Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

lunedì 29 aprile 2019

Cittadinanza attiva a scuola? Astolfo sulla luna

"I classici nascono postumi": un grande latinista come Ivano Dionigi non poteva che coniare un pensiero così completo espresso con quattro parole.
Il problema è: come tutto questo può aiutarci ad avvicinare gli studenti, refrattari per natura a qualunque cosa "puzzi" di vecchio e, secondo loro, stantio?
Corre l'obbligo di provarci, almeno, usando magari alcune delle parole dei grandi classici.
Per farla breve stamattina non immaginavo, prima di entrare in classe, ciò che sarebbe accaduto.
Tipica mattina piovosa, per giunta pre e post giorni di vacanza, sguardi leggermente vacui, io che entro scrutando barlumi di interesse almeno in qualcuno di loro.
Tutto sommato spero che qualcuno di loro salga sul proprio personalissimo ippogrifo cercando qualcosa sulla luna. Uno, soprattutto per spirito di contraddizione, cerca di opporre spiegazioni para-scientifiche sulla poca serietà dei poeti in generale, ma, davanti alla possibilità di cercare qualcosa oltre il già noto si ritira e si appresta ad ascoltare.
Il libro di testo propone qualche ottava dell'Orlando Furioso, nella lezione precedente avevamo letto della follia amorosa di Orlando e ora è il turno di Astolfo, a caccia del senno di Orlando sul poetico astro.
Lettura, traduzione e spiegazione, poi si compie il miracolo, la classe ha capito esattamente di cosa parla Ariosto. Parte spontanea la discussione sulla follia umana verso il pianeta, sui vizi che rovinano le persone, sulla ricerca ostinata della fama, sull'illusione della potenza e della benevolenza dei potenti.
Siamo finiti a parlare di ludopatia, del dilagare della creduloneria verso i maghi, di ciò che spesso uno è disposto a fare per guadagnare qualche soldo o un successo effimero (certi si sono persino spinti a criticare molti youtuber, non so se mi spiego), dell'inesorabile ruota che gira incurante delle fortune umane.
Beh, insomma, la campanella della ricreazione ci ha interrotti (sono perfino riuscita a finire una frase) sul più bello e nessuno, durante l'ora di letteratura, si è addormentato.
Non si fa lezione di "cittadinanza attiva" solo prevedendola nel programma o quando il libro scrive apertamente, "Percorsi di cittadinanza attiva", i grandi classici sono un grande, incommensurabile e bellissimo aiuto. Ma questo quasi tutti gli insegnanti lo sanno, e lo fanno quotidianamente, in barba ai proclami di chi non entra in una classe da quando ci è uscito...
W Astolfo sulla luna, capace di riportarci sulla terra con la voglia di capire di più!


P.S. Foto tratte dal catalogo della mostra "Orlando Furioso 500 anni", Ferrara - Palazzo dei Diamanti, 2016/2017

mercoledì 24 aprile 2019

#25aprile I martiri della mia terra

Contadini, operai, studenti, impiegati, soldati semplici o ufficiali, alpini, marinai, paracadutisti, donne, quasi sempre giovanissime. Tutti loro, con idee politiche diverse, religiosi oppure no, intellettuali o semianalfabeti, sono quelli davanti ai quali dobbiamo inchinarci ogni giorno, quelli i cui nomi sono incisi sulle tante lapidi che costellano anche questo nostro territorio.
Le nostre colline, così belle e rigogliose, hanno visto atrocità impronunciabili, crimini efferati, torture contro degli innocenti, hanno visto soprattutto, nei mesi tra l'8 settembre 1943 e l'aprile 1945, fiorire l'orgoglio di chi non accettava l'idea di un'Italia preda di uno straniero sterminatore, di chi non sopportava più una dittatura lunga vent'anni che aveva portato lutti e disonore all'Italia.
Lo raccontano con semplicità le lettere spedite ai loro cari prima della fucilazione: non parlano di odio, ma di orgoglio patriota, di speranza di libertà, di democrazia.
Sono morti per dare noi quella libertà che oggi più di qualcuno sembra disprezzare prendendo a calci la storia, tentando di infangare una delle pagine più belle e luminose della breve vita dell'Italia unita.
Erano tutti santi? Certamente no. Qualcuno di loro ha commesso errori gravi? Certo che sì. 
Hanno dato il proprio sangue per noi? Sì e mille volte sì, consapevoli che il loro sacrificio sarebbe servito a chi sarebbe venuto dopo di loro.
Domani saranno 74 anni da quel 25 aprile di speranza: questa sera una staffetta partigiana vicentina ha riaffermato con orgoglio di essere felice di averlo fatto, rammaricandosi solo che per troppi italiani quella libertà ha significato "non pagare le tasse" e quindi vivere sulle spalle di tutti gli altri.
Ha ragione, la staffetta Wally, ma tutto questo non può sminuire la sua fierezza per aver contribuito a più di settant'anni di pace e democrazia.

