Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

sabato 31 dicembre 2016

2016 #2017

Foto archivio di Pierluigi Donadon
Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole / ed è subito sera.
Salvatore Quasimodo ci ricorda che ciascuno di noi è uno, un individuo unico, al centro della terra e di ciò che sulla terra accade: forte ma allo stesso tempo fragile. Ogni poeta esprime malinconia, quella dovuta innanzi tutto alla sensazione di caducità della condizione umana, uguale per tutti.
Gli ultimi raggi di sole delle giornate donano, come sempre accade, inquietudine per la notte che verrà, ma anche senso di quiete e di speranza: la luce, il giorno dopo, torna sempre.
Ogni sorgere del sole risveglia desideri, emozioni vissute o da vivere, ricordi e progetti, speranze e dolori, sapendo che poi sarà, di nuovo, subito sera. Ogni anno che giunge noi speriamo... e
per tutti questi motivi gli auguri davvero sinceri che si scambiano in giornate come queste riguardano quel raggio di sole e la sera: vorremmo che ogni giorno che nasce fosse migliore del precedente e che la notte (quella metaforica) durasse poco, meno possibile, consci che non possiamo esentarci dal dolore, solo sperare di allontanarlo per quanto ci è dato di fare.
Sappiamo però che può risultare offensivo augurare Buon Anno alle persone da noi conosciute che difficilmente vedranno la sera del 2017, poco delicato sorridere a chi, fra quanti conosciamo, vive male ed ogni sera è ferito da quel raggio di sole morente.
Augurare al mondo pace e serenità pare un vano esercizio di retorica in un mondo sempre più insanguinato, nel quale il sole pare dimenticato e una notte buia e nera non vuol saperne di finire: non è difficile pensare cosa sperino (sempre che ne sia loro rimasta la forza) tutti quelli che hanno avuto la sventura di nascere dalla parte sbagliata del mondo. Eppure, ne sono certa, un filo di speranza albeggia ogni giorno in chi cerca una soluzione, qualunque essa sia, per fuggire dall'orrore in cui vive.
Senza speranza mi appaiono invece tutti quelli che guardano solo il proprio personalissimo raggio di sole senza sapere che la stella non è solo per loro, che quella stessa luce, prima di arrivare nei loro personalissimi piccoli ed egoisti ambiti, ha illuminato altri milioni di esseri umani, ancora capaci, nonostante tutto, di sperare.
Siamo individui unici, ma il cuore della terra è per tutti, qui viviamo, tutti, e non esiste un "uno" più uno degli altri. Ecco, l'augurio vero è che i troppi che sanno solo spargere odio e veleno possano essere sconfitti dall'allegria degli incontri fra diversi, dalla battaglia di chi non si arrende e cerca di migliorare la condizione propria e degli altri, da chi ricerca un po' di verità rifuggendo dalle bugie, da chi è consapevole che il raggio di sole che ci trafigge può essere anche energia positiva, da spendere per fare e non per distruggere.
Chi oggi semina odio, intolleranza, razzismo, violenza, incomprensione è senza speranza, l'augurio è che inizi la riscossa di una nuova "banalità del bene".
BUON 2017
Grazie a mio marito, Pierluigi, per ciò che condivide da tanti anni con me e per i suoi stupendi racconti di montagna: ogni volta che torna a casa le sue emozioni infondono nuova speranza, ridanno la consapevolezza che una vita di rispetto per terra, i suoi raggi di sole, le sue notti, gli esseri che ci vivono, è possibile.


lunedì 26 dicembre 2016

Vandali d'accatto. #Conegliano


Non esite linea di demarcazione, non ci sono confini né resistenza morale, etica, civile: là dove manca una cosa molto semplice, ovvero l'educazione, scarsissima intelligenza e (molto spesso) ubriachezza producono le offese al decoro, al lavoro altrui, alla bellezza, alla dignità di luoghi che sono di tutti e quindi anche di chi li deturpa.
Ancora una volta Piazza Cima, il cuore di Conegliano, e con essa la strada, i portici, hanno dovuto assistere alle "bravate" inutili e pericolose di qualche banda di cretini.
Là dove nei secoli scorsi si giocava alla pallacorda, oggi qualcuno ha pensato di introdurre l'attività consistente nel rompere bicchieri e bottiglie spargendone i resti ovunque e nel prendere a calci il bel presepe di paglia sottostante l'albero di Natale.
Già nelle prime notti dopo l'allestimento del presepe c'erano stati danni, ma l'aver compiuto l'atto più grave proprio nel giorno di Natale aggiunge gravità al gesto e sconforto generale.
Tra l'altro i piccoli vetri dissiminati per la piazza diventano un pericolo per i tanti bambini che nei giorni di festa ci giocano rincorrendo il pallido sole e per i piccoli animali che accompagnano i loro padroni nelle passeggiate.
Idioti, quindi, incivili e anche criminali.
Sostanzialmente privi di quella educazione di base che dovrebbe far comprendere il limite oltre il quale non ci si deve spingere nemmeno se ubriachi all'ultimo stadio. La rabbia potrebbe indurre a fare paragoni forse ingiusti, ma è un dato che ci sono intere fasce di popolazione nelle quali la buona educazione, il rispetto delle regole, l'abitudine all'impegno per conquistarsi qualcosa, il rispetto per il lavoro degli altri, l'accettazione delle sconfitte e l'abitudine a considerare la bellezza un valore fanno fatica ad emergere. Esattamente come accade sempre più spesso, e ogni anno di più, nelle scuole, dove il compito più arduo non è tanto spiegare l'analisi logica (a volte verrebbe voglia di rinunciarci...), ma la logica elementare del vivere insieme.
A più riprese si è parlato di come affrontare il tema del decoro del nostro bellissimo centro storico: certamente occorre una repressione decisa e senza indugi, costringendo chi deturpa e sporca a ripulire, oltre che a pagare una salatissima multa, visto che pulire gli spazi pubblici costa molto a tutta la comunità.
Occorre però che questi luoghi, queste strade, queste piazzette, entrino nel cuore di chi amministra, cercando in tutti i modi di avviare iniziative comuni che coinvolgano anche i gestori dei tanti locali disseminati dall'inizio alla fine della strada: è interesse di tutti, residenti, esercenti, pubblico che il salotto della città smetta di essere, troppe notti alla settimana, una cloaca e il parco giochi dei vandali.
I vetri sono piccoli, non si vedono se non osservando bene


