L'ultima volta fu per la Pasqua del 2018, Palermo era capitale della cultura e la trovammo addobbata a festa per l'occasione. A colpirmi in modo particolare fu l'arrivo in città dall'aeroporto attraverso le ampie strade che portano al centro: questa è una capitale, dicemmo, per giunta accogliente. Avevamo ragione, la capitale di una realtà bellissima e complicata, con apici altissimi di civiltà, cultura, accoglienza e altrettanti baratri che al turista appaiono solo in parte ma che fanno male. Dove si vede tanta bellezza non si sopporta che essa venga (in parte) offuscata dall'incuria, dal degrado e anche dall'abbandono di migliaia di sacchetti. Il tripudio di colori, di profumi, di vita vorrebbe che tutto fosse perfetto, lì intorno.
L'aeroporto di Punta Raisi, moderno e trafficato, è oggi intitolato a Falcone e Borsellino (tralascio ogni commento sul triste destino di Malpensa) e la stele che ricorda il sacrificio del primo, della moglie Francesca Morvillo e della scorta, posta presso lo svincolo di Capaci, ci ammonisce a non dimenticare, a provare ancora sdegno, a ricordare bene dove stiamo andando e a provare a comprendere le difficoltà e i sacrifici di quanti hanno lottato e lottano contro la mafia.
Palermo, dunque, che dire? Col telefono in mano per cogliere qualche immagine mi rendevo conto della difficoltà di immortalare qualcosa di originale, ma d'altro canto i suoi luoghi sono stati fotografati migliaia di volte, Palermo attira, attrae proprio per la propria multiformità, per la compresenza di tante unicità.
Gli opuscoli ci parlano di percorso "arabo-normanno", a noi cercare di capire, di trovare le tracce, non solo urbanistiche, di tutto questo.
Di mezzo millenni di storia, il mare e le montagne, splendore e miseria, sullo sfondo loro, gli Altavilla che seppero fondersi con la grande civiltà araba preesistente, quell'ultima principessa normanna, Costanza, che con uno sforzo sovrumano per quell'epoca (correva l'anno 1194), a 40 anni mise al mondo quel Federico II che la storia ha tramandato come lo stupor mundi. Federico II, l'imperatore strambo, poeta e filosofo, troppo avanti per i suoi tempi, da cui nessun luogo del meridione d'Italia può prescindere.
Nella magnifica cattedrale palermitana madre e figlio riposano ora vicini, ma nella navata di fronte è posta la tomba di un altro uomo che cercò, in tempi molto più vicini a noi, di cambiare, di dare una prospettiva nuova al quartiere in cui era nato.
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Foto di Sara Da Ros |
Uomo coltissimo, don Pino Puglisi insegnava al liceo classico della Palermo bene, accanto alla cattedrale, ma di pomeriggio tornava a Brancaccio, dove i bambini non possedevano nemmeno un campetto per tirare quattro calci al pallone. Si batté come un leone per quei bambini, ma la mafia non permette l'uscita dalla sudditanza di quelli che potranno poi diventare manovalanza criminale.
Ma allora, quale colore affidare a Palermo? Quello delle pietre che l'hanno costruita? L'azzurro di un cielo senza nuvole? L'insieme pazzo dei cibi esposti nei mercati, in quelli che oggi liquidiamo come
street food? Nel verde di alberi che resistono a tutto, come il maestoso
ficus macrophylla di Piazza Marina?
Piazza Marina, già, dove l'Università ha posto a Palazzo Steri Chiaramonte la sede del rettorato. Qui ebbe sede la Santa Inquisizione, qui sono stati recuperati e sono in fase di studio i graffiti di tanti sventurati e tante sventurate, torturati e rinchiusi in attesa di una morte che giungeva come consolazione dopo tante sofferenze.
Ma a Palermo si ride, si cammina tanto e poi si mangia, rigorosamente in compagnia, con l'impegno a tenere dentro di sé i colori e i profumi, il caldo e la gentilezza di chi ti serve al tavolo in un tourbillon di piatti, con l'immortale preoccupazione palermitana: "Mangiasti?" Altroché!
E a Monreale, dopo la meraviglia e lo stupore, vuoi farti mancare una granita alla mandorla? Giammai! Pronti per proseguire il tour...
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