Anche quest'anno, grazie all'ANPI di Conegliano e di San Vendemiano, al Corpo Volontari della Libertà di Treviso, ad alpini e paracadutisti in congedo, all'assessore Floriano Zambon in rappresentanza della città di Conegliano e ai cittadini che hanno partecipato, sono state deposte corone in tanti luoghi simbolo della Resistenza e del sacrificio dei martiri della nostra zona.
Quello che segue è l'elenco dei cippi visitati oggi, dei martiri cui abbiamo reso omaggio: in fondo a noi sono state sufficienti alcune ore del pomeriggio, a chi legge qualche minuto, loro hanno dato la vita per noi.
Nel Cimitero di San Giuseppe di Conegliano riposa Pino Lazzarin, il primo partigiano coneglianese caduto, una lapide sul muro esterno del camposanto lo ricorda insieme ad altri sette caduti: Liberato Provato, Giovanni Pezza, Giovanni Campardo, Claudio Ceschin, Beniamino Petrovich, Leopoldo Camillo, Ivo Pozzi.

Il muro esterno dell'ex Caserma San Marco, oggi sede della Guardia di Finanza, ricorda con due lapidi il Colonnello Mario Romagnoli, caduto a Cefalonia, e il Colonnello Eugenio Passerelli, internato militare morto in un lager tedesco.
 

A Susegana, sul muro del vecchio municipio troviamo il nome di Giovanni Morandin "Barba", morto a 20 anni per l'onore d'Italia, appartenente alla Brigata Piave.
A S. Lucia di Piave lo stadio comunale si chiama "25 aprile" ed è dedicato a tre partigiani trucidati dai nazifascisti, Alfredo Cenedese, Ado Cuzziol
e Aldo Donadon.
Lungo la riva del Piave furono ammazzati quattro dei partigiani ricordati sul muro del cimitero di Conegliano, là dove tanti altri giovani erano morti vent'anni prima, vittime della follia di una guerra che cancellò un'intera generazione.
Il piccolo cimitero di Collalto custodisce i resti di Sergio Bertazzoni, Capitano Maggiore paracadutista. Apparteneva a quelle truppe
italiane che si erano unite agli alleati contro i tedeschi e, insieme a tanti altri, preferì immolare la propria vita per salvare un intero paese, Filottrano (Ancona), dal bombardamento.
È davvero incredibile dover morire in uno dei luoghi più belli e suggestivi delle nostre colline: a Refrontolo, in una conca immersa nella campagna furono trucidati i Conti Agosti, due fratelli che avrebbero potuto condurre una vita ben diversa, ma scelsero di lottare per la libertà di tutti. Insieme a Claudio Dal Bo e Gianni De Polo, Gino e Giuseppe Agosti furono massacrati dai nazifascisti che, non paghi di averli uccisi, infierirono sui loro corpi al punto dal renderli irriconoscibili. 
Alla loro mamma fu impedito di vedere lo scempio, a un altro partigiano, Berto Lorenzoni, fu dato l'onere del riconoscimento.
Poco più in su, quasi nascosta e lungo una strada trafficata, perse la vita Rino Collodel il 27 aprile 1945, due giorni dopo la Liberazione.
Di Pietro Maset (Maso) medaglia d'oro al valor militare, capitano degli alpini e caduto della Brigata Osoppo si sa molto e Conegliano, oltre ad onorarne la tomba e avergli dedicato una via, gli ha intitolato la scuola della sua frazione, quella Scomigo immersa nella bellezza delle colline.
 
Un'altra frazione di Conegliano, proprio di fronte a Scomigo, conserva  un altro cippo, l'ultimo a cui oggi abbiamo reso omaggio: a Ogliano altri cinque martiri furono trucidati: Guido Boscarato, Bruno Centazzo, Giovanni Da Re, Felice De Martin, Domenico Salvador.

