Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

lunedì 14 novembre 2011

Trieste....

Il ritorno a Trieste, dopo la guerra, fu forse il suo vero, primo choc. Le pesanti occhiaie di sua madre, l’angoscia che la attanagliava erano chiari segnali di un dolore profondo, sordo, che né la lontananza né tantomeno il ritorno potevano placare. Qualche anno dopo avrebbe compreso più a fondo ma in quei mesi la colpa di tutta quella sofferenza doveva ricadere per forza sul non ritorno di suo padre, quel Giorgio che la mamma nominava di continuo, lacerandosi ogni volta di più, disperandosi della propria solitudine. Era tornato prima lo zio Mario, poi, per fortuna, la mamma aveva potuto riabbracciare suo fratello Vladimiro. Tea si avviava all’adolescenza in una città ancora incerta, incredula di tanti morti, da una parte e dall’altra, pronunciando il suo nome. La bora sferzava gli scogli di Miramare, l’insenatura di Duino e l’intera città incurante del destino delle pietre sottostanti, insensibile alla paura degli esseri umani; la corrente davanti al porto pareva andare diritta verso la costa di fronte, dall’altra parte del golfo, con naturalezza, senza bisogno di proclami o di lasciapassare. Trieste libera, a lei così giovane, sembrava una frase quasi senza senso: libera perché, libera da cosa, o meglio, cosa se non libera?

martedì 1 novembre 2011

Vi consiglio questo libro

Mosso dalla confessione di Argia e da una polmonite galoppante che il dottor Poldi si incaricò di curare con impiastri di senape, l'ingravidatore misterioso sbucò dal fienile dove per molti giorni si era rintanato; dichiarò di chiamarsi Leonida, di avere trentadue anni e di fare il tipografo: mestiere totalmente ignoto ai genitori di Argia, ma da essi supposto incompatibile o perlomeno estraneo all'agricoltura; disse di venire da una città della Toscana che pareva di mitica lontananza, ma che in realtà distava un centinaio di chilometri; si guardò bene dal confessare i motivi che lo avevano indotto a tuffarsi nel gelido torrente sul quale si arrestava il confine del suo stato.
Tratto da: Antonio Tabucchi, Il piccolo naviglio, Feltrinelli, 2011