venerdì 16 dicembre 2016

Conegliano 1000 Gran finale

Sono davvero orgogliosa di aver contribuito al gran finale delle celebrazioni dei primi mille anni di Conegliano, nella splendida cornice di S. Orsola al castello di Conegliano, con la creatività e la bravura dei giovani cittadini, del Treviso Comic Book Festival, del Lago Film Fest e della Città di Conegliano.
Di seguito il testo di una parte del mio intervento introduttivo.

È praticamente impossibile condensare in pochi minuti una storia millenaria, costellata di momenti entusiasmanti e tragedie, innovazioni e sfortuna, veneziani imperanti, francesi, austriaci in fuga dopo aver depauperato territori stremati, così come era avvenuto all'alba della nostra città, nel X secolo, quando gli Ungari avevano terrorizzato il nordest d'Italia. 
La storia raccontata dalle tavole di Conegliano 1000 termina, giustamente, con un omaggio al nostro storico più illustre che mi piace pensare sia stato immaginato come un "Virgilio" dei nostri tempi, un Cicerone nella lunga storia di queste vecchie pietre. 
Adolfo Vital non solo ha contribuito a fare la storia, rappresentando esso stesso un momento cruciale nelle vicende di Conegliano (e non solo), ma l'ha saputa preservare per noi, ce l'ha raccontata con il suo instancabile lavoro, che ogni Coneglianese dovrebbe tenere nella propria libreria. 
Il professor Vital ci ha fornito innumerevoli spunti, preziose indicazioni, invitandoci ad un lavoro accurato di ricerca, verifica, confronto. 
Ciascuno di noi ha dentro di sé un'immagine personale del Medioevo e a me, visto che di fumetti e disegni stiamo parlando, piace molto una frase che Walt Disney ha messo in bocca a Mago Merlino: guazzabuglio medievale. Stabilire la "verità" per quei secoli lontani è davvero impresa pressoché impossibile: bui da un lato ma squarciati da immensi lampi di luce, arretrati e modernissimi, pii e allo stesso tempo crudeli. 
Di quel tempo lontano ci sono pervenuti documenti sufficienti per evitare di raccontare troppe baggianate, rovine, opere, memorie concrete e ancora vive al punto da affascinarci irrimediabilmente. 
Ma, c'è un ma: a rimanere sconosciuta è forse la maggior parte della storia. Ci ha pensato il tempo, beffardo nei nostri confronti, alleato con incendi, alluvioni, furti e anche una spensierata indeterminatezza.  
Veniamo ai nostri amati 1000 anni. Nessuno, in realtà, ha mai visto quel famoso documento del 1016, ma è certo che in quegli anni l'Imperatore del Sacro Romano Impero era Enrico II, l'ultimo degli Ottoni, proclamato poi anche Santo. Nelle continue lotte di quel periodo Conegliano passò dunque da proprietà imperiale a quella del vescovo di Belluno. È del tutto evidente che, per essere donata, la città  doveva già esistere ma, nel guazzabuglio di poco precedente e seguente il fatidico anno Mille, nessuno si curò di mettere né quell'atto né un qualsiasi altro certificato di nascita in una bottiglia che potesse giungere intatto fino a noi.  
E così il nostro Virgilio/Vital ci dice che sicuramente le nostre origini vanno poste nel secolo precedente (quando non si sa, ovviamente) durante le invasioni di degli Ungari. 
Il fatto vero e inconfutabile è che, poco dopo la sua nascita, Conegliano fece subito parlare di sé, posta com'è in un luogo che ne segnerà la fortuna e le tragedie, in un'Europa teatro di grandiose invenzioni umane e immani violenze. 
Rimanendo sempre nell'ambito dell'indeterminatezza dell'epoca, accanto ai servi della gleba esisteva una moltitudine in movimento: in quel mondo complicato si viaggiava molto, viaggiavano i pellegrini e gli avventurieri di ogni ordine e grado, i mercanti in cerca di fortuna. 
Chissà quali incontri avvennero qui, dove siamo noi stasera, o più sotto, dove il Borgo Vecchio cominciava a popolarsi e a costruire la propria storia. Una storia, ben inteso, di periferia, ma che di tanto in tanto ha incontrato (spesso essendone travolta) quella più grande, quella che i libri ci hanno tramandato, oppure ha continuato parallela a mille altre, sconosciute. 
Immaginiamo che mentre Conegliano compiva i primi passi la cattedrale di Canterbury veniva incendiata e che, proprio quando la nostra città si sottomise a Venezia, alla fine del Trecento, Londra contava 35mila abitanti, gli stessi che abbiamo noi oggi. Allora nacquero i Canterbury Tales, nei quali si raccontano anche i viaggi dei pellegrini di allora: da Londra a Canterbury ci sono 90 chilometri, che i pellegrini delle classi superiori percorrevano in tre giorni. Gli alberghi di nuova concezione avevano reso i viaggi molto più comodi di un tempo... Così narrano le cronache. Così come Conegliano è stata da sempre paese delle cento osterie, ostelli, alberghi, locande. 
Vicina al Piave e ai monti, protetta dalle nostre colline e con una enorme campagna su tre lati: amici e nemici giunsero qui da ogni dove, come monaci e suore che costellarono la città di conventi e manifatture. I Veneziani la amarono e ancora la amano, forse memori di antichi fasti. 
La città che nel 300 aveva la corporazione dei notai e già nel XVI secolo esportava il vino in ogni dove accolse anche un Napoleone all'inizio della propria grande cavalcata seguito a ruota da quella Giuseppina croce e delizia del grande condottiero, sopportò la fame tremenda degli anni successivi e seppe dare decine di volontari al Risorgimento, compresa una grande eroina, Maddalena Montalban, ancora poco conosciuta anche dai Coneglianesi. Con la caparbietà di chi sa di saper fare, di valere, la spuntò contro Oderzo ed ottenne la ferrovia, dimostrando di saperne cogliere le grandi opportunità. 
La grande tragedia dell'occupazione austro-tedesca dopo Caporetto segnò uno spartiacque dopo il quale nulla fu come prima: Conegliano rinacque e dopo l'altra guerra, l'ultima, si ingrandì, si arricchì, cambiò volto, nel bene o nel male al momento non è compito della storia dirlo. 
Ad essere indiscutibile è la vocazione con cui Conegliano è nata e che l'ha accompagnata per molti secoli: una città di gente che commercia, intraprende, costruisce e per ciò stesso vocata ad aprirsi, a conoscere, a guardare agli altri come opportunità. Forse oggi tutto questo si è un po' appannato, ma con un po' di lavoro credo che potremo farcela, non so se per altri mille anni, ma per un buon pezzo della nostra strada di sicuro. 
In questi casi la nostalgia non serve, visto che la storia cammina, e anche di corsa: posso dire che Conegliano merita amore e rispetto, gli stessi che traspaiono dalle opere dei ragazzi e delle ragazze che hanno accettato la sfida di fare una pazza corsa lungo questi mille anni. Circa. 


