Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

mercoledì 29 maggio 2013

Versi. Pochi

Volgi all'indietro
un subitaneo sguardo
e scopri
nuovi orizzonti di
dolcezza antica.
Segui la linea
sinuosa di terre solcate,
di frutti sudati
e assapori profumi noti
di sapori rinnovati.

Isabella Gianelloni
18 aprile 2010

giovedì 23 maggio 2013

Rottamazioni ...ante litteram

Conegliano: le elezioni amministrative del 1914

I primi anni del secolo avevano visto un grande fervore, anche una circolazione di idee come mai era accaduto prima, a tutti i livelli. Certamente la periferia viveva diversamente, più da lontano, i grandi avvenimenti, ma le iniziative, anche politiche, non mancavano. Il 1914, che vide lEuropa iniziare il primo conflitto mondiale, fu anno di svolta, di confine, di grandi e piccole novità unite al perseverare della vita di tutti i giorni.
La lettura della stampa dell’epoca, in questo caso si è preso come esempio “Il Gazzettino”, può dare certamente un’idea, sia pure parziale, di come si svolgesse la quotidianità di un piccolo centro di provincia come Conegliano.
A partire dal 25 luglio 1914 tutte le prime pagine furono dedicate all’approssimarsi e poi allo scoppio della guerra, mentre quelle interne, destinate alla cronaca locale, testimoniano l’iniziale lontananza dall’idea stessa della guerra, con il progressivo aumento, però, delle notizie legate alle preoccupazioni crescenti.
È utile però rendere conto di alcune questioni riguardanti la vita politica e amministrativa della città in quel 1914. Dopo una serie di dimissioni e decessi il Consiglio Comunale era stato sciolto nel mese di marzo. Fino a quel momento a reggere Conegliano era stata una Giunta appoggiata anche dai consiglieri socialisti, grazie alla vittoria alle elezioni di una lista unitaria:() Le elezioni Amministrative avvennero col concorso di tutto il partito democratico e non della sola frazione socialista.1 Si era cercato di evitare il commissariamento del Comune, ma tutto fu inutile, visto che nel mese di marzo, appunto, il Consiglio Comunale si era ridotto a 9 componenti.
Non erano momenti facili, la situazione generale si stava aggravando, vista anche la tensione internazionale sempre più forte, avvertita soprattutto in zone come questa, tutto sommato di confine. C’era consapevolezza di tutto questo anche nelle categorie economiche, che cercarono anche di trovare modi fantasiosi per affrontare la congiuntura. L’Unione fra Industriali, Commercianti ed Esercenti di Conegliano pensò che potesse essere utile reagire in senso positivo, e nel mese di aprile invitò il Commissario Prefettizio ad adoperarsi per rimettere in piedi la banda cittadina, in quanto l’associazione “ha deliberato di dare nel prossimo Settembre dei pubblici festeggiamenti che richiamando nella nostra città gran copia di gitanti, servirà a dare lustro al nostro Paese e vantaggio al commercio cittadino, purtroppo travagliato dalla crisi economica che imperversa”. (…) “Nessun festeggiamento si può dare se non abbiamo il sussidio della Banda Cittadina”.
Le elezioni misero Conegliano di fronte ad una novità assoluta: la vittoria di una listaFrazionista, vale a dire delle frazioni cittadine. Non è ben chiaro se la lista rappresentasse davvero una protesta della periferia nei confronti del centro della città, ma il dato che appare inconfutabile, scorrendo lelenco dei vecchi e dei nuovi consiglieri comunali, è che su 30 eletti 26 erano nuovi, e non solo: ben cinque erano socialisti. A non cambiare affatto furono la difficoltà nel mettere in piedi la nuova Giunta comunale e le polemiche sullandamento delle elezioni.2
Isabella Gianelloni

1 Intervento del consigliere Michieli nel Consiglio Comunale del 3 dicembre 1913, riunitosi per discutere delle dimissioni presentate dai consiglieri socialisti dopo le elezioni politiche del 1913. Le dimissioni furono respinte con la seguente motivazione:Se per un momento la recente lotta ha divisi gli animi nel campo politico, ciò non significa che siano venuti meno laccordo e la reciproca fiducia in quello amministrativo e che non si possa continuare lo svolgimento del programma che fu assieme concretato ed assolvere così limpegno assunto verso il Paese dallattuale Amministrazione. In: AMMC, Sez. C, B. 140, Titolo I, Art. 1.

