Un nume bizzarro ha fatto un regalo ai poeti. In un tempo antico essi vivevano lontani, senza curarsi di guardare troppo all'insù, timorosi di emozioni troppo grandi, occupati a cantare l'amor cortese, i flutti imperiosi, le mille avventure di dame e cavalieri, i drammi dell'uomo, le sue ansie, le paure, le vendette, le speranze e le illusioni.
Da qui vedo e mi sento smarrita dalla bellezza assoluta: guglie impervie ed assolute abitate solo dai semi di piante impavide, frastagliate come i sentimenti dei giovani che si affacciano alla vita; cime unite le une alle altre da vie solcate dagli zoccoli dei camosci, rapidi, fulminei nei balzi decisi; sculture multiformi scolpite dal nume ispirato e sornione, oppure rabbioso, magari stanco e impreciso, determinato a donare, comunque, una prova della propria bravura.
Montanari poeti, pastori silenziosi e pensosi, cacciatori agili come le prede hanno osservato, salito i pinnacoli ed i loro ghiaioni, i prati ed i boschi, trattando le rocce come sorelle, come parenti mutevoli, difficili ma presenti, sempre, nell'orizzonte di ciascuno. Gli esseri umani hanno un nome, siano essi figli amati, amici cercati o nemici detestati. Montanari cacciatori e pastori hanno fatto di più, hanno impresso per sempre nel nome ciò che questi immensi sassi sono per noi, ancora oggi.
Il nume aleggia e protegge le guglie, osserva i prati ed i boschi, sentinelle mutanti degli Spalti; a noi la sfida di cercare poeti per nuovi nomi da dare ad un incanto.
11 settembre 2011
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