sabato 3 dicembre 2016

#referendum

Quella degli ultimi mesi è stata una pessima campagna elettorale, basata e giocata troppo spesso sull'odio, sull'incomprensione, sull'intolleranza. Sconvolge pensare che vi si sono giocate anche amicizie che duravano da decenni.
L'unico dato positivo è stato l'impegno politico, nuovo o ritrovato, di tante persone.
La passione politica, quando vera e scevra da violenza e sopraffazione, è una delle cose più belle che possono capitare a un essere umano.
Qualunque sarà il risultato del referendum lunedì l'Italia si sveglierà e riprenderà il suo cammino, complicato ed esaltante: la nostra democrazia, la nostra libertà camminano e continueranno a camminare sulle gambe delle donne e degli uomini che si impegnano per rendere viva e vitale la vita sociale del Paese.

Per questo mi auguro davvero che da martedì, qualunque sia il risultato, le ragazze, i giovani, le donne e gli uomini che in queste settimane hanno affollato i gazebo continuino il loro impegno nei movimenti, nei partiti, nella politica attiva.
Un Paese che a volte appare stanco e ripiegato su se stesso ha grande bisogno di energie nuove, dell'entusiasmo di chi si affaccia alla politica per migliorare le cose, di chi ci ritorna perché la politica è "una malattia cronica", di chi non ha mai smesso.
Propongo di cominciare facendo crescere consapevolezza, senso critico, cultura politica, qualcosa che si acquisisce con il tempo, con l'impegno, l'umiltà e lo studio, abbandonando i profeti dell'ultima ora, gli imbonitori interessati al tornaconto e i tanti, troppi ciarlatani che affollano il panorama.
Buon voto a tutti.