Ho voluto riportare tutti i nomi per stringerli tutti insieme nel nostro ricordo e nel nostro omaggio, pensando a ciò che hanno saputo fare, dare, sperare, immaginare. Poco lontano, nella torre del castello che sovrasta Conegliano, dove oggi i giardini ci offrono pace e tranquillità, i repubblichini torturavano e massacravano partigiani, civili, lavoratori, chiunque per qualunque motivo potesse essere identificato come antifascista.
Quel luogo era identificato come il castello delle urla strazianti, solitario sopra la città.
Oggi Conegliano è libera e prospera, sono liberi anche coloro che si dimenticano del valore della libertà, anche quelli che vorrebbero toglierla a tutti noi. Non passeranno: quella torre deve rimanere alta e bella anche per ricordarci la sofferenza di quei giorni lontani, che non devono tornare.
Scriveva Giacomo Ulivi, 19 anni, fucilato il 10 novembre 1944: Come vorremmo vivere, domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere!
A noi tutti il compito, la responsabilità di mantenere e migliorare la nostra democrazia, salvaguardare la libertà, far crescere le generazioni future nella consapevolezza che questa parola bellissima, libertà, non è per sempre: va coltivata, preservata, nutrita.
Viva il 25 aprile, Viva la Resistenza, Viva l'Italia democratica!






martedì 23 aprile 2019

Saisà, luogo del cuore #conegliano #alberi

Buona Pasqua, ma sempre con difficoltà per i grandi alberi di Conegliano.
Leggiamo che gli ippocastani del Saisà, Via Marconi, sono in pericolo, come quello bellissimo di Piazza Calvi: cose dette e ripetute da tempo. Fra l'altro siamo proprio sicuri che siano malati al punto da essere tagliati?
L'assessore e vicesindaco Toppan dice che, nel caso in cui debbano essere abbattuti per motivi di sicurezza, verranno piantumati nuovamente. So che è un uomo che ama la natura e quindi tendo a credergli, ma...
Sperando che le nuove piante resistano all'inquinamento di un traffico che si prevede non abbia mai fine in centro città, tutti quelli che amano il verde e gli alberi seguiranno come un'ombra il vicesindaco: pretendiamo che dietro al camion e alla motosega ci sia già una carriola con le nuove piante.
Anche in Via Carpenè, nel cortile della sede delle associazioni, dove il taglio del bellissimo albero è passato sotto silenzio.

lunedì 22 aprile 2019

Lido di Venezia, riannodare fili di memoria

Non hai ancora quindici anni, ma possiedi la certezza granitica che tutto ciò che vedi, vivi e sai non sono sufficienti, che vorresti andare ben oltre anche se non sai ancora bene dove, come e con chi. Di sicuro ogni occasione per uscire da una routine per nulla entusiasmante va colta e vissuta per intero. 
Succede che ti ritrovi a vivere ben due estati in una comunità di mezzi matti, fra musicisti, medici giordani e filosofi somali, staffette partigiane che cuociono patate e ragù e parte del popolo di "Fiera" (solo chi è di Treviso può capire) indaffarata in ogni mansione.
Capita poi che alla metà degli anni Settanta, una volta schivata l'eroina e le sue nefandezze, ci si sente, e si è, abbastanza liberi e tre fanciulle adolescenti familiarizzano con una serie di "mosconi" gravitanti sul Lido di Venezia: tutti, come d'obbligo, suonano chi il flauto, chi la chitarra non underground ma under laguna, nei garage e nelle cantine.

Con la sfrontata incoscienza dell'età, facendo rischiare il posto di lavoro ai mosconi che si guadagnano gli studi facendo i camerieri, ti ritrovi nel mezzo di innocenti incursioni nella hall dell'Hotel Excelsior solo per il gusto di fare il giro della grandiosa fontana che c'è nel mezzo per poi uscire di corsa, oppure ti siedi ai tavoli del Florian giusto il tempo di sentire il tuo amico suonare qualche nota.
Di sera con l'allegra brigata percorri in pochi minuti la strada fra Ca' Bianca e il Des Bains, osservi divertita le facce di quelli che escono dal Casino, qualche volta ti spingi perfino a San Marco (i vaporetti costavano molto meno di adesso), ma il più delle volte assapori l'inconfondibile odore della laguna mentre le note di Lucio Battisti compiono il loro romantico dovere (e sullo sfondo tutti insieme osservate, tra l'affascinato e l'intimorito) le fiammate dei camini di Porto Marghera oppure ti spingi sui Murazzi.