2 Nella seduta del 6 agosto 1914, con allordine del giorno la nomina del Sindaco e degli assessori la maggioranza, nella persona del Dott. Sonego, affermò non esserciperfetta armonia per la nomina del sindaco e perciò propone di rimandarla a dopo che sarà avvenuto laffiatamento sulla scelta della persona di comune compiacenza. Furono i consiglieri socialisti i primi ad obiettare chele persone le quali hanno manipolato le elezioni avevano lobbligo di preparare anche lAmministrazione.
Ma, moderati del centro città e frazionisti votarono compatti (20 contro i 5 socialisti) la proposta di Sonego di rimandare ad altra data l’elezione del sindaco.

mercoledì 22 maggio 2013

Pensando a Voltaire

L'inizio e la fine di "Candido".
...Pangloss insegnava la metafisico-teologo-cosmolostoltologia. Provava ammirabilmente che non si dà effetto senza causa, e che in questo migliore dei mondi possibili, il castello di monsignor barone era il più bel castello, e madama la miglior possibile baronessa.
"E' dimostrato" diceva "che le cose non possono essere altrimenti, poiché, in quanto tutto è fatto per un fine, necessariamente tutto è per il fine migliore. Notate che i nasi sono stati fatti per reggere occhiali, e noi abbiam bene degli occhiali. Le gambe, visibilmente, sono costituite per le calze. Le pietre sono state formate per esser tagliate e far castelli, e monsignore ha ben un bellissimo castello: il maggior barone infatti della provincia, dev'essere il meglio alloggiato; e i maiali essendo fatti per esser mangiati, noi mangiamo del porco tutto l'anno: conseguentemente coloro i quali han proferito che tutto è bene, hanno detto una stoltezza, bisognava dire che tutto è per il meglio".
Candido ascoltava con attenzione....
[...]
E Pangloss diceva talvolta a Candido: "Gli eventi forman tutti una catena nel migliore dei mondi possibili, perché, finalmente, quando voi non foste stato cacciato a furia di calci nel deretano da un bel castello per amor di madamigella Cunegonda; quando non foste stato sottomesso all'Inquisizione; quando non aveste fatta a piedi l'America; quando non aveste dato un buon colpo di spada al barone; quando non aveste perso tutti i vostri montoni del bel paese d'Eldorado; non mangereste qui cedri canditi e pistacchi". 
"Ben detto" rispose Candido "ma bisogna coltivare il nostro giardino".

