Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

mercoledì 28 gennaio 2015

Case popolari, ancora nulla di fatto

A due anni dalla firma della convenzione con ATER e Conegliano Servizi, dopo mesi dalle audizioni pubbliche dell'A.U. di Conegliano Servizi, dopo Consigli Comunali, interpellanze e mozioni, veniamo a sapere che in Via Cacciatori delle Alpi non si sa cosa fare.
Caro Sindaco, non ci siamo. La convenzione prevedeva un "laboratorio territoriale" fra gli attori per stabilire compiti, modalità, proposte tecniche: è mai stato convocato? Come mai dopo due anni di silenzio oggi scopriamo che l'intervento "costa troppo"?
Perché in oltre due anni non sono state attivate tutte le procedure necessarie, non è stato sollecitato l'Ater oltre che a predisporre il masterplan ed il progetto edilizio a reperire le risorse, magari in questo supportandolo presso la Regione e la Comunità Europea, tenendo conto anche di questa possibilità?
Leggiamo sulla stampa che non ci sono molte possibilità alternative alla demolizione... E allora? Dopo due anni dobbiamo aspettarci un nuovo programma o l'abbandono definitivo di qualsiasi proposta di recupero del quartiere?
L'ultimo Consiglio Comunale risale alla fine di novembre, quando si parlò proprio di case popolari, ma in quell'occasione nulla fu comunicato riguardo alla situazione di Via Cacciatori delle Alpi. Ricordo al Sindaco che ogni volta, quando le opposizioni chiedono chiarezza sul tema dell'edilizia popolare la risposta è immancabilmente il silenzio.
Con tutta evidenza, con buona pace delle facili parole, la situazione in cui versa il patrimonio edilizio pubblico e in cui sono costrette a vivere molte famiglie coneglianesi rimane in fondo alle preoccupazioni di questa Giunta.
Isabella Gianelloni

martedì 27 gennaio 2015

Giornata della memoria: la conoscenza unico antidoto ai nuovi orrori

San Saba, Dachau, Mauthausen, Bergen Belsen, Auschwitz - Birkenau.... La geografia dell'orrore disegna contorni che ricordano morte, dolore, sofferenza, fine dell'uomo e della sua capacità di distinguere tra il bene e il male. Il male assoluto l'ho visto coi miei occhi, rappresentato dalla casetta bianca che ospitava il comandante del campo di Auschwitz: davanti ad uno dei forni crematori, dove la sera quell'uomo (ma forse non era più tale da tempo) ritornava a vestire i panni del buon padre di famiglia dopo aver sterminato migliaia di persone. Un timbro di cartellino a scandire un'allucinazione senza fine.
Chiunque conosce quella maledetta scritta, Arbeit Macht Frei, lo scherno crudele di un inganno ordito a danno di esseri umani colpevoli solo di essere nati, di uomini e donne che volevano essere tali. Non numeri o burattini.
Per anni il sole e la luce furono banditi da un luogo dove l'unica stagione era la morte.
Una morte atroce, una morte fortemente voluta da aguzzini precisi e organizzati in ogni dettaglio: prima eliminarono i polacchi, rei di vivere in Polonia e di coltivare la loro terra; insieme a loro particolare cura fu posta nell'uccisione degli intellettuali e dei professori che, come è ovvio, imbracciano armi ben più pericolose dei cannoni: il sapere e soprattutto la sua trasmissione finiscono per creare cittadini consapevoli, curiosi di conoscere, desiderosi di contare.
Poi venne il momento della "soluzione finale", dello sterminio di massa, di un orrore che, a detta degli stessi nazisti, non sarebbe stato creduto: troppo folle, troppo crudele, troppo impensabile.
Eppure... abbiamo poi capito che la "banalità del male" può colpire sempre, l'ha fatto ancora, con la complicità di quell'altra caratteristica tutta umana, l'indifferenza.
Oggi chi visita Auschwitz lo fa in silenzio, solo le guide parlano e oltre alla loro voce si sente solo lo scalpiccio delle centinaia di scarpe che calpestano il terreno, con lo stesso, inconfondibile rumore che fanno i passi dietro ai carri funebri: quello è un immenso cimitero, lì, ad ogni passo, sappiamo che in qualche modo si cammina sul dolore e sulla memoria.  
Ricordo l'ingresso nel blocco 4: i gradini sono consumati dai milioni di piedi che li hanno calpestati, dentro si entra davvero nell'inferno e le lacrime cominciano a scorrere senza freno.
Lo "Ziclon B" uccideva gli esseri umani in circa 20 minuti, soffocandoli con il cianuro. Soltanto ad Auschwitz fra il 1942 e il 1943 ne furono usati 20.000 kg, la ditta produttrice guadagnò 300.000 marchi dalla sua vendita.
Per uccidere 1500 persone erano necessari 5-7 kg di veleno. 
L'inferno più nero appare con le tonnellate di capelli rasati ai cadaveri prima di bruciarli, con le scarpe degli adulti e quelle dei bambini in mostra dietro immense teche, le valigie coi nomi e le date di nascita, le stoviglie portate da casa per cominciare una nuova vita. Testimonianze di vite stroncate da un inganno immane, che non avrà mai perdono.
Ogni buon padre ebreo sa che deve far studiare il proprio figlio, sa che dalla Torah imparerà i principi buoni per l'intera vita: migliaia e migliaia di paia di occhiali aiutavano occhi che non hanno più potuto vedere. 
La cenere ha ricoperto per anni questo suolo, quello di Birkenau e di tutti gli altri luoghi di sterminio, in uno stillicidio di lutti, di orrore. La grande Vistola aveva le acque bianche, torbide di morte.
Fra le lacrime e i pensieri del lavoro strenuo, ripagato con freddo e fame, delle torture che portavano a morte sicura, quel giorno ho chiesto alla guida come facesse a sopportare ogni giorno quel carico di dolore.
La sua risposta è stata lapidaria e mi ha fatto pensare e soffrire ancora di più: "E' un privilegio".
Ha ragione lui: poter raccontare, poter sensibilizzare, poter lottare ancora oggi contro l'indifferenza è un grande privilegio.
Un privilegio che dobbiamo far conoscere, che deve diventare patrimonio delle giovani generazioni: troppi lager ancora nel mondo, troppo dolore, troppa disumanità.
L'unico antidoto è, ancora una volta, la conoscenza.

