Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

domenica 24 novembre 2013

"Vive le donne". 25 novembre contro il femminicidio


"Non confondere l'amore col delirio del possesso, che causa le sofferenze più atroci. Perché contrariamente a quanto comunemente si pensa, l'amore non fa soffrire. Quello che fa soffrire è l'istinto della proprietà, che è il contrario dell'amore". (Antoine de Saint-Exupéry, La Cittadella)
Tutto qui, forse, il segreto: cancellare l'idea che si può usare l'altro e soprattutto l'altra, che esistano esseri inferiori, che la sofferenza altrui non sia una macchia indelebile da portare per sempre addosso, che amare significa prima di tutto rispetto e che bisogna insegnare ad amare, prima di tutto con l'esempio. Insegnare, un verbo troppo trascurato, che contiene dentro di sé, accanto a sé, un'altra parola meravigliosa: imparare.
Insegnare, lo ripeto, l'amore per la conoscenza, il rispetto, il desiderio gratuito di far crescere persone e non robot muniti di bancomat, donne e uomini che abbiano la dignità come faro, punto di riferimento.
E' difficile scrivere ancora di violenza contro le donne, fa male dover ancora una volta affrontare un tema come il femminicidio, sapere che l'informazione ne parla solo quando avviene il fatto di cronaca oppure domani, quando sarà costretta a raccontare le mille manifestazioni organizzate ancora una volta per urlare che "ora basta"!
Basta con la violenza ma basta anche con la mancanza di educazione: la soluzione di una consuetudine atroce come questa passa attraverso l'educazione, soprattutto dei maschi, attraverso il cambiamento di mentalità, l'aumento della cultura. Tout-court. Cultura perché conoscere permette di imparare a pensare, a confrontarsi, a scoprire le tante meravigliose facce degli esseri umani, le infinite possibilità di affermazione di sé, che non può passare attraverso la riduzione del corpo a merce o la sopraffazione.
Le forze dell'ordine stanno svolgendo un ruolo decisivo: conosco un po' la realtà che mi circonda e so che il Commissariato di PS di Conegliano e la Questura di Treviso, per fare un esempio, hanno già avviato, senza il clamore mediatico che meriterebbero, dei veri protocolli di azione per proteggere le donne che trovano il coraggio di denunciare le violenze ma anche lo stalking, le torture psicologiche, il terrore che quelli che, come sappiamo, hanno le chiavi di casa e si trasformano in aguzzini.
Tutto questo prevede che ci sia una denuncia, ma noi sappiamo che solo il 7% delle donne trova il coraggio di ribellarsi e di agire: troppo spesso prevale la paura, chiamiamolo pure terrore.
Una volta fatta la denuncia, una volta messo in prigione il colpevole, le donne hanno paura di rimanere sole, ancora una volta, col terrore che "lui" prima o poi tornerà a vendicarsi. Come spesso accade: quante sono le donne non ascoltate, convinte a tornare a casa sperando che "lui" prima o poi cambi? Tante, troppe: spesso le vediamo poi in fotografia sulle epigrafi.
Conegliano ha uno Sportello donna quasi nascosto all'interno dello Sportello famiglia, quasi che le donne trovino affermazione solo in quel contesto, non se ne trova traccia nella Home Page del sito internet del Comune.
Domani sarà aperto con orario continuato presso i Servizi Sociali. Bene, un primo passo. E poi?
Mi auguro che la Commissione Pari Opportunità riesca a conquistare maggior visibilità per una questione che riguarda tutti, che riesca ad avviare un percorso coordinato con le forze dell'ordine, con l'ULSS, con la politica, con le scuole, con le organizzazioni sindacali, le forze imprenditoriali, l'informazione, che riveste, lo sappiamo, un ruolo ben più importante del mero diritto e dovere di cronaca.
Ancora una volta i verbi devono essere insegnare, educare, imparare.
Vive le donne, dunque. E una nuova coscienza di sé, per noi e per gli uomini che ci stanno intorno.

Isabella Gianelloni

sabato 16 novembre 2013

Verdi colline a rischio deserto?