Ho calpestato le calli veneziane fin dall'infanzia, sono stata poi conquistata dall'arte, dalla sua storia millenaria, dalle meraviglie che sa offrire ogni volta, ma la Venezia del mio cuore è quella compresa quando uno di quei mosconi mi disse: "Mi son de Casteo, anca se sto al Lido". Castello: un unicum dentro Venezia: un sestiere popolare che girato con quel gruppo di amici mi ha fatto capire che Venezia non è una cartolina; c'era anche un Giudecchino fra loro, rappresentante di un'altra isola identitaria, poi le canzoni di Gualtiero Bertelli e Alberto D'Amico mi hanno insegnato la dolorosa coscienza della sua fragilità, dell'indeterminatezza di una vita sull'acqua. Tutti loro erano, in fin dei conti, profeti inascoltati di contraddizioni che oggi sono sotto gli occhi del mondo.
Quando sali, a quindici anni, su un barchino per girare la laguna impari cosa sono le Vignole, a cosa servono le barene, la funzione delle bricole e senti di avere il diritto di sentirti, almeno un po', veneziana.
Dopo più di quarant'anni ci torni da sola, al Lido: c'eri già stata qualche volta in tutto questo tempo, ma oggi è speciale, hai il tempo per riannodare i fili della memoria, riguardare alcuni dei luoghi che conoscevi, scrutare qua e là per cercare indizi atti a riconoscerti.
Ti accolgono glicini in fiore nei giardini di ville immerse nel verde e nel silenzio, senti subito quell'aria speciale cha ha questa lingua di terra tra laguna e mare e ti avvii a piedi verso San Nicolò. 
Un paio di chilometri, forse, e capisci che quest'isola è il paradigma di Venezia e del nostro tempo: ville e giardini accanto all'abbandono,

il parco rigoglioso dietro il cimitero e la tristezza del vecchio ospedale abbandonato
a se stesso, il mare e la spiaggia con le sue casette in attesa

dell'estate e il Des Bains muto, chiuso, icona triste di un tempo andato.
Scintillante e bianca la piazza della Mostra del Cinema, senza il red carpet è solcata da bambini con biciclette che interpretano, in fondo, il sogno più bello, quello della ricerca della felicità inconsapevole.
Quando sono arrivata diversi turisti stavano fotografando la facciata dell'Excelsior e il sottostante approdo privato per i motoscafi di "chi può": è stata forte la tentazione di raccontare loro la storia delle incursioni giovanili, ancora più intensa quella di entrare e fare ancora il giro della fontana.
Dopo tutti questi decenni, però, sono diventata adulta, ho desistito ma mi sono messa a ridere da sola. E di gusto.

Ciao, Lido, alla prossima.


sabato 20 aprile 2019

Alla faccia della potatura #alberi #Conegliano

Stamattina passavo per via Carpenè e qualcosa stonava, poi ho capito: il bellissimo albero che ombreggiava il cortile del palazzo che ospita alcune associazioni non c'è più.
Mi sono informata e ho saputo che si trattava di una pianta gravemente malata, cava all'interno, che rappresentava un rischio per l'incolumità delle persone e per l'edificio.
A parte il cartello ridicolo che parla di "potatura", mentre l'albero è stato tagliato fino all'altezza di un metro circa, mi chiedo: a questo punto non sarebbe meglio sradicarlo del tutto e piantarne un altro al suo posto, in modo che cresca presto e l'edificio torni ad avere una decorazione in più, l'intera via un bell'albero che faccia ombra, e la città in genere sia più bella?
È chiedere troppo? Non direi, con un po' di buona volontà ce la possiamo fare. Nelle ultime settimane si è parlato tanto di alberi donati, alberi che si possono piantare. Ecco, uno mettiamolo lì.

