Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

martedì 4 ottobre 2011

Conegliano e le zuppe economiche

Nel 1815 la Delegazione centrale di beneficenza del Tagliamento, per far fronte alla miseria crescente della popolazione, e indicando il provvedimento come assolutamente necessario vista la gravità della situazione inviò ovunque un opuscolo contenente l’Istruzione intorno alle Zuppe Economiche.
L’invenzione di questo alimento veniva attribuita “all’immortale Rumford”, pare un inglese, di cui non è rimasta alcuna traccia rilevante…
Le zuppe erano state introdotte in quel di Monaco, poi in altre città della Germania e della Francia, nonché in qualche ospitale inglese.
Nell’opuscolo si legge che (le zuppe) “mirano a combinare per modo le usuali sostanze nutritive, che con quello, che verrebbe consumato da una sola persona possano venirne alimentate parecchie”.
Fondamentale ruolo veniva dato all’acqua: “Il potere nutritivo delle sostanze alimentari non sta solamente in ragione delle masse solide, ma in ragion composta di queste, e del volume, che loro si fa prendere; in guisa che fondendosi una di queste masse, sotto l’attività continuata del fuoco, in una data quantità di liquido, il suo potere nutritivo prodigiosamente si accresce”.
Vienna lanciò quindi in grande stile la campagna per le zuppe economiche raccomandando di seguire le istruzioni visto che “nel sommo della sventura la forza imperiosa del bisogno potrebbe spingere degl’infelici a cercare un alimento in sostanze nocive, o meno salubri”.
Si trattava quindi di preparare un brodo con ossa (anche già residue di cottura ordinaria) e, quando possibile, altri scarti di animali, fatto bollire per 12 o 24 ore, con l’aggiunta continua di acqua. Al brodo ottenuto venivano aggiunti cereali (orzo fatto bollire 6 ore, o riso per 12 ore) o legumi, erbe spontanee, farine, aromi e quant’altro.
Prima di dare le dosi esatte, le Istruzioni si preoccupavano di raccomandare ancora l’utilità delle zuppe, affermando che “un movimento generale di generosa pietà può concorrere a mantenere perenni questi fonti di pubblica beneficenza… Possano queste provvidenze allontanare gli effetti ancora più funesti, a’ quali il tormento della fame, e la disperazione possono trascinare involontariamente tanti infelici!”.
Interessante è il fatto che le suddette istruzioni menzionassero l’uso efficace della patata, rammaricandosi del suo scarso, o nullo, utilizzo in queste contrade.
Il risultato, comunque, era una brodaglia sicuramente con scarsi effetti ricostituenti.
Il parroco di Godega, paese situato lungo la Strada Postale del Friuli, nel maggio 1816 scrisse che la popolazione riceveva un po’ di sollievo dalle zuppe, ma lamentò il fatto che permanevano gli alloggi militari.
Le zuppe erano uno dei due strumenti utilizzati da Vienna per venire incontro alla popolazione stremata, l’altro era l’impiego di forza lavoro in quelli che oggi chiameremmo “lavori socialmente utili”.
Con precisione tutta asburgica chiedevano numeri, conto dei magri stanziamenti in denaro per la confezione delle ormai famose zuppe, puntigliosi elenchi dei poveri, da cui dedurre quali fossero quelli effettivamente allo stremo da quelli che, magari, potevano resistere di più.
I parroci, unici referenti in un simile bailamme di miseria e disperazione, compilavano, chiedevano, assicuravano, ma qualcuno scriveva, adirato per dover decidere quali parrocchiani sarebbero dovuti morire prima di fame.
Con buona pace dell’ “immortale Rumford”.

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