venerdì 25 novembre 2016

Un altro 25 novembre

È dura sconfiggere millenni di sessismo, con innumerevoli generazioni di maschi cresciuti nel culto della propria "attrezzatura" fornita dalla natura, di donne educate a credere nella propria inferiorità o che l'unica via d'uscita dalla sudditanza materiale e morale sia provare ad imitare il disprezzo per le altre.
Le conquiste dei diritti civili e politici hanno portato, finalmente e dopo strenue battaglie, donne ai livelli sociali più alti: noi abbiamo dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, di poter essere scienziate, intellettuali, artiste, statiste, professioniste, leader politici....
Almeno così dovrebbe essere. C'è e rimane un MA grande come una casa, soprattutto in questo derelitto Paese, quello che ci ostiniamo a chiamare culla del Rinascimento, della bellezza, bla bla bla: alle donne non si perdona il semplice fatto di essere tali; soprattutto in ambito politico più di qualcuno non sopporta che noi intendiamo anche la politica come non assuefazione al modo di fare da sempre appannaggio maschile (che, tra l'altro, ha portato e continua a portare disastri ovunque).
Ho già scritto qualche settimana fa del "triste vento" che spira in Italia ma non solo: per le donne si tratta di un'aria ancora più fetida, maleodorante di violenza, anche verbale.
Nel perenne urlare di tutti contro tutti, nel continuo voler demolire chiunque, soprattutto chi ha la ventura di essere preparato, di aver studiato e insegnato magari per decenni ai massimi livelli, da parte di chi in realtà non sarebbe degno nemmeno di lavarne i piedi, l'insulto contro le donne, potenti e non, si ammanta sempre dell'orrendo insulto a sfondo sessuale.
Senza ritegno e pudore alcuno, questo odio ignorante si scherma oggi dietro il monitor di un pc, trasformando in squallidi persecutori persone che nella realtà, ne sono certa, valgono meno di niente e sono incapaci di una qualsiasi azione degna di nota. 
Quello della Presidente Laura Boldrini è il caso più noto, grave perché, oltre tutto, riguarda un'alta carica dello Stato, cui deve essere portato rispetto. Chi non è d'accordo con lei, con le sue idee, ha tutto il diritto di esserlo e di esprimere le proprie opinioni, ma non ha il diritto di offendere e tormentare.
Laura Boldrini bene ha fatto, oggi 25 novembre, a rendere pubblici i nomi dei poveracci (e qualche poveraccia) che quotidianamente la insultano in maniera irripetibile.
Cara Presidente, oggi in Italia più di cento donne ogni anno muoiono per mano di maschi incapaci e troppo deboli per avere a che fare con loro, migliaia portano i segni della violenza fisica, quasi tutte siamo anche vittime di insulti a sfondo sessista.
La pochezza, l'inferiorità mentale e l'inadeguatezza sociale li accomuna tutti, assassini e molestatori: lei oggi, Presidente, ci accomuna tutte, anche quelle che, magari, non sono sempre d'accordo con lei.
Le propongo di farsi ancora una volta portatrice di una grande campagna di educazione: che almeno dai giovani che oggi frequentano le scuole parta una parola antica: rispetto.
Grazie per continuare a testa alta.

martedì 22 novembre 2016

Ode allo spinacio

Che siamo una società ipertrofica, ipertecnologica, iper un sacco di altre cose è ormai questione consolidata.
Che le stagioni non siano più quelle di una volta, è una vulgata patrimonio comune.
Che mentre ci lamentiamo di qualunque cosa, dalle banche al mascara che cola quando meno te l'aspetti, dalle tasse al fatto gravissimo che non siamo stati fra i primi 100 ad aggiudicarci l'ultimo modello di smartphone, anche queste sono cose ormai quotidiane.
Meno comprensibile, ma forse nemmeno tanto, è che, allo scadere del mese di novembre, proprio come accadeva un anno fa, mi ritrovi a dover "prenotare" gli spinaci alla signora che mi vende la frutta e la verdura.
Vista la stagione, se fossi presa da un improvviso slancio di nouvelle cuisine, potrei magari prenotare delle fragole, o pomodorini particolari, che invece fanno bella mostra di sé in ogni vetrina, senza doversi preoccupare troppo.
Ma lo spinacio no, quello è diventato merce rara (in novembre e dicembre!): ci sono le spinacine da taglio, le costine da taglio, qualunque altra cosa ma il buon caro vecchio spinacio latita. Sempre che non si voglia acquistarlo surgelato.
Dopo attenta indagine condotta lo scorso anno, e confermata dai primi dati di questi giorni, ho scoperto che più nessuno sa "come fare" con gli spinaci...., come pulirli e lavarli...., e poi tutta l'operazione può richiedere ben 15-20 minuti della nostra preziosa vita sconvolta nel rincorrere smartphone e mascara...
Esterrefatta, volendo preparare degli gnocchi di ricotta e spinaci, continuo a programmare il menu casalingo e a prenotare la preziosa materia prima. Garantisco che con gli spinaci freschi vengono meglio che con quelli surgelati, mentre si lessano si può applicare il mascara e mentre si raffreddano c'è tutto il tempo per scaricare tante bellissime app di cucina nel nostro smartphone nuovo fiammante.
Propongo alle agenzie di sondaggi un'indagine a tappeto sul tema, magari stavolta non si sbagliano.
W gli spinaci

venerdì 4 novembre 2016

Facebook e Tina Anselmi. Cos'è moderno?