giovedì 18 aprile 2019

Ricordo di Piero Pasut, un laico credente

Qualche parola per ricordare un amico, un compagno di strada, una persona per bene.
Piero era entrato in Consiglio Comunale nel 1975, quasi alla scadenza dell'Amministrazione, nelle file del Partito Liberale. Poco dopo aderì al Partito Repubblicano, rimanendo sempre fedele alla sua idea di una politica pensata come strumento per i cittadini, non per il potere, di una laicità intesa soprattutto come atteggiamento critico di fronte alla realtà, agli avvenimenti, ai processi sociali.
Piero era quello che si può definire un laico credente: la sua cifra principale è sempre stata l'amore, a volte ai limiti dell'ingenuità, per la politica, per l'onestà assoluta soprattutto nell'Amministrazione della cosa pubblica.
Da cittadino, anche se non più consigliere da tanti anni, non mancava di assistere alle sedute del Consiglio Comunale, innamorato com'era di Conegliano.
È mancato troppo presto e all'improvviso, lasciando un grande vuoto innanzi tutto nella sua famiglia ma anche fra noi, ha però consegnato un'eredità preziosa soprattutto a noi che ci occupiamo di politica e proprio in tempi come quelli che stiamo vivendo.
Si possono esprimere le proprie idee con forza ma con pacatezza, con fervore ma con rispetto dell'altro, con un sorriso e una stretta di mano al posto del livore, dell'insulto, della prevaricazione.
Per tutto questo ancora grazie, Piero.



mercoledì 17 aprile 2019

Pari Opportunità: servono atti concreti

Dopo una gestazione lunghissima 3 mesi fa è stata riunita per la prima volta la Commissione Pari Opportunità: all'ordine del giorno c'erano l'elezione del(la) Presidente e una serie di buoni propositi.
Poi, il silenzio, nulla, niente, zero.
E dire che da altre parti, non lontano da noi, qualcosa si muove, si inventano progetti, si fa rete per combattere la violenza contro le donne e, soprattutto, educare le giovani generazioni, maschi e femmine, al rispetto reciproco, alla condivisione di un progetto di società senza discriminazioni.
A Conegliano si sono mosse istituzioni ed associazioni, dall'ULSS al Rotary Club, al Soroptimist, ma dalle parti dell'amministrazione comunale, a parte i patrocini, regna il silenzio più totale.
Un patrocinio, si sa, non si nega a nessuno, ma inventare, progettare, far lavorare una commissione è tutta un'altra faccenda.
Con l'appoggio del Prefetto, con l'aiuto della Latteria Soligo in sinergia con la Fondazione di Comunità, otto comuni del circondario hanno avviato il Progetto Alice e Alice inCONtra Pollicino, che coinvolgeranno gli Istituti Comprensivi e quindi gli alunni di quei paesi.
A Vittorio Veneto esiste e funziona il Centro Anti Violenza...
E noi?
Ho presentato un'interpellanza che, come sempre, riporto qui sotto. Sarà discussa domani sera, staremo a vedere se si muoverà qualcosa.

Oggetto: Interpellanza sul Progetto Alice e Alice inCONtra Pollicino

CONSIDERATO CHE
  • Il tema della violenza contro le donne è purtroppo di grande attualità anche nel nostro territorio e, oltre alla repressione, è necessario partire dall'educazione delle giovani generazioni;
  • Nei primi giorni del mese in corso, con l'avallo della Prefettura, otto comuni del nostro territorio hanno dato avvio al Progetto Alice inCONtra Pollicino, in sinergia con la Fondazione di Comunità e la Latteria Soligo, volto al coinvolgimento degli Istituti Comprensivi proprio con l'obiettivo del coinvolgimento e della prevenzione della violenza di genere;
  • Che il progetto Alice, grazie tra gli altri alla generosità della Latteria Soligo, garantisce un aiuto concreto allo Sportello Donna del Comune di San Fior e del Centro Anti Violenza di Vittorio Veneto;
  • Sabato 23 marzo u.s., presso l'ex Convento di San Francesco, si è svolta una conferenza promossa da Soroptimist e Rotary Club, con la partecipazione, fra gli altri, di rappresentanti dell'ULSS 2 e del Tavolo Interistituzionale sulla violenza domestica e lo stalking della Conferenza dei Sindaci della nostra ULSS.
Il sottoscritto consigliere CHIEDE:
  • Quali azioni questa Amministrazione abbia messo in atto volte a promuovere il coinvolgimento e la sensibilizzazione, soprattutto delle giovani generazioni, in relazione alla violenza di genere;
  • Se la Città di Conegliano intende aderire ai due progetti già esistenti o se ha già una proposta simile che possa svolgere la stessa importante funzione nelle scuole coneglianesi