Foto tratta da: date-hub.com Nicocovre
L'altra sera ho ascoltato ancora una volta i dati di questa tremenda crisi economica, industriale, epocale che sta colpendo anche la nostra Provincia, culla e centro di quel famoso "modello nordest".
I dati fanno rabbrividire: 480 posti di lavoro perduti ogni mese in provincia di Treviso, dall'inizio della crisi sono circa 30mila le persone rimaste senza un'occupazione: quasi come se l'intera città di Conegliano fosse rimasta deserta.
La vicenda Electrolux rischia di dare il colpo di grazia ad una situazione ormai gravissima, fatta di angoscia e a volte vera e propria disperazione, soprattutto là dove non esistono né ammortizzatori sociali né un tessuto familiare che possa mettere in moto, ancora una volta, la solidarietà.
Di quest'ultima azienda e delle sue vicende (tra l'altro si tratta di una grande multinazionale lontana mille miglia dal legame col nostro territorio) si parla da anni: se non ricordo male però da anni nessuno dei governi che da vent'anni e più hanno governato l'Italia, il Veneto e anche queste zone hanno messo in campo uno straccio di politica industriale degna di questo nome.
Non solo: in questo Veneto culla di una cultura millenaria, di università antiche, intellettuali curiosi, di una capitale aperta al mondo come poche altre, di un'arte del costruire invidiata in tutto il pianeta, di paesaggi unici, chi l'ha governato ha cercato di distruggere tutto questo, la nostra parte migliore facendoci pensare che bastasse qualche sagra improvvisata (magari dietro qualche orrendo capannone ormai desolatamente vuoto dopo aver depauperato territorio e agricoltura) e un po' di ignoranti componimenti in un dialetto inesistente per mantenere un'identità. Veneta. Bel risultato.
Oggi il settimanale di RAI Regione ha dedicato un servizio alla vicenda Electrolux, andando indietro nel tempo alla Zanussi ed all'antica Zoppas, madre dell'industrializzazione del Coneglianese.
Gli intervistati, tutti ex dipendenti o dirigenti, hanno descritto il loro vissuto, la storia recente.
Sconsolato uno di loro ha affermato: "Se chiude Electrolux cosa faremo qui? Non abbiamo nemmeno bellezze e monumenti da offrire ai turisti".
Ecco la grande colpa di chi continua a governare questo territorio ed il Veneto intero: aver fatto perdere la coscienza di ciò che davvero costruisce un'identità, di ciò che ci è stato lasciato in eredità in fatto di bellezza, architettura, storia, monumenti, arte, paesaggio.
Non possiamo andare tutti a fare le guide turistiche, questo è ovvio, ma ricordiamoci che l'amore della manifattura, del saper fare è nato proprio dalla coscienza, dalla ricerca, dal desiderio di arricchire ma anche di rispettare il territorio.
All'inizio del secolo scorso, quando si avviavano le prime industrie coneglianese, ci si preoccupava di dare maggior impulso alla Scuola di arti e mestieri, di costruire case operaie con un giardino davanti, di far circolare i libri di una biblioteca ambulante fra i piccolissimi artigiani ed i lavoratori.
Con buona pace delle sagre inventate, dell'insensata distruzione del territorio e di versi ignoranti.
Isabella Gianelloni