"Così la scelta della democrazia divenne scelta della libertà e rese più evidente la contraddizione fra chi ancora, dopo la istituzione della repubblica sociale italiana, immaginava che il percorso della libertà potesse essere disgiunto da quello della democrazia. In campo non c'erano solo i numeri a segnare la forza della rappresentanza. Nel Paese c'era l'adesione a una cultura, a uno stato, a una politica che, specialmente con la creazione della repubblica sociale italiana, la rendeva incompatibile con lo sviluppo dello stato democratico. [...] Una democrazia cresce rispettando non solo le istituzioni, ma aprendo le istituzioni stesse al cammino della libertà, che deve essere sempre partecipazione".
Queste alcune delle frasi che Tina Anselmi volle regalarmi in occasione dell'uscita del mio primo libro. La sua prefazione rimarrà sempre per me fonte di orgoglio, ma credo che quelle parole possano essere, come tante di quelle che nella sua lunga vita politica ha pronunciato, scritto e reso azione politica concreta, motivo di riflessione anche oggi, dopo tanti anni.
In questi giorni di Tina Anselmi si è parlato molto, tanti ne hanno raccontato la vita politica, le battaglie, l'onestà cristallina, cifra, quest'ultima, comune a tutta una generazione.
Il rischio, in un periodo confuso come questo, è quello di togliere al passato la vita che gli è appartenuta, livellando tutto nell'ecumenico "una volta sì che erano bravi": è certamente vero che il nostro Paese, ma non solo, ha vissuto stagioni nelle quali si sono messe in luce figure di assoluto livello, rese tali soprattutto da esperienze terribili e formative come la guerra, la lotta di liberazione, la volontà di uscire dall'arretratezza, la consapevolezza di stare scrivendo pagine nuove.
Non va dimenticato, però, e qui sta il valore più grande di quella stagione, che protagonista fu la dialettica politica, declinata anche nelle sue forme più aspre: Tina Anselmi era una donna schierata, che difendeva il suo credo e la sua idea di Italia, i partiti della sinistra e i sindacati dei lavoratori non le risparmiavano certo le critiche. Questo è il sale della democrazia, della libertà: confronto continuo, scontro politico, rispetto assoluto, però, per gli altri, ben sapendo (gli uni e gli altri) che quasi sempre la ragione sta nel mezzo e che un punto di incontro è necessario per andare avanti.
Tina Anselmi, intelligente com'era, fu protagonista nella fase delle riforme sociali degli anni Settanta, consapevole che il movimento che veniva dal basso andava ascoltato, che le forze che si battevano in Parlamento e fuori di esso per una nuova sanità, per un nuovo diritto di famiglia, portavano interessi reali e sapevano far pesare il consenso popolare. Cioè la partecipazione.
Unendosi ai versi di Giorgio Gaber Tina Anselmi mi scriveva che la libertà è sempre partecipazione.
Oggi il mondo è cambiato e con esso, inevitabilmente, le forme della partecipazione: inutile stupirsene o, peggio, rammaricarsene: schiere di semiologi, antropologi, sociologi, politologi e filosofi si interrogano sul ruolo che ciascuno di noi interpreta quando si siede davanti a un pc o "smanetta" con lo smartphone.
Certo che leggere le castronerie, le bufale del web, le falsità e tutta la spazzatura presenti nella rete fa ridere, oppure arrabbiare, o spesso ci indigna, ma lo snobismo di chi vorrebbe Facebook o Twitter luoghi di certami accademici è quanto meno irritante.
Volgarità, insulti, ignoranza arrogante rischiano di fare più rumore dei ragionamenti pacati, ma forse, lo dico in punta di piedi, uno dei motivi di tutto ciò sta nel nuovo, confuso desiderio di partecipazione di tanti che hanno perso la voglia di fidarsi a prescindere e che, disorientati, trovano nella grande osteria di Facebook il modo di farsi ascoltare da qualcuno e rischiano fortemente, questo è evidente, di seguire nuovi pifferai magici, fenomeni da fiera medievale. 
La storia pare sempre la stessa: ciarlatani e imbonitori che cercano di imbrogliare i malcapitati promettendo mari e monti. Solo che oggi i primi sono più difficili da acciuffare o riconoscere e il tutto diventa molto complicato.
È assolutamente vero, però, che se tanta gente ha perduto la fiducia in chi dovrebbe guidarla una parte di responsabilità sta in chi si trova ai vertici della società, troppo compreso nell'autocelebrazione per accorgersi che in democrazia nulla è assodato per sempre, che la fiducia va conquistata giorno dopo giorno e che, soprattutto in una società globale, i comportamenti individuali sono sotto i riflettori molto più di un tempo.
Pensando a Tina Anselmi e a quella classe politica c'è qualcosa che li accomunava tutti, oltre all'onestà personale e a una politica scelta come desiderio di contribuire alla crescita della società, vale a dire la capacità di comprendere ciò che accade nel corpo sociale, di capire bisogni e desideri, di tradurre le analisi in azione concreta favorendo la partecipazione che sta, appunto, alla base del cammino della libertà.

martedì 25 ottobre 2016

Conegliano colorata da giovani artisti

Ogni città ha luoghi abbandonati, spesso degradati e sostanzialmente davvero brutti. Conegliano, ahinoi, non è da meno. Troppo spesso, poi, vengono sporcati da scritte mal fatte, scarabocchi informi e altro ancora; perché, quindi, non sceglierne alcuni ed affidare alla creatività di giovani artisti il compito di abbellirli?
Lo scorso mese di luglio si è conclusa a Palazzo Sarcinelli la mostra "Conegliano 1000", nella quale giovani talenti del fumetto hanno illustrato la millenaria storia della nostra città.
Credo che un simile patrimonio, dopo il successo della mostra, non debba andare disperso e perciò ho chiesto all'Amministrazione che, presi i dovuti accordi e scelti insieme i luoghi adatti, almeno alcuni di quei disegni vengano dipinti su muri della città dai writers, che già in passato hanno collaborato.
Di seguito il testo dell'interpellanza che sarà discussa giovedì prossimo in Consiglio Comunale.
Spero proprio che si potrà fare!

Oggetto:  Interpellanza per la creazione di murales sulla storia di Conegliano

CHE
Nello scorso mese di luglio è terminata la mostra “Conegliano 1000” a Palazzo Sarcinelli, con un
grande e meritato successo di pubblico, iniziativa che ha coinvolto un numero importante di giovani
artisti che si  sono ispirati alla  storia  della  nostra città  interpretandola  attraverso  lo  strumento  del
fumetto;
Che a Conegliano abbiamo già sperimentato l'intervento di writers per abbellire alcuni muri della città,
come ad esempio nell'area ex Zanussi di Via Pittoni
CONSIDERATO CHE
Strumenti come il fumetto e il disegno consentono di avvicinare anche un pubblico giovane alla storia;
Potrebbe rivelarsi una buona iniziativa quella di continuare a celebrare il millennio cittadino ed insieme
dare un volto migliore a zone, come la stessa Via Pittoni, altrimenti lasciate nell'abbandono e nel
degrado;
IL SOTTOSCRITTO CONSIGLIERE CHIEDE
Se questa Amministrazione intenda promuovere, attraverso la collaborazione con Associazione
Fumetti in Treviso, curatrice della mostra Conegliano 1000, e con l'associazione dei writers di
Via Pittoni, la riproposizione di alcuni dei fumetti della mostra in altrettanti luoghi della città, da
scegliere insieme all'Amministrazione.


giovedì 13 ottobre 2016

Marras: se crolla problema risolto...