domenica 14 aprile 2019

Internati Militari Italiani: vittime due volte

Complimenti di cuore a chi ha voluto fortemente la mostra, piccola ma intensa, inaugurata ieri nel Museo degli Alpini di Conegliano dedicata ai coneglianesi Internati Militari Italiani nei lager tedeschi. Complimenti agli Alpini di Conegliano, sempre disponibili, generosi, attenti.
Le cifre ci dicono che circa un migliaio, fra coneglianesi e cittadini di paesi limitrofi, furono i militari fatti prigionieri dai nazisti dopo l'8 settembre del 1943 e mandati nei campi di concentramento, vittime due volte, del nazismo e della smemoratezza del loro Paese.
Tanti, troppi, come troppe sono sempre le vittime di ogni conflitto, di ogni barbarie, di ogni follia omicida.
Lancio un appello al Sindaco di Conegliano. Dietro al monumento alla Resistenza conserviamo una zolla della terra di Auschwitz, troviamo un luogo dove conservare la memoria di quanti si opposero alla follia di quella guerra, di quanti si opposero in ogni modo alla crudeltà del nazifascismo, prendiamo spunto dal ricordo di questi nostri concittadini, che spesso furono tra l'altro esempio di impresa e capacità di ricostruire il nostro territorio, per dare forma e sostanza al ricordo.
Fra qualche giorno sarà il 25 aprile: sarebbe bello che lei annunciasse questa volontà dal palco della celebrazione.
Internati Militari Italiani: tre parole che unite insieme compongono una storia poco conosciuta perché spesso scomoda, una storia composta di sofferenze e profondissime ingiustizie, che ha le proprie radici nelle scelte scellerate dell'Italia fascista.
Prima di quel fatidico 8 settembre del '43 le sorti della guerra erano già chiare e segnate, soprattutto per un'Italia trasformata in burattino: altro che "spezzare le reni alla Grecia"... I nostri soldati erano stati mandati allo sbaraglio nei Balcani, per non parlare di quanto accaduto nei territori africani di un tragicomico impero; la tragedia dell'ARMIR con le nostre truppe mandate a morire nel gelo russo aveva dato l'ultimo segnale, segnando la politica militare nostrana con la parola più infamante per chi vuole fare dell'esercito e della forza militare il proprio vanto: disfatta.
Disfatta di un regime, dei comandi e anche di una monarchia incapace di reggere e gestire con dignità questo Paese, al punto che, come tutti sanno (ma spesso non vogliono ricordare) proprio i nostri soldati furono lasciati totalmente senza ordini mentre l'auto del re fuggiva verso sud.
L'atto formale con il quale si diventa soldati è il giuramento, di fedeltà a una bandiera e allo Stato che ne è rappresentato: lo sapevano bene quei soldati, divenuti nemici, da alleati che erano prima, in nemmeno 24 ore. Avevano giurato di essere disposti a morire per l'Italia, non per un fantoccio (criminale) nelle mani di un dittatore disgraziato, folle e spietato.
Tanti non si arresero, come i martiri di Cefalonia e tanti altri, moltissimi non ebbero nemmeno modo di resistere: furono caricati su treni e navi e trasportati in Germania o nei territori dell'Europa centrale occupati dai tedeschi.
Con essi, vale la pena di ricordarlo, anche tante infermiere, crocerossine, inviolabili per definizione ma che subirono la stessa sorte dei nostri militari e che, come questi ultimi, non ebbero dubbi e scelsero la prigionia piuttosto della collaborazione con Hitler.
Ai militari prigionieri sarebbe spettato un trattamento diverso, ma noi sappiamo quale fosse il rispetto che il nazismo aveva per le leggi e le convenzioni: nessuna pietà per nessuno.
Quei prigionieri sapevano però di dover onorare un giuramento solenne: impossibile andare a combattere sotto un'altra bandiera e per chi stava in quel momento invadendo il loro Paese.
Un atto che a noi può sembrare logico, ma frutto di una scelta tremenda, difficile, che a tanti di quei seicentomila costò la vita: morirono di fame, di stenti, di fatica.
Vissero in condizioni spesso disumane e quando tornarono a casa, alla fine della guerra, trovarono paesi in rovina, case distrutte, famiglie sfollate, lutti ovunque.
Conegliano e il Coneglianese hanno subito tutto questo, hanno visto tanti ebrei deportati e morti nei campi di sterminio, hanno avuto martiri partigiani massacrati dai nazifascisti.
Se il castello fu trasformato in luogo di tortura tanti giovani combatterono, tante donne sfidarono i carnefici portando acqua ai deportati che passavano dalla stazione ferroviaria, tanti si fecero in quattro per salvare ebrei e partigiani dalla morte.
Tutti questi, eroi con un nome e sconosciuti, meritano un posto nella memoria collettiva.