Voltaire, Candido, 1759

domenica 19 maggio 2013

Cara collega... Riflessioni su una supplenza

Cara collega, ti affido i tuoi ragazzi, quelle due classi con le quali ho trascorso le ultime settimane. Giornate complesse, da lasciarti senza fiato ed al minimo dell'energia: chi sono questi quasi adolescenti non più bambini non ancora grandi? Cosa si aspettano da un adulto che si inserisce nel loro gruppo? Che cosa temono, che cosa immaginano, cosa sono quei luccichii dei loro occhi, a volte sinistri a volte smarriti, allegri, preoccupati, molto spesso annoiati?
Se ripenso a quando ero studentessa so esattamente che gli adulti in generale, insegnanti di ruolo, supplenti soprattutto, vengono sottoposti ad un attento esame che in pochi minuti ne stabilisce il valore intrinseco, le capacità, l'autorevolezza. Ed il giudizio è inappellabile.
Ci ho riflettuto anche stavolta, sperando, per così dire, di "cavarmela" alla meno peggio.
Prima di entrare nelle classi che ho avuto in consegna quest'anno sapevo, per letture, discorsi, confronti con altri, che la scuola italiana versa in condizioni difficili e che la scuola media inferiore, nella fattispecie, soffre di un pluridecennale abbandono da parte di chi dovrebbe lavorare con il solo obiettivo di rendere l'istituzione - scuola il baluardo, il fondamento della società.
Non ero ancora consapevole, però, di quale fosse in realtà la gravità della situazione.
Per carità di patria, cara collega, non mi soffermo sullo stato delle strutture murarie e materiali delle scuole italiane, passo ad altro, a ciò che a noi compete di più.
Una società sbrindellata, permeata di false promesse di felicità ed improbabili mezzi per raggiungerla, incapace di guardarsi indietro e perciò ancora meno di guardare avanti pare abbia abdicato rinunciando alla trasmissione dei saperi, dei valori fondanti del rispetto e della solidarietà, anche della disciplina e dell'educazione.
O meglio, forse, nell'insieme si è creata una sorta di dualismo per cui la famiglia (o chi per essa), troppo spesso occupata ad inseguire ciò che può ed incline a dire solo "sì" (i no costano fatica, vanno spiegati, discussi, confrontati e poi necessitano di coerenza, esempio e perseveranza), delega alla scuola tutto il resto, supponendo magari che dei semplici "no", dei richiami alle regole della civile convivenza, al senso del dovere ed all'importanza del sapere siano inutile vecchiume, fastidiosi intermezzi in un mare di "machissenefrega", noiose parentesi nell'allegra marcia verso un domani in cui magicamente i ragazzi diverranno adulti furbi e consapevoli.
Noi sappiamo che non sarà così. Molti ragazzi sanno che non sarà così. Vivono però la schizofrenia di troppi esempi agli antipodi, trovano a volte anche a scuola insegnanti che si accontentano di aspettare che il tempo passi e dicono troppi sì.
Posso dirlo, anche se sottovoce? Lo dico perché lo penso: c'è anche tanta ignoranza, di quella spicciola, fuori dalla scuola quando non ci si preoccupa di insegnare ai ragazzi ad osservare il mondo con curiosità, a chiedere e pretendere dai genitori che tramandino loro ciò che sanno; dentro la scuola quando si mascherano certe incompetenze con una presuntà "bontà" nella valutazione.
Questi ultimi, però, sono casi limite, forse più estesa è la stanchezza, la rinuncia ad una battaglia che pare perduta in partenza.
Non ho mai sostenuto, al liceo e all'università, esami di pedagogia e psicologia; mi rendo conto quindi di essere molto ignorante in materia, ma sono certa che nemmeno i miei migliori insegnanti avessero quel tipo di competenze. Li sorreggeva, però, una grandissima conoscenza delle loro materie, un amore per la cultura che traspariva ad ogni lezione, instancabilmente: maestri più che professori.
Sulla mia strada, in questa esperienza di "prof", ho incontrato tanti colleghi bravi e competenti, impegnati e spesso disperati per non poter fornire risposte adeguate ai ragazzi in difficoltà (tanti, tantissimi e per mille motivi) e nemmeno a quelli bravi, vogliosi di imparare, di carpire agli insegnanti il mistero della conoscenza.
Impacciati nel trovarsi imbrigliati in sistemi burocraticamente assurdi e complicati, buoni per le statistiche ma non certo per educare i giovani ad essere persone.
Persone che pensano, riflettono, usano le proprie conoscenze per un'analisi critica della realtà: tutto questo non c'è nelle astruse griglie di valutazione, nelle definizioni inventate per giudicare un tema o un'interrogazione da gente che forse non è mai entrata in una classe.
La creatività e la fantasia dovrebbero essere premiate, non imbrigliate; il saper ragionare criticamente, la capacità di esprimere idee e concetti coerenti dovrebbero essere la "missione" della scuola.
Per tutto questo non sono necessari i tablet, forse serve molto più amore. Per ciò che si sa, con la consapevolezza che la cultura serve per essere messa a disposizione degli altri.
Per me, aver scoperto un piccolo poeta macedone, una classe con cinque musulmani felici di discutere delle affinità e delle differenze culturali che si chiedono perché mai nessuno in tre anni ha chiesto loro di parlarne, aver parlato con alcuni che esprimevano gratitudine per ciò che ero riuscita a trasmettere, spiegare, chiarire, vale quasi quanto la laurea e gli anni passati sui libri.
Vuol dire che, forse, è servito a qualcosa, che studiare ed imparare non è inutile.
Buon lavoro a te e a tutti gli altri colleghi.
Isabella Gianelloni