Ex. Ex convento, ex lazzaretto, ex caserma. A forza di essere ex-qualcosa, uno dei beni culturali simbolo di Conegliano rischia davvero di diventare un ex luogo e basta.
Nonostante gli annunci e le conferme sull'importanza strategica del complesso dell'ex convento dei Padri Domenicani, meglio noto come ex Caserma Marras, nonostante 550.000 euro messi a bilancio per salvare il tetto (e poi magicamente scomparsi dai conti del Comune), non una tegola è stata ancora cambiata. Tutto è fermo, immobile, tranne i colombi che svolazzano tranquilli e le infiltrazioni d'acqua che rischiano di compromettere del tutto la tenuta del tetto.
A voler essere cattivi si potrebbe pensare che, se crolla, il problema sarà risolto per sempre.... Con buona pace dell'Art Bonus e del nuovo centro culturale cittadino.
Di seguito l'ennesima interpellanza che ho presentato al Consiglio Comunale.


Oggetto: Interpellanza per il salvataggio dell'ex caserma Marras

PREMESSO CHE

  • Dal 2007 esiste un progetto per il restauro e la valorizzazione dell'intero complesso dell'ex Caserma Marras, approvato anche dalla Soprintendenza, reso esecutivo e mai finanziato
  • Nel corso degli anni la situazione dell'intero manufatto si è ulteriormente degradata e che più volte è stato lanciato l'allarme per lo stato di sicurezza del tetto
  • Il complesso è un bene di interesse culturale ai sensi degli artt. 10, 12 e 13 del D.L.gs. 22 gennaio 2004, n.42 e s.m.i. (Codice dei beni culturali e del paesaggio)
CONSIDERATO CHE
  • Negli anni scorsi questa Amministrazione ha più volte annunciato di voler almeno mettere in sicurezza il tetto dell'immobile per evitarne il crollo, ma fino ad ora non si è provveduto ad iniziare i lavori
  • Il Comune di Conegliano ha aderito ad Art Bonus inserendo l'ex Caserma Marras tra i beni culturali da salvare
  • L'eventuale crollo del tetto provocherebbe danni tali da compromettere l'intera struttura
Il sottoscritto consigliere CHIEDE:
  • Se questa Amministrazione intenda finanziare urgentemente i lavori per la messa in sicurezza del tetto dell'ex Caserma Marras, al fine di salvare il futuro di un luogo che continua ad essere indicato come prioritario per il futuro della città.


domenica 9 ottobre 2016

Un triste vento

Buongiorno a tutti, a quelli che si sono chiesti come mai non scrivo da settimane e anche a quelli, la stragrande maggioranza, che non se ne sono curati per nulla.
Forse mi sono smarrita in una valanga continua di informazioni, troppo spesso di presunte notizie lanciate e rilanciate mille volte, deformate ad arte, smozzicate per ignoranza, rivoltate per il solo gusto di riempire l'immensa e orgiastica osteria frequentata dal popolo dei social.
Sia chiaro, io per prima frequento la suddetta osteria virtuale, nella quale si incontrano anche tante persone simpatiche, si leggono barzellette divertenti, si chiacchiera innocentemente del più e del meno.
Fin qui tutto bene; a far male è lo choc quotidiano davanti a persone che con la stessa facilità invocano Dio, adorano gattini coccolati come neonati (che sempre meno nascono dalle nostre parti) e spargono odio, odio viscerale verso altri esseri umani.
Abbiamo tutti uno stesso pianeta, nel quale dopo millenni di scontri, guerre fratricide, sgozzamenti e distruzioni, mirabolanti invenzioni e poetica, testarda ricerca di bellezza e armonia, non abbiamo ancora imparato la semplice verità che siamo da sempre destinati ad incontrarci.
Una grande parte della Terra vede scomparire ciò che resta di civiltà antichissime, distrutto da una furia cieca e orrenda, un'altra, ipertrofica e troppo annoiata per inventare qualcosa di veramente nuovo, si stringe attorno alle proprie poche e caduche sicurezze: automobili, case, denaro frutto di tanto lavoro ma destinato al sogno dell'acquisto perenne quindi fondamentalmente inutile, addirittura al viaggio verso quella parte di mondo che da un lato è precluso a causa delle guerre, del terrorismo, degli uragani, dei terremoti e dall'altro mantiene il fascino molto esotico del buon selvaggio, del "posti stupendi ma non ci vivrei, dovresti vedere i bambini, artigianato che non costa nulla, loro vivono davvero con niente, brutta la povertà, poverini ma io non ci posso fare niente".
Fondamentale, comunque, che se ne stiano lontani.
C'è un triste vento, in giro, troppo somigliante a quello cantato da Salvatore Quasimodo, un vento che trasuda solo paura e odio, che fa smarrire la giusta proporzione delle cose, che tende a pensare di ridurre i nostri grandi problemi di civiltà stanca e molle a un'unica causa: gli altri.
Qualunque cosa siano gli altri, non importa, sono altri da noi, che siamo bravi, intelligenti, onesti e buoni, molto buoni. In vent'anni e forse più siamo riusciti a crescere generazioni talmente comode da spaventarsi davanti a due centimetri di neve, da misurare gli effetti del clima solo se legati alla possibilità o meno di un week-end di sole, da non conoscere più il significato del desiderio e dell'impegno per esaudirlo, da non riuscire a concentrarsi su un pensiero complesso per più di 5 minuti.
È triste il vento che vede un candidato a diventare l'uomo più potente del pianeta bullarsi come un guappo di periferia della propria cattiveria, del disprezzo verso chiunque non sia come lui, della violenza verso le donne, i musulmani, i non americani-bianchi-ricchi-selfmade che trasuda dalle sue parole, in un Paese che è sì la più grande democrazia del mondo, ma che mantiene un tasso di omicidi ineguagliato.
È triste il vento che crede davvero che l'unica soluzione stia nel nascondersi dietro una orribile bugia generatrice solo di odio e, in fondo, malessere, vale a dire la convinzione che ogni nostro male provenga da oltre i nostri confini, siano essi quelli di un mare divenuto enorme bara o quelli del fiume vicino, o del cancello di casa.
Qualcuno si ribella a tanta stupida ottusità, qualcuno argomenta tentando di spiegare la storia, qualcuno tace, sopraffatto e stordito da tanta cattiveria, tanti lavorano anche per migliorare le cose.
Per fortuna tanti pensano diversamente, senza nascondersi i problemi e le difficoltà provano ad affrontarli partendo dal presupposto che su questo pianeta tutti dovrebbero avere la stessa libertà di vivere dignitosamente.
Per fortuna proprio oggi in tanti stanno marciando, ancora una volta, da Perugia verso Assisi, luogo di meditazione e impegno per la pace.

