San Saba, Dachau, Mauthausen, Bergen Belsen, Auschwitz - Birkenau.... La geografia dell'orrore disegna contorni che ricordano morte, dolore, sofferenza, fine dell'uomo e della sua capacità di distinguere tra il bene e il male. Il male assoluto l'ho visto coi miei occhi, rappresentato dalla casetta bianca che ospitava il comandante del campo di Auschwitz: davanti ad uno dei forni crematori, dove la sera quell'uomo (ma forse non era più tale da tempo) ritornava a vestire i panni del buon padre di famiglia dopo aver sterminato migliaia di persone. Un timbro di cartellino a scandire un'allucinazione senza fine.
Chiunque conosce quella maledetta scritta, Arbeit Macht Frei, lo
scherno crudele di un inganno ordito a danno di esseri umani colpevoli
solo di essere nati, di uomini e donne che volevano essere tali. Non
numeri o burattini.
Per anni il sole e la luce furono banditi da un luogo dove l'unica stagione era la morte.
Una morte atroce, una morte fortemente voluta da aguzzini precisi e
organizzati in ogni dettaglio: prima eliminarono i polacchi, rei di
vivere in Polonia e di coltivare la loro terra; insieme a loro
particolare cura fu posta nell'uccisione degli intellettuali e dei
professori che, come è ovvio, imbracciano armi ben più pericolose dei
cannoni: il sapere e soprattutto la sua trasmissione finiscono per
creare cittadini consapevoli, curiosi di conoscere, desiderosi di
contare.
Poi venne il momento della "soluzione finale", dello sterminio di massa, di un orrore che, a detta degli stessi nazisti, non sarebbe stato creduto: troppo folle, troppo crudele, troppo impensabile.
Eppure... abbiamo poi capito che la "banalità del male" può colpire sempre, l'ha fatto ancora, con la complicità di quell'altra caratteristica tutta umana, l'indifferenza.
Oggi chi visita Auschwitz lo fa in silenzio, solo le guide parlano e oltre alla loro voce si sente solo lo scalpiccio delle centinaia di scarpe che calpestano il terreno, con lo stesso, inconfondibile rumore che fanno i passi dietro ai carri funebri: quello è un immenso cimitero, lì, ad ogni passo, sappiamo che in qualche modo si cammina sul dolore e sulla memoria.
Poi venne il momento della "soluzione finale", dello sterminio di massa, di un orrore che, a detta degli stessi nazisti, non sarebbe stato creduto: troppo folle, troppo crudele, troppo impensabile.
Eppure... abbiamo poi capito che la "banalità del male" può colpire sempre, l'ha fatto ancora, con la complicità di quell'altra caratteristica tutta umana, l'indifferenza.
Oggi chi visita Auschwitz lo fa in silenzio, solo le guide parlano e oltre alla loro voce si sente solo lo scalpiccio delle centinaia di scarpe che calpestano il terreno, con lo stesso, inconfondibile rumore che fanno i passi dietro ai carri funebri: quello è un immenso cimitero, lì, ad ogni passo, sappiamo che in qualche modo si cammina sul dolore e sulla memoria.
Ricordo l'ingresso nel blocco 4: i
gradini sono consumati dai milioni di piedi che li hanno calpestati,
dentro si entra davvero nell'inferno e le lacrime cominciano a scorrere
senza freno.
Lo "Ziclon B" uccideva gli esseri umani in circa 20 minuti, soffocandoli
con il cianuro. Soltanto ad Auschwitz fra il 1942 e il 1943 ne furono
usati 20.000 kg, la ditta produttrice guadagnò 300.000 marchi dalla sua
vendita.
Per uccidere 1500 persone erano necessari 5-7 kg di veleno.
Per uccidere 1500 persone erano necessari 5-7 kg di veleno.
L'inferno più nero appare con le tonnellate di
capelli rasati ai cadaveri prima di bruciarli, con le scarpe degli adulti
e quelle dei bambini in mostra dietro immense teche, le valigie coi
nomi e le date di nascita, le stoviglie portate da casa per cominciare
una nuova vita. Testimonianze di vite stroncate da un inganno immane,
che non avrà mai perdono.
Ogni buon padre ebreo sa che deve far studiare il proprio figlio, sa che
dalla Torah imparerà i principi buoni per l'intera vita: migliaia e migliaia di paia di occhiali aiutavano occhi che non hanno più potuto vedere.
La cenere ha ricoperto per anni questo suolo, quello di Birkenau e di
tutti gli altri luoghi di sterminio, in uno stillicidio di lutti, di
orrore. La grande Vistola aveva le acque bianche, torbide di morte.
Fra le lacrime e i pensieri del lavoro strenuo, ripagato con freddo e
fame, delle torture che portavano a morte sicura, quel giorno ho chiesto alla guida come facesse a sopportare ogni giorno quel carico di dolore.
La sua risposta è stata lapidaria e mi ha fatto pensare e soffrire ancora di più: "E' un privilegio".
Ha ragione lui: poter raccontare, poter sensibilizzare, poter lottare ancora oggi contro l'indifferenza è un grande privilegio.
Un privilegio che dobbiamo far conoscere, che deve diventare patrimonio delle giovani generazioni: troppi lager ancora nel mondo, troppo dolore, troppa disumanità.
La sua risposta è stata lapidaria e mi ha fatto pensare e soffrire ancora di più: "E' un privilegio".
Ha ragione lui: poter raccontare, poter sensibilizzare, poter lottare ancora oggi contro l'indifferenza è un grande privilegio.
Un privilegio che dobbiamo far conoscere, che deve diventare patrimonio delle giovani generazioni: troppi lager ancora nel mondo, troppo dolore, troppa disumanità.
L'unico antidoto è, ancora una volta, la conoscenza.
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