domenica 12 maggio 2013

Collocamento e lavoro negli Anni Quaranta

Fino almeno a tutto il 1949 ci sono testimonianze di frequenti riunioni fra i sindaci del coneglianese per cercare di affrontare l’emergenza disoccupazione. Anche quando si riusciva a mettere in cantiere qualche iniziativa non mancavano i problemi: se nel gennaio 1949 i disoccupati lanciarono un appello alla Camera del Lavoro chiedendo l’intervento immediato delle autorità comunali per l’inizio dei lavori pubblici (sottopasso ferroviario, avvio della costruzione delle Case Popolari per i senza tetto, ampliamento dell’acquedotto comunale, lavori in via XX Settembre), denunciando il dilazionamento della costruzione del nuovo ospedale e la mancata osservanza del decreto riguardante i proprietari fondiari, d’altro canto pochi giorni dopo l’ingegnere comunale faceva presente che “gli operai inviati al lavoro da martedì 1 c.m. (febbraio) tranne alcune eccezioni, hanno dato sino ad ora un rendimento nettamente insufficiente”.
La statistica ci dice che in un mese, fra la metà di gennaio e la metà di febbraio del 1949, attraverso il Fondo Soccorso Disoccupati furono impiegati, soprattutto in lavori stradali, in tutto 104 operai.
In una situazione simile l’istituzione del servizio periferico del Collocamento poteva essere una buona occasione per organizzare meglio la sistemazione delle persone e costruire dinamiche più giuste e snelle per far incontrare l’offerta e la domanda di lavoro. Come spesso è accaduto, però, anche questa volta cominciarono subito non solo le pastoie burocratiche, ma anche le incomprensioni e le difficoltà di dialogo fra i dettami delle normative e le esigenze delle realtà locali.
Il servizio periferico del Collocamento e dell’Emigrazione andava a sopprimere le vecchie Sezioni Mandamentali di Collocamento e nominava, in determinati comuni, personale incaricato temporaneamente a compenso forfetario mensile.
Con grande solerzia l’Ufficio provinciale del lavoro di Treviso chiese al sindaco di Conegliano la segnalazione di nominativi per l’incarico, avvertendo che senza la qual cosa i vecchi uffici sarebbero comunque stati soppressi senza che ci fossero i nuovi incaricati comunali. La disputa si accese anche sul compenso, che il Ministero calcolava in seimila lire mensili, considerato troppo esiguo dal Comune.
Vista la situazione, venne decisa una sorta di consorzio fra le Amministrazioni interessate (Conegliano, San Vendemiano e San Pietro di Feletto), decidendo di ripartire fra di esse le spese necessarie al mantenimento dell’ufficio situato in via XX Settembre, per l’affitto dei locali e le spese di riscaldamento, illuminazione, telefono.
Insieme alla decisione partirono le solite polemiche, i soliti scarica-barile fra l’una e l’altra autorità, sulla firma dei contratti, come quello del telefono, e anche sul pagamento delle bollette.
Si sollevarono anche questioni politiche, che indussero la Prefettura a chiedere conto del perché, sottolineandone la non opportunità, l’ufficio di collocamento fosse attiguo alla Camera del Lavoro.
Diamo per esteso la risposta del Sindaco al Prefetto, datata 30 novembre 1949:Non risponde affatto alla realtà quanto viene lamentato () e cioè, che lUfficio Comunale di Collocamento continui ad essere sistemato tuttora in locali attigui a quelli della Camera del Lavoro. Mentre la Camera del Lavoro ha sede in via Garibaldi n. 14in un fabbricato di proprietà comunale ove hanno sede lUfficio Postelegraficola PreturalAmbulatorio Medico Cassa Mutua Malattie operai dellIndustria e altro, lUfficio Comunale di Collocamento, ha invece sede da un anno e mezzo nel Palazzo ex Sarcinelli pure di proprietà comunale, a distanza di oltre 500 metri dalla Camera del Lavoro. Nella stessa lettera si diceva anche che gli uffici sarebbero stati spostati al piano terra, con accesso indipendente, più comodo e adatto anche per laccoglimento di molte persone. Evidentemente i disoccupati continuavano ad essere tanti.
Anche il pagamento dei sussidi di disoccupazione dimostrava quale e quanta fosse, in quegli anni, la disorganizzazione vera e propria della macchina amministrativa pubblica.
La Cassa di Risparmio aveva lincarico di pagare i sussidi, in quanto tesoriere del Comune, previa quietanza sui modelli dellINPS. Il comune sarebbe poi stato rimborsato dallIstituto di Previdenza. Era la procedura stessa, però, a fare acqua, tanto che, nella primavera del 1950 si arrivò ad un lungo contenzioso fra comune e INPS, per un assegno di cinquecentomila lire (una grossa cifra, allepoca) mai giunto nelle casse comunali. Nonostante il logico suggerimento da parte del Sindaco, affinché gli assegni fossero come minimonon trasferibilied intestati al Tesoriere del Comune, lIstituto di Previdenza continuò ad emettere gli assegni intestati al Sindaco di Conegliano.1
Come detto sopra la situazione di disagio riguardo all’occupazione durò molto a lungo, tanto che il 19 gennaio 1952 il sindaco Guido Curto, emanando una circolare, dovette ricordare gli accordi fra le varie associazioni economiche della provincia e le Organizzazioni Sindacali a favore del fondo per i disoccupati:
  1. una giornata di lavoro (metà a carico del lavoratore e metà a carico del datore di lavoro) per aziende industriali, commercianti e artigiani in genere.
  2. per le aziende che non hanno dipendenti, come minimo l’importo deve essere del 15% dell’imposta di famiglia iscritta a ruolo o accertata per l’anno 1951.
  3. per i proprietari agricoli e per i coltivatori diretti, minimo 250 lire per ettaro posseduto.
  4. per i mezzadri, gli affittuari e i coloni parziali misti, 40 lire per ettaro coltivato.
La dice lunga sulla ancora scarsa abitudine al maneggio del denaro nelle campagne, soprattutto a causa della sua cronica scarsità, il fatto che i mezzadri, in quel frangente, al posto delle 50 lire offrissero due uova per ogni ettaro di terreno.

Isabella Gianelloni
1 AMMC, Archivio del Novecento, B. 446, Fasc. 10

Foto del FAST, Foto Archivio Storico Trevigiano, (Donne M Con 590004)