sabato 9 novembre 2013

Il lavoro delle donne. Dignità e fatica


Donne e lavoro, un binomio complesso. 
Nella mostra fotografica dedicata al lavoro delle donne, l’intento di rendere giustizia, almeno in parte, ad una storia fatta per molti aspetti di grandi sofferenze, si è accompagnato alla scelta di non edulcorare la realtà, di non cedere all’idea, assai comune, che un tempo le cose fossero più genuine, naturali e quindi giuste.
Non c’è nulla di naturale, come sappiamo, nello sfinimento dovuto ad un lavoro diuturno e poco riconosciuto, alla totale mancanza di diritti, anche quello di parola, che le donne hanno subito per secoli, ed alcune delle immagini scelte raccontano soprattutto questo: una grandissima quantità di lavoro.
Qualcuno potrebbe chiedersi il perché della testarda insistenza delle donne nel cercare il proprio posto al di fuori delle mura domestiche, ben sapendo che non vi avrebbero trovato maggiore comprensione, minor fatica, che il guadagno ottenuto non sarebbe mai stato proporzionale allo sforzo ed alla fatica. 
Fatica. Gli antichi, in un mondo poverissimo di tecnologia com'era quello di allora, avevano l'esatta percezione che la vita in quanto tale fosse assimilabile alla fatica, necessaria in qualsiasi attività umana. L'otium, il potersi ritirare dalle comuni occupazioni era per qualcuno un utile obiettivo. In alcuni dialetti italiani lavorare si dice faticare.
La fatica evoca sforzo, sfinimento, sudore, energia utilizzata senza risparmio. Le donne hanno un'antica dimestichezza con tutto questo, a loro sono delegate le fatiche del parto e della crescita dei figli, a loro il compito di tenere insieme affetti e beni materiali delle famiglie.
Il lavoro è un valore in sé, uno strumento di conquista della propria dignità. La scelta, molto spesso la necessità, quasi sempre le due cose intimamente legate fra loro, di lavorare anche fuori casa è stata (ed è ancora) ricerca di dignità, di affrancamento da una condizione servile, di quella autonomia personale composta di indipendenza economica e possibilità di tessere una rete di relazioni.
Queste ultime, cioè il confronto delle esperienze e delle aspirazioni, la scoperta di un mondo “altro” rispetto all'obbedienza supina al padre, al marito, al suocero, al sacerdote, sono state per decenni l'incubo della società con un ordine precostituito e pensato per essere immutabile, un mondo che negava diritti e pari dignità alle donne.
Il titolo scelto per questa mostra è composto proprio da questo binomio, dignità e fatica, vale a dire l'affermazione di una volontà di riscatto, del valore della propria persona e tutto il sacrificio, a volte il dolore, necessari al suo raggiungimento.
 (Tratto dal mio saggio nel catalogo della mostra "Donne a Nordest. La dignità e la fatica. 1890-1970)

A Crocetta del Montello, dal 16 novembre al 1 dicembre, nei locali dell'antica Società Operaia di Mutuo Soccorso. Inaugurazione Sabato 16 novembre, ore 18.30.

domenica 3 novembre 2013

Per quelli che non hanno visto nessuna vittoria

Crocetta del Montello - Osservatorio del Re
Dopo giorni la pioggia era cessata, lasciando posto ad un’aria nuova, che scendeva a valle lungo il letto del fiume.
In tempi normali avrebbe trasportato l’odore dell’erba macerata nell’acqua del Piave, il profumo del bosco d’autunno, l’aroma fragrante delle castagne arrostite, l’odore invitante della legna arsa nei focolari.
Per quel popolo in armi fu il segnale: cominciava la grande corsa, la rincorsa del nemico.
L’acqua, tumultuosa e assordante nel suo scorrere impetuoso, rischiava di travolgere da un momento all’altro i ponti gettati e con essi quanti vi si trovavano sopra, era fredda, ma non c’era tempo per rendersene conto, era pericolosa, ma nessuno sembrava essersene accorto.
La riva sinistra era finalmente lì, a portata di mano, sul greto affioravano cadaveri con divise diverse, affiancati e accomunati da un medesimo destino.
Bisognava, come sempre, passare oltre, non era quello il tempo della pietà. 
[...]
Corsero per ore, sparando e rincorrendo, rincorrendo e sparando. Quel pezzo d’Italia era troppo simile a quello che avevano appena lasciato. Ovunque trincee, fangose e marce come le loro, armi abbandonate all’improvviso, uomini a terra morti o agonizzanti, reticolati, resti di postazioni d’artiglieria ormai inutili, dappertutto testimonianza di alberi sradicati, campi devastati, ruderi di abitazioni, segni di incendi appiccati che nessuno aveva tentato di spegnere.
Non c’era tempo per rendersi conto della dolcezza di quei saliscendi ora aspri ora lievi, scomparso quasi ogni segno della collina coltivata, del lavoro instancabile che per secoli i contadini avevano compiuto coltivando declivi dove era difficile imbrigliare l’acqua, dove viti e granoturco soffrivano la sete.
Non c’era più tempo per nulla: tutto un esercito rimasto fermo per troppi mesi ora percorreva chilometri in poche ore, attraversava fossi e campi, aie sconvolte e borghi ormai irriconoscibili.
La cima di ogni altura era un osservatorio nemico, a volte abbandonato repentinamente e a volte difeso strenuamente da chi era costretto da qualche strano ordine a non accettare il proprio destino.
I nomi prima solo sentiti e letti nelle mappe del tenente ora divenivano realtà: villa Jacur, con quel nome un poco esotico, il Colle della Guarda, San Daniele divennero luoghi veri.
[...]
Vincenzo e Francesco, con il passo quasi sincronizzato procedevano vicini, proteggendosi l’un l’altro, confortandosi nella stanchezza, perfino felici del rinnovato movimento. Non più costretti nelle tane come animali, con la marcia, l’attività veloce e guardinga, ricordavano le giornate passate a caccia, la ricerca di qualche pecora uscita dal gregge, l’esplorazione di territori ormai noti con la sicurezza del ritorno.
Ora, dopo mesi e mesi, quella parola cominciava ad avere un significato più preciso, assumeva contorni più certi, sentivano che il momento sarebbe arrivato presto.
Caro papà, noi abbiamo di sicuro vinto la guerra. Abbiamo passato il Piave. Da questa parte del fiume quasi tutte le case sono distrutte. Spero che fra poco tornerò a casa, anche se oggi sono triste perché il signor tenente non è più con noi. Io sto bene e mando un bacio a tutti. Vincenzo”.
 [...]
Parola importante, vittoria, che per tutti loro aveva un solo significato: tornare a casa, per sempre.

