Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

sabato 1 ottobre 2011

Anche i nobili piangono

RAGIONERIA DELLA MISERIA - ANCHE I NOBILI PIANGONO
 Nella prima metà del XIX secolo la mortalità era ancora altissima, soprattutto nell’infanzia e fra le classi meno abbienti, ma non solo.
Se la pellagra era appannaggio dei più poveri, le malattie infettive attraversavano trasversalmente tutte le categorie sociali, nobiltà compresa.
A Conegliano nel 1837 le famiglie nobili erano 26, molte erano rami di uno stesso ceppo. Dieci di queste, però, erano senza figli e destinate perciò all’estinzione.
Come sempre accadeva, anche la nobiltà aveva i suoi “casi pietosi”, risultato quasi sempre della dissolutezza e dell’incapacità di alcuni dei suoi membri.
C’è l’esempio di tale Domenico Romieri, nobile, di anni 42, che nel 1831 si trovava ad avere la pensione patrizia come unica fonte di sostentamento per la famiglia. Il nobiluomo risultava ridotto allo sfinimento per dissolutezza e alcolismo.
Altro caso è quello del casato dei Buffonelli, in particolare di Giuseppe, che nel 1831 aveva 30 anni ed era figlio di Francesco, comunemente noto in città come il “matto Buffonelli”.
Fu chiamata la forza armata per eseguire il pignoramento dei beni di famiglia.
Giuseppe Buffonelli fu ricoverato a Venezia, a San Servilio, da dove fu dimesso perché dichiarato più imbecille che maniaco.
Venne altresì inserito fra i non aventi diritto all’assistenza gratuita in quanto nobile, anche se il Comune ne dichiarava l’assoluta povertà.
La famiglia è veramente miserabile, e tanto più ella è tale perché la sua condizione rende più umilianti quelle privazioni del necessario assoluto, cui è condannata soffrire.
Un altro problema per i parroci, sempre costretti a compilare le liste per avviare la distribuzione di pane ai bisognosi, come previsto dal lascito Testori, e che furono invitati a comprendere nell’elenco dei poveri anche quelli cosiddetti vergognosi.
L’invito raccomandava ogni saggia economia in questo elenco, onde non imbarazzare nella scelta, riproducendo così, ancora una volta, lo schema della divisione fra miserabili e miserabilissimi, fra chi non aveva nulla e chi, non si sa bene come, aveva ancora meno.
Si giunse a proporre la compilazione di un elenco separato di tutti i poveri veri della parrocchia che non potevano vivere che di questua, proponendo di contrassegnarli con una marca visibile.
Chi non era in possesso della marca in questione non poteva questuare né in città né nel circondario esterno, anche se alle guardie di Pubblica Sicurezza fu raccomandato di avere sì la mano forte, ma con quelle maniere e riguardi che esige una classe tanto interessante la umana sensibilità.
Vedi mai che non ci fosse qualche nobile sfortunato, a cui mancava anche la patente di miserabilità.

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