lunedì 12 settembre 2016

"Honestà"? Aggiungiamoci anche "humiltà".

Qualche giorno fa ho trascorso un'ora negli uffici per i Lavori Pubblici di Conegliano: svolgevo quella che in gergo si chiama "attività ispettiva dei consiglieri comunali". In parole povere, avendo chiesto la documentazione relativa a due problematiche della città, i funzionari mi hanno invitata a recarmi lì per verificare insieme di che cosa esattamente avessi bisogno.
Solerti e gentili come sempre, davanti a due faldoni alti ciascuno una quarantina di centimetri hanno iniziato a spiegarmi dall'inizio l'iter di una pratica, usando, fra l'altro, la memoria di ambedue per ricordare non solo ciò che la massa di carte recita, ma il ragionamento che stava dietro le scelte, com'era andata, etc...
Si tratta di due funzionari "di lungo corso", persone che da 20-25 anni lavorano nella struttura del Comune, ben disposti, come i loro colleghi, a rispondere a domande, fornire informazioni, spiegare cose che non sono sempre così semplici, che hanno bisogno di tempo per essere comprese. Starà a me, poi, compiere l'analisi personale e decidere come agire.
Perché racconto tutto questo? Nulla di strano, almeno in una città "normale", dove i rapporti personali (purché improntati al rispetto) sono abbastanza facili e dove i dipendenti comunali lavorano con coscienza e responsabilità.
L'aspetto più normale è però la certezza che non esistono ricette preconfezionate, men che meno la scienza infusa; di più ancora la consapevolezza che quella amministrativa (come quasi ogni altra) è una macchina complessa, delicata, che necessita di studio, applicazione, umiltà, tantissima umiltà.
La voglia di cambiare è legittima e sacrosanta, il desiderio di imprimere un nuovo corso agli eventi è la molla che spinge ad occuparsi di politica: tutto ciò sta alla base della democrazia, purché ci si intenda sul suo significato e sul semplice concetto che l'ultimo che arriva non è per forza il più intelligente e quelli che lo hanno preceduto magari non sono stati né disonesti né imbecilli.
In un mondo complesso la democrazia ateniese non esiste, non è vero che qualunque cittadino può magicamente decidere su provvedimenti per i quali ci vogliono ore di studio perché siano compresi, per questo esiste l'istituto della delega (che, detto per inciso, non funziona con i like di Facebook); chi si assume responsabilità di governo deve essere in grado di espletare il proprio mandato, libero da condizionamenti e obbligato ad assumersi le proprie responsabilità, intellettualmente onesto da ammettere di non essere un UFO caduto dal cielo e nemmeno un emerito sconosciuto là dove si decide davvero. 
Gli altarini, in politica, si scoprono presto, la sicumera non aiuta, anzi.
Per concludere: l'onestà personale non si mette in discussione fino a prova contraria, ma quella intellettuale dovrebbe essere una premessa fondamentale, soprattutto per chi si presenta come novità; l'improvvisazione, per chi vuole governare soprattutto una grande città, è foriera di disastri, come è sotto gli occhi di tutti.
L'umiltà è un'altra caratteristica che ultimamente si vede poco in giro, e dire che permetterebbe di agire con libertà e consapevolezza, con la conoscenza dei propri limiti e la necessaria apertura verso gli altri, avendo chiaro che non si è un cavaliere senza macchia e senza paura contro un intero mondo di ingiusti delinquenti. 
In una parola, l'umiltà, secondo me, è condizione essenziale per l'onestà.
Con buona pace dei bugiardi dell'ultima ora.