Isabella Gianelloni
Tratto dal mio romanzo "Tre volte trenta", Piazza Editore

sabato 2 novembre 2013

Panchine in città: chi le ha viste?

Lo scorso 15 ottobre ho presentato un'interpellanza al Sindaco di Conegliano riguardante lo stato e il degrado di tre luoghi simbolo della città.
Non c'è stato ancora modo di discuterla ed il Consiglio Comunale programmato per i prossimi giorni è stato rimandato.
A non essere prorogabili sono interventi, anche minimi, che rendano migliori gli spazi cittadini.
Non basta avere un castello (il cui museo va rivisto da capo a fondo), una splendida sala affrescata (speriamo che partano presto i lavori di restauro del tetto, finanziati ormai da anni ma non ancora avviati) e delle colline meravigliose (sempre che non le si cementifichi ancora).
I turisti, che continuano a trovare chiuso l'Ufficio Informazioni, i frequentatori ed i Coneglianesi hanno bisogno anche di una città bella, pulita e accogliente nel suo complesso.
Speravo che vista l'interpellanza ci si preoccupasse almeno di pulire il muro e la strada della Chiesa di Santa Caterina ricoperti di guano: ci passo davanti ogni giorno e tutto è esattamente come prima.
Non solo.
- L'arredo urbano del centro storico è costato un sacco di soldi, ma le panchine di Piazza Cima, tolte all'inizio dell'estate per le varie manifestazioni e non rimesse al loro posto per non intralciare l'Autunno coneglianese, mancano ancora.
Dove sono? Perché non sono state rimesse al loro posto?
Se si pensa che ora, con la brutta stagione e le basse temperature nessuno si siederà a prender freddo mi chiedo perché mai siano state acquistate e posizionate in quel luogo. La Dama Castellana, le manifestazioni estive e l'Autunno coneglianese esistono da decenni... e allora?
Non vorrei si trattasse di altri soldi buttati, in un centro storico che langue afflitto da una montagna di problemi.
- Il giardino pubblico "Tommaso Albinoni" di Via XI Febbraio è posto proprio sotto le mura della città. Anche qui le panchine sono scomparse all'improvviso. Perché? Molti anziani le usavano per riposare, chiacchierare, starsene tranquilli.
E le mura soprastanti? Solerti cittadini si sono preoccupati di pulirle, liberandole dalle erbacce infestanti e conferendo autonomamente ed a proprie spese il materiale nella discarica comunale.

Proposta: visto che in Comune scarseggia il denaro (ma evidentemente anche le idee), si potrebbe pensare di coinvolgere i cittadini, spesso ben contenti di collaborare per mantenere pulita e bella la città, facendo adottare piazze, vie, giardini. Magari otterremo qualcosa di più.
Però, lavorare stanca. E dopo il lavoro si ha diritto di sedersi a riposare e fare due chiacchiere in santa pace. 
Magari sulle panchine ritrovate!

Isabella Gianelloni