anniversari della storia che vale la pena di ricordare:
800 anni fa nasceva la prima “costituzione”: in Inghilterra per la prima volta si affermava che quello del re non era un potere assoluto e si scrivevano i diritti dei sudditi. La Magna Charta Libertatum ancora oggi rimane un esempio di grande civiltà.
100 anni fa l'Italia entrava in guerra, trascinando con sé un numero immenso di morti, feriti, esuli, dispersi: proprio il nostro territorio, sulle due sponde del Piave, visse sulla propria pelle l'ultimo anno, il più tremendo, della Prima Guerra Mondiale.
70 anni fa i partigiani e gli alleati liberavano il Nord Italia dal fascismo e dal nazismo, vincendo una guerra terribile, fratricida, disseminata di torture indicibili, terrore, rastrellamenti, morti.
Dopo l'8 settembre 1943, in un'Italia abbandonata dal proprio Re, divisa in due dall'occupazione degli alleati nel meridione e dei tedeschi nel centro nord, tanti giovani, proprio come voi, decisero di uscire allo scoperto, di ribellarsi a una dittatura che dopo 20 anni aveva ridotto l'Italia in miseria trascinandola in una guerra senza speranza.
Tanti di loro pagarono con il carcere, la deportazione, con il sangue e con la vita quella scelta, riuscendo a consegnarci un Paese nuovo e a ridare dignità all'intero popolo italiano.
Primo Levi parlò di un “muto bisogno di decenza”, qualcosa che va oltre l'idea di patria e di onore, che è ribellione, voglia di dire BASTA alla dittatura, alla barbarie, ai rastrellamenti.
I numeri della Resistenza sono un monito che non va mai scordato: gli Italiani caduti furono quasi 45mila, 21mila gli invalidi, 35mila le donne combattenti nelle fila delle formazioni partigiane, 70mila le aderenti ai gruppi di difesa della donna, più di 3mila fucilate o impiccate, moltissime quelle processate e condannate dal Tribunale Speciale fascista.
Proprio le donne furono la grande novità di quei mesi: noi donne ci siamo conquistate sul campo il diritto di voto, di essere presenti nel Parlamento e nelle istituzioni dell'Italia democratica e repubblicana.
Vi leggo un breve passo delle memorie di Tina Anselmi, che ha da poco festeggiato i suoi 88 anni, staffetta partigiana, prima donna ministro: “La scoperta più importante fatta in quei mesi di lotta durante la guerra è stata l’importanza della partecipazione: per cambiare il mondo bisognava esserci. Questo è stato il motivo che mi ha fatto abbracciare l’impegno politico: la convinzione che esserci è una parte costitutiva della democrazia, senza partecipazione non c’è democrazia”.
Da dove arriva, quindi, la Costituzione, come nascono quei 139 articoli scritti in un bellissimo italiano, tanto ben fatta da aver ispirato anche la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dalle Nazioni Unite nel 1948?
Prima l'Italia ne aveva già una, lo Statuto Albertino, adottato quasi cento anni prima: una legge avanzata a metà 800, ma flessibile, troppo modificabile facilmente, così da essere usata a piacimento dal governo di turno.
L'Italia nuova, quella del 1945, era un Paese tutto nuovo che soprattutto, dopo la tragedia dei lager e la Resistenza, vedeva le masse popolari non più disposte ad essere escluse dalle grandi decisioni.
I partiti di massa avevano diretto insieme la Resistenza al nazifascismo, adesso dovevano, insieme, dare un nuovo volto, libero e democratico, al nostro Paese.
La libertà non è mai per sempre, insieme alla democrazia è una pianta che va trattata con cura, alimentata, aiutata a crescere, i loro valori vanno salvati contro ogni tentazione autoritaria.
Di più, l'architettura di uno Stato è una struttura complessa e delicata, i cui equilibri sono fondati su un patto reciproco di cittadinanza.
Perché Repubblica e non monarchia costituzionale?
Esistono in Europa grandi democrazie, come quella britannica, governate con un sistema monarchico: quella casa regnante non si era arresa alla follia nazista, ha difeso la libertà e l’integrità del proprio popolo.
All’Italia la casa regnante ha riservato ben altro trattamento: il re, dopo aver permesso a Mussolini di instaurare il regime fascista, aver firmato le leggi razziali contro gli Ebrei nel 1938 e aver trascinato l’Italia in una guerra suicida, quando si è trovato davanti alla sconfitta, al disastro della Nazione, ha preferito fuggire e mettersi in salvo per primo, lasciando più di metà del Paese senza guida e sotto l’occupazione straniera.