domenica 28 agosto 2016

Il cuore d'Italia #terremoto

Non quanto avrei voluto, ma mi è stata sufficiente qualche breve e per forza superficiale visita per innamorarmi perdutamente di un lembo di Terra oggi offeso, sconvolto, ferito.
Cuore e spina dorsale d'Italia quell'Appennino è aspro e insieme dolcissimo, selvaggio e capace di donare, all'improvviso, squarci di bellezza incomparabili, atolli di minuscola e potente sapienza, testimonianze di amore assoluto per una terra che è stata avara con gli uomini che l'hanno abitata e che però vi tornano, se lontani, appena possono.
Chi non conosce, almeno di nome, le colline toscane, la magica spiritualità dell'Umbria? Pochi si sono ancora avventurati a conoscere queste montagne con gli ulivi, i pianori e le risalite, i fiumi e i ruscelli, la neve che digrada quasi verso il mare attraverso mille tonalità di verde.
Saranno forse l'antica consuetudine dei pastori alla transumanza, la sempiterna ricerca di nuovi pascoli, l'abitudine a confrontarsi con papi potentissimi e santi pervicaci ad aver forgiato la gente che attorno agli antri della Sibilla coltiva, prega, si industria, lotta e ama.
Difficile enumerare i piccoli borghi, ciascuno con il campanile, magari un antico convento, una sorgente limpidissima e opere d'arte sublimi sconosciute ai libri più in voga e ai cataloghi.
Venire qui era, e dovrà tornare ad essere, un privilegio da usare con parsimonia e rispetto.
Oggi piangiamo i morti e abbracciamo i nostri concittadini che hanno perduto tutto, domani so che loro sapranno ricostruire e vigilare affinché nessuno speculi su una terra che dobbiamo sentire come nostra e che è soprattutto loro.
Guido Piovene nel 1957 dedicò un prezioso libro al suo Viaggio in Italia. Fra quelle pagine alcune righe che lui dedicò alle Marche possono essere, secondo me, allargate a descrivere quel pezzo di terra oggi violentata. Oggi l'Italia è con voi, perché l'Italia è lì, a casa vostra.
"Se si volesse stabilire qual è il paesaggio italiano più tipico, bisognerebbe indicare le Marche, specie nel Maceratese ed ai suoi confini. L'Italia, nel suo insieme, è una specie di prisma, nel quale sembrano riflettersi tutti i paesaggi della terra, facendo atto di presenza in proporzioni moderate e armonizzandosi l'un l'altro. L'Italia, con i suoi paesaggi, è un distillato del mondo; le Marche dell'Italia".
Da ora guarderemo il mondo anche attraverso il meraviglioso prisma della vostra terra.
Con affetto

domenica 21 agosto 2016

Una pastina di riso, la mia isola felice grazie a Mario

Un'isola felice, in senso stretto, non esiste, ma ogni bimbo ne coltiva una dentro di sé, la frequenta e la mantiene viva nel desiderio e nelle certe speranze dell'infanzia. Poi si cresce e in parte si cambia, costretti a confrontarsi con la vita da grandi, con le responsabilità, con i progetti concreti. Solo in parte, appunto: nel fondo rimangono i ricordi, pronti ad affiorare, a portare un sorriso anche se a riportarli al presente sono le brutte notizie.
Non so quanti coneglianesi hanno conosciuto il "Cocia cocia", lo strano personaggio (che a me, bambina, pareva vecchio ma chissà quanti anni aveva, in realtà) che nelle sere d'estate girava per il viale della stazione suonando le foglie degli alberi intercalando col suo eterno "Cocia eo cocia?".
Era un po' suonato, proprio come le foglie che usava a mo' di armonica a bocca, ma non faceva male a nessuno ed era uno spasso per tutti quelli che frequentavano quel centro città in quelle pigre e calde sere. Ci avevo provato anch'io, a suonare le foglie, con risultati incerti ma di sicuro divertenti per il mio "pubblico": i miei genitori, i loro amici, fra cui Mario.
Il viale, in quelle sere, era illuminato dalle luci della stazione, dai lampioni che mostravano bene il palazzo delle Imposte Dirette e dell'Ufficio del Registro, con quel bello spazio davanti, con la fontanella e la bilancia che, oltre al peso, dava forniva anche l'oroscopo (ma come faceva? Misteri mai risolti).
C'era un'altra luce, quella che era la meta serale: aveva l'insegna azzurra scritta in corsivo (io ancora non sapevo cosa fosse il corsivo), tanti tavolini fuori, al fresco degli alberi, e dentro il banco dei gelati e delle paste. Durante la brutta stagione tanti clienti scendevano la scala interna per giocare a "boccette" in interminabili partite: laggiù c'era per me un altro mondo misterioso, addolcito dal profumo della pasticceria, lo stesso che si si sentiva camminando sul viale. Già, perché, fosse per l'odorato sviluppato o perché passando meno automobili nell'aria si sentivano più profumi.
Il mio papà e Mario erano molto amici, come si dice "mi aveva visto nascere". Mi ha sempre accolto con un sorriso, anche negli anni successivi, ma quando ero bambina, soprattutto, io sapevo che da Catanzaro c'era sempre una pastina di riso per me.
Non mi interessavano tanto le creme, le cioccolate, io volevo quella semplice pastina di riso, che solo Mario sapeva fare e che teneva per me, a qualunque ora.
Non ne ho più mangiate, da allora, perché la pastina di riso, per me, è e rimane solo quella di Mario Catanzaro.
Ora Mario non c'è più, la notizia della sua morte ha rattristato me e tutti quelli che lo hanno conosciuto, tutti siamo vicini ai suoi cari, alla sua famiglia.
Appena l'ho saputo Mario ha saputo farmi l'ultimo regalo, il ricordo del suo sorriso, del bene che mi ha voluto e di quella pastina di riso, piccola isola felice della mia infanzia