venerdì 12 aprile 2019

Per poche noci " 'na branca de cuche"

Nemmeno una noce, a Conegliano siamo riusciti a non vendere, nemmeno un sacchetto, le noci di solidarietà
E dire che la nostra è una città solidale, nella quale operano associazioni, singoli, realtà che si danno da fare tutti i giorni nell'ambito del sociale, dell'aiuto ai più deboli.
Conegliano è la città più importante fra i Comuni dell'ex ULSS 7, la seconda dell'ULSS 2: quando il Presidente della Fondazione di Comunità venne a parlare in Consiglio Comunale tutti approvammo una delibera che ci impegnava ad appoggiare i progetti della  Fondazione e a elaborarne di nuovi.
Da allora il nulla, zero, silenzio totale, Conegliano non è riuscita nemmeno a organizzare la vendita delle noci solidali.
'Na branca de cuche, da noi significa poco o niente:  ecco, nemmeno le noci (cuche) riusciamo a organizzare, eppure il Consiglio  Comunale si era impegnato. Che cosa intendono fare Sindaco e Assessore al Sociale? Ho presentato una interpellanza, che come sempre allego.


Oggetto: Interpellanza sul Progetto della Fondazione di Comunità della Sinistra Piave

Facendo riferimento

  • Alla delibera del Consiglio Comunale n. 54-436 del 14/04/2016 approvata all'unanimità;
  • All'intervento del Presidente della Fondazione di Comunità della Sinistra Piave per la qualità della vita ONLUS, Fiorenzo Fantinel, che in quella stessa seduta consiliare espose le finalità, i progetti e le attività già svolte dalla Fondazione stessa;
  • Al fatto che Conegliano è non solo la seconda città dell'odierna AULSS 2 del Veneto, ma il centro di riferimento del territorio dell'ex ULSS 7.
CONSIDERATO CHE
  • Conegliano ha quindi confermato la propria adesione e il sostegno alla “Fondazione di Comunità;
  • Il Consiglio Comunale si è impegnato “a favorirne e promuoverne l'attività quale strumento strategico di lavoro […] in una Comunità che si fa carico dei propri bisogni e promuove iniziative di solidarietà in tutte le sue forme[...];
  • Il Consiglio Comunale si è impegnato anche alla realizzazione di una iniziativa locale dedicata alla promozione e conoscenza della Fondazione di Comunità (PLA)
  • Il soggetto con specifica delega per questo settore di lavoro è l'Assessore alle Politiche Sociali.
Il sottoscritto consigliere CHIEDE:
  • Quali iniziative l'Amministrazione abbia posto in essere per l'attuazione della succitata delibera;
  • Quali progetti questa Amministrazione abbia presentato alla Fondazione di Comunità per la stesura di un piano di collaborazione con essa e gli enti che ad essa fanno riferimento;
  • A quali dei progetti della Fondazione di Comunità questa Amministrazione abbia dato il proprio sostegno, economico, organizzativo o di altro tipo;
  • Quale sia l'iniziativa locale (PLA) messa in atto.


domenica 7 aprile 2019

Ha sconfitto i nemici ma non l'incuria #poveraconegliano



Incredibile doversene occupare ancora: uno pensa che si tratti di poca cosa, invece la civiltà dipende anche dalle piccole cose.
Queste ultime settimane coneglianesi sono state occupate dalla preoccupazione per le sorti del Multisala Mèliés, ora anche per il futuro del Teatro Accademia.
Sono state annullate manifestazioni e, al momento, nessuna soluzione appare all'orizzonte per ridare a uno dei centri storici più belli del Veneto la vitalità e il decoro che merita.
Stendiamo un velo pietoso sulle mura di cinta (mi rifiuto di parlare ancora di biblioteca, la ferita continua a sanguinare copiosamente), sul denaro speso nel lato ovest senza che poi ne sia venuto un vantaggio per tutti, sulla assoluta mancanza di lungimiranza sul resto.
Il castello, però...
L'orrenda cancellata, brutta e pure arrugginita, al piano terra del nostro Museo Civico è ancora là, a fare brutta mostra di sé insieme ai finestroni, terrificanti, con la novità (si fa per dire) che non si può nemmeno tentare di spostarla perché in un tentativo la serranda è anche uscita dal binario che la faceva scorrere. Nel dubbio tutto è rimasto com'è, con una serranda arrugginita e inamovibile chissà per quanto, alla faccia della bellezza della Sala Vazzoler che, tra le altre cose, è utilizzata anche per i matrimoni. Speriamo che gli sposi, emozionati per il loro "sì", non guardino troppo alla loro sinistra.
Non basta ancora: il cannone della Grande Guerra posto appena fuori dal portone d'ingresso della torre è uno dei giochi preferiti dai bambini che frequentano i giardini, è così da decenni.
 