L’Italia meritava molto di più, compresi i nostri soldati, lasciati in balia di loro stessi, senza guida né comando, costretti a diventare pedine, zimbello e nemico delle armate tedesche.
Repubblica vuol dire anche questo: un potere che non è mai per sempre, assumere l’incarico più alto per elezione, dimostrando prima (e non dopo, forse) il proprio valore.
Quando gli italiani e le italiane (per la prima volta) andarono al voto, quel 2 giugno 1946, non solo scelsero fra monarchia e repubblica, ma elessero l'Assemblea costituente:
556 deputati, fra i quali 21 donne: 9 della Democrazia Cristiana, 9 comuniste, 2 socialiste, 1 dell'Uomo Qualunque.
75 fra loro furono scelti per stendere il testo che oggi voi avrete in regalo: 70 uomini e 5 donne, i padri e le madri costituenti.
Vi leggo i nomi di quelle cinque donne, alcune giovanissime, perché meritano di essere ricordate: Maria Federici, Nilde Iotti, Lina Merlin, Teresa Noce, Ottavia Penna Buscemi.
Quella commissione riuscì a stendere il testo della Costituzione in diciotto mesi (dal giugno 1946 al dicembre 1947) un tempo record se pensiamo alle lungaggini parlamentari di oggi...
Questi 139 articoli sono un testo storico, di grande equilibrio, a dimostrazione che i compromessi possono essere anche virtuosi.
Quella che entrò in vigore il 1 gennaio 1948 è una Costituzione rigida, quindi difficilmente modificabile. I principi di democrazia, uguaglianza, pari opportunità non sono negoziabili: l'Assemblea Costituente ha voluto salvare il futuro dell'Italia.
La Storia ha camminato molto, in questi decenni, e la legge fondamentale del nostro Paese ha bisogno, come una bella signora matura, di qualche ritocco.
A non essere assolutamente modificabili, però, sono i principi fondamentali che stanno all'inizio, vale a dire i primi 12 articoli e l'ultimo, il 139: La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.
Difficile scegliere su quali articoli soffermarmi, perché è talmente bella, la nostra Costituzione, talmente ben scritta, densa di positività, di affermazioni di diritti e doveri reciproci da meritare una lettura completa.
Nel primo, in poche parole, si riassumono tutta la storia e la via maestra d'Italia, ogni parola è scelta con cura ed è densa di significato: Italia, repubblica, democrazia, lavoro, sovranità, popolo
Verrebbe spontaneo dire: ma come mai la Costituzione non è stata ancora applicata? Se è così che senso ha? Non si tratta di un ferro vecchio, di un libro dei sogni?
La risposta è NO, cari ragazzi, assolutamente NO.
La democrazia si basa sui partiti che la governano ed i partiti devono essere “proprietà” dei cittadini che li votano, che vi aderiscono. Affinché la politica sia la più alta e onorevole attività umana sono necessari la partecipazione, l'impegno, il controllo da parte del maggior numero di persone possibile.
Se la Costituzione fatica ad essere approvata non è colpa sua, ma di chi dovrebbe farsene garante e di noi tutti, che non siamo abbastanza severi controllori di chi ci governa.
Fra quanti scrissero questo testo che oggi ricevete c'erano tanti che non avevano ancora 40 anni, alcuni ventenni, donne e uomini che, giovanissimi, avevano scelto la strada dell'impegno, del sacrificio, dell'abbandono delle proprie sicurezze per un obiettivo più grande, per dare un futuro di libertà a noi tutti.
È compito dell'Italia, il Paese in cui è nata la Comunità Europea, culla insieme alla Grecia della civiltà europea, far sì che l'Europa diventi davvero una comunità di donne e uomini uguali, liberi e solidali, non solo un accordo economico.
Voi giovani, che vivete il continente come il giardino di casa, che considerate il mondo un'opportunità siete anche la speranza dell'intero pianeta.
L'Europa ha vissuto ormai 70 anni di pace, come mai nella sua storia, la Terra appare invece sconvolta da un numero immenso di guerre e atrocità rivolte sempre più verso i civili inermi, costretti a fuggire e troppo spesso morire.
Consegnarvi questo libro significa passarvi idealmente il testimone, lasciare a voi, che oggi entrate a pieno titolo nella comunità sociale e politica d'Italia e d'Europa, il compito di custodirne i principi e di impegnarvi per migliorare il Paese che un giorno lascerete a chi verrà, per far sì che ancora una volta l'Italia sia il Paese capace di inventare un futuro di democrazia, tolleranza, uguaglianza e libertà per l'Europa e il mondo intero.
W LA COSTITUZIONE