venerdì 23 gennaio 2015

E le mura del Castello?

Dopo l'invio, lo scorso 1 dicembre, di una lettera al Sindaco di Conegliano ed alla Sovrintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Veneto sullo stato di degrado delle mura lato nord del Castello, non ho ancora ricevuto nessuna risposta da parte del primo cittadino della nostra città.
Il 20 gennaio la Sovrintendenza ha evidenziato al Comune lo stato di degrado delle mura, ricordando quanto prescritto dal D.Lgs 42/2004: "Lo Stato, le Regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente e istituto pubblico hanno l'obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza".
Non solo, ricordando che le mura versano "in stato di pessima conservazione, con pericolo di crolli e perdita di materiale, senza escludere il pericolo per la pubblica incolumità", la Sovrintendenza chiede di "predisporre quanto prima un programma (progetto) riguardante il restauro ed il consolidamento statico dell'immobile" e comunque di attivare senza indugio procedure urgenti per evitare ulteriori danni al bene stesso".
A preoccupare è il silenzio da parte del Sindaco: se la situazione delle mura è costantemente monitorata e non ci sono problemi, dopo quasi due mesi avrebbe potuto trovare il tempo di rispondermi; se ci sono stati passi avanti riguardo ai progetti di restauro presentati alla Regione, anche in questo caso avrebbe potuto rispondermi; se sono state già avviate le procedure per la messa in sicurezza, idem.
Se il problema è come sempre la mancanza di fondi, che viene continuamente sbandierata, ricordo al nostro Sindaco che il castello è lì da mille anni e da almeno venti questa amministrazione si occupa della nostra città: non ho mai sentito pubblici appelli accorati per coinvolgere i privati, gli enti, le istituzioni, le associazioni con l'obiettivo di salvare e restaurare il simbolo di Conegliano.
Se dei privati arrivano a finanziare il restauro del Colosseo, credo che Conegliano potrebbe almeno cercare di coinvolgere il FAI, Italia Nostra, grandi aziende private, istituti bancari, ecc.
La "perla del Veneto" non può diventare un opaco sassolino.

giovedì 15 gennaio 2015

A che punto la Conegliano Servizi? Cosa fa il Comune per le case popolari?

Ancora nulla di chiaro, dopo sei mesi dall'audizione in Consiglio Comunela dell'Amministratore Unico della Conegliano Servizi.
La società è in liquidazione o no? Chi si sta occupando davvero delle case popolari, con i gravi problemi strutturali che presentano?
Ho presentato lunedì un'interpellanza al Sindaco di Conegliano, di cui riporto il testo.




Conegliano, 12/01/2015

Oggetto: interpellanza sullo stato della Conegliano Servizi

PREMESSO CHE

  • Lo scorso giugno l'Amministratore Unico della Conegliano Servizi ha relazionato al Consiglio Comunale sullo stato di fatto della società;
  • Che nella stessa relazione lo stesso Dott. Tel poneva la questione riguardante: a) la messa in liquidazione della C.S. con il relativo pagamento delle passività e di quanto dovuto al Fisco; b) la prosecuzione a tempo determinato dell'attività
  • In ogni caso venivano fatti presenti i dati relativi all'urgenza di interventi di manutenzione degli alloggi di ERP e la proposta di focalizzare la missione della Società “sulla gestione degli alloggi ERP e su attività di developer e fund raising, curando in favore del Comune di Conegliano la attività progettuale in materia di social housing ed il reperimento di finanziamenti e di contributi nazionali/comunitari”.