I raggi delle ruote sono però di legno, si consumano, se si rompono all'improvviso magari mentre un bimbo gioca al soldato il rischio di una gamba fratturata è dietro l'angolo.
Detto, ridetto, stradetto... Alla fine i raggi di una ruota si sono rotti, quelli dell'altra non sono messi bene.
Della serie: Centenario terminato, Centenario dimenticato. Quel cannone ha contribuito a sconfiggere il nemico di un secolo fa, ma nulla può contro l'incuria contemporanea.
Non servono milioni di euro per dare decoro e sicurezza a un simbolo, occorre un po' di buona volontà.
Abbiamo due cuori, a Conegliano, uno sulla cima del Colle di Giano e l'altro in Via XX Settembre. La seconda soffre tremendamente (spritz a parte), la prima cade a pezzi.
Ancora una volta la parola che mi viene più spontanea è: DESOLAZIONE

lunedì 1 aprile 2019

Da Google Earth alle figurine

Storie di scuola quotidiana, sorprese che non ti immagini, soddisfazioni là dove pensavi di trovare il loro contrario, soprattutto giovanissimi in cerca di una identità.
Né carne né pesce, ci dicevano una volta: quando sei a metà della scuola media cominci a pensare un po' più in grande anche se non sai bene cosa, se non che non vuoi più (mai più) essere considerato un moccioso o uno qualunque. 
A questa età tutti vorrebbero essere invincibili, ci sono quelli che si ritengono tali, quelli che per pudore o per non fare brutta figura evitano di intervenire, quelli che comunque "bisogna a tutti i costi sapere tutto di telefoni, Youtube, Play Station".
Mi piacerebbe davvero poter utilizzare strumenti elettronici in classe, soprattutto per ricercare in tempo reale immagini, parole, confronti, canzoni, musica.
Insegnando geografia mi piacerebbe portarli in giro per il mondo, mostrare anse di fiumi e aurore boreali, barriere coralline e lagune vicine a casa che quasi nessuno conosce.
Non posso farlo per il semplice motivo che a scuola questi strumenti non ci sono e non tutti li hanno, a casa, e anche se li hanno difficilmente li usano per questi motivi.
Stamattina avrei avuto bisogno di uno schermo dove far passare immagini di alberi, sì, di alberi, di boschi e antiche, meravigliose città.
Quei boschi e quelle città che appartengono al nostro essere europei e italiani, che ci fanno riconoscere un luogo a volte solo dal colore delle pietre usate per costruirlo, che ci fanno immaginare un clima osservandone la flora.
Ebbene, quasi nessuno aveva mai sentito la parola "Cadore", quasi nessuno sapeva cosa sia un territorio con un nome diverso da quello della provincia o della regione di appartenenza: tutti nomi sconosciuti quelli di San Vito, Laggio, Borca, Lozzo... forse solo Pieve di Cadore (ma solo per un paio).
Parlavo di Ariosto e sono finita non so come dalle parti della casa di Tiziano Vecellio...
Cari genitori, noi ce la mettiamo tutta, non perdiamo occasione per ampliare, parlare, spiegare, sollecitare. 
Voi, vi prego, usate ciò che volete, da Google Earth a un vecchio album delle figurine, dall'automobile alla cartina stradale (quella che si apre e poi si fa fatica a chiudere mentre si guida), dall'elicottero al treno alla bicicletta, magari una francescana marcia a piedi, zaino in spalla...
Fate come volete ma pensate che ai gazzi più di Youtube (ma può andare bene anche quello, volendo) serve loro conoscere ciò che sta loro intorno, anche i nomi dei paesi, delle foreste, riconoscere i territori e cosa significano, imparare la differenza fra un'abetaia e una pineta, fra un larice e un pioppo.
La domenica, durante le vacanze, in un giorno qualsiasi, evitate i centri commerciali e portateli, 'sti ragazzi, a vedere il mondo che li circonda, purché anche voi siate interessati.
Può funzionare e, vi assicuro, le Dolomiti al tramonto sono uno spettacolo che nemmeno Youtube riesce a eguagliare.