CONSIDERATO CHE,
  • Lo scorso autunno, con l'arrivo della stagione fredda, sono emerse le numerose emergenze all'interno degli alloggi gestiti da C.S.;
  • Che l'A.U. Dott. Tel ha riferito in Consiglio Comunale riguardo all'indecorosa questione delle spese condominiali arretrate
  • Il tema della casa, con la necessità di prendere per mano tutta la questione, dalle graduatorie alla gestione dei rapporti con gli inquilini, dalla manutenzione all'ammodernamento degli appartamenti, con la crisi economica che continua a vedere in difficoltà tante famiglie, è quanto mai di stringente attualità amministrativa
Il sottoscritto consigliere CHIEDE:
  • Quali siano le scelte che codesta Amministrazione intende attuare riguardo alla gestione e/o alla liquidazione di Conegliano Servizi
  • In che modo si intenda intervenire per sanare le numerose emergenze delle case in gestione a Conegliano Servizi
  • Se si sia avviata (o con che tempi si intenda avviare), così come richiesto dall'A.U. Di C.S., una attività progettuale in materia di social housing anche attraverso iil reperimento di finanziamenti e di contributi nazionali/comunitari

venerdì 9 gennaio 2015

Io, noi, Enrico

Dopo mesi, durante i quali per un motivo o per l'altro non c'ero riuscita, ho visto il film di Walter Veltroni "Quando c'era Berlinguer".
Innanzi tutto un bravo a Veltroni, immagino non sia stato facile mantenere lucidità narrativa e spirito critico parlando di Enrico.
Sì perché come dice sua figlia Bianca ad un certo punto, se il dolore dei familiari ha sempre un carattere speciale, privato, intimo, in quel caso si è trattato per tutti noi di un dolore comune non ancora sopito, della condivisione profonda, all'unisono, di idee, speranze, voglia di cambiare.
Ed è vero che su quel palco di Padova, nel fiume di donne uomini e ragazzi che da lì lo accompagnò all'aeroporto di Tessera, nella sterminata folla di Piazza San Giovanni si arenò una barca, si incagliò un progetto, morirono tante speranze.
Perché, direte voi, parlare proprio oggi di Enrico Berlinguer, quando l'attualità ci mostra una parte dell'umanità immersa nell'atrocità, un'altra nel lusso spensierato e la politica, tutta e non solo in Italia, incapace di dare, non dico risposte, ma nemmeno speranze?
Davanti ai morti di Parigi ed alle stragi quotidiane in Africa e Medio Oriente l'orrore e la condanna devono fare strada anche alla riflessione sugli equilibri di un pianeta sempre più squilibrato, sui grandi tessitori di interessi enormi e grondanti sangue innocente (tutto) che si fanno scudo dell'idiozia oscurantista e xenofoba che non vede oltre il sentiero dell'orto di casa.
In quel film si rivede un'intervista in cui si chiede a Berlinguer cosa voglia dire volere la pace: con il suo sorriso ineguagliabile Enrico risponde che pace significa non solo assenza di guerra (e sarebbe già tanto in una Terra con più di 700 conflitti armati in corso) ma libertà, democrazia, sviluppo, liberazione dalla fame e dall'ignoranza.
Questo dev'essere l'orizzonte vero della politica, l'azione quotidiana e instancabile perché l'Europa diventi davvero un attore credibile in un contesto mondiale complicato, ma per fare ciò occorre l'apporto delle persone, l'elevamento del livello culturale e di passione dei milioni di donne, uomini, giovani e no, che albergano insieme in questo continente.
Per unirli, però, occorre una classe politica colta e appassionata, che sappia osare ma che sia, soprattutto, credibile. Credibile perché usa il linguaggio ed il comportamento della verità e dell'onestà.
Il mondo, dopo 30 anni dalla morte di Berlinguer è completamente cambiato, si sono rovesciati gli orizzonti.... ne siamo proprio sicuri?
Se mi guardo intorno vedo un inasprirsi dei conflitti nel mondo, un ambiente sempre più degradato e sfruttato, l'impoverimento di intere popolazioni e degli italiani (a parte quelli che continuano ad arricchirsi indisturbati), una classe politica che troppo spesso pare annaspare senza saper dove andare.
E allora è inevitabile che subentri la nostalgia, non tanto dei tempi andati o della gioventù, ma di una forza politica che sia aggregazione, progetto, speranza, teste, braccia e gambe che sanno camminare insieme. E mi manca terribilmente Enrico Berlinguer.