Credo molto nelle coincidenze, penso che quando ci capita l'occasione di aver tempo per fermarci e pensare, osservare dobbiamo prenderla al volo, cogliere i messaggi che ci giungono, guardare bene luoghi e persone.
La mia amica Lucia mi prende in giro accusandomi bonariamente di essere una scettica che fatica a cogliere le vibrazioni di certi luoghi, ma sa che, a mia parziale discolpa, possiedo un buono spirito di osservazione.
Da qualche anno ho imparato a viaggiare da sola, viaggi brevi di tempo e distanza, proprio per avere il modo di guardare, ascoltare, pensare. La compagnia migliore è sempre qualche libro.
Lucia stavolta mi ha affidato l'ultimo di Paolo Rumiz, Il filo infinito.
Mai lettura casuale fu più adatta al momento e alla situazione. Il suo riannodare il filo della tradizione e della forza benedettina n Europa gli ha permesso di sentire i luoghi e guardare le persone che ci vivono o vi si recano, di odorare il silenzio di vecchissime mura e ascoltare parole che ci arrivano da quindici secoli fa pronunciate da uomini saggi e venerandi.
Un racconto bellissimo, il suo, dolente di nostalgia e sofferto nelle domande sul presente del nostro continente e soprattutto sul suo futuro.
In una Rimini fredda e piovosa il primo incontro con la sua storia è stato nello scavo archeologico della cosiddetta "Casa del chirurgo", resto di una casa -ambulatoria di epoca romana. Ogni volta, quando incontro vestigia così antiche non riesco a trattenere un brivido di commozione e mi assale l'ammirazione per la bellezza che l'antichità ci ha inconsapevolmente consegnato, ma anche per gli orrori vissuti, i momenti di crisi e regressione.
Mentre Benedetto da Norcia metteva in piedi la Regola e fondava la sua comunità, immensa novità di fronte alla fine della civiltà precedente, un po' più a nord in quella che non a caso si chiamò Romània, era ancora forte l'eco della guerra greco-gotica, una delle tante "inutili stragi" perpetuate in questo territorio che si chiama Europa. Distrutta la casa di quel medico antico sulle sue rovine nacque altro, compreso un cimitero, del quale possiamo vedere alcune frettolose fosse in cui rimangono le ossa di chissà chi, lì a testimoniare la nostra caducità.
In fondo la nostra è una storia di stratificazioni, a volte conglomerati misti, distruzioni e caparbie ricostruzioni, anche di sogni grandiosi finiti in tragedia oppure con lasciti stupefacenti.
Il fil rouge può essere cercato nell'Europa cristiana (ben diversa da quella che si vorrebbe propagandare) che Rumiz ci spiega come sia sempre stata tutt'altro che monolitica, nell'eredità della madre Grecia, nella doppia e duplice origine di Roma, nel gusto egizio importato, nell'ostinazione bizantina di perpetuare il nome di Roma (ottenendo peraltro la continua confusione degli studenti) perfino nei toponimi longobardi. Il filo del discorso è comunque la mescolanza, benedetto crogiolo di facce, occhi, lingue, suoni.
E così, mentre stamattina mi accomiatavo da Rimini, grazie a un sole inaspettato cercavo una panchina dove indugiare e leggere in attesa del treno: l'ho trovata in Piazza Ferrari, sotto gli alberi accanto allo scavo visto il primo giorno. Chissà quale fra i Goti si fermò un minuto a scaldal sole, se c'erano una vedova o un figlio a piangere colui che ora giace nella fossa a pochi metri da qui, chissà se l'Esarca di Ravenna passò per osservare e scrivere una relazione per il suo signore di Bisanzio? I pensionati che chiacchieravano tranquilli stanno seduti ogni giorno su millenni. Incredibile.
Millenni nei quali i confini, i limes, erano molto più labili di ciò che pensiamo e che qualcuno vorrebbe assurdamente riportare in vita. Confine di che cosa? Da che cosa?
La Storia, ancora una volta, saprà ridurre in polvere le manie di grandezza e ricostruire qualcosa di nuovo, bene che i nuovi profeti da strapazzo lo sappiano, per il bene nostro, non loro.
E mentre leggevo le ultime righe del libro di Rumiz ero in stazione, seduta tra un frate francescano e un ragazzo nero: tutti e due concentratissimi sui loro smartphone.
In fondo la nostra è una storia di stratificazioni, a volte conglomerati misti, distruzioni e caparbie ricostruzioni, anche di sogni grandiosi finiti in tragedia oppure con lasciti stupefacenti.
Il fil rouge può essere cercato nell'Europa cristiana (ben diversa da quella che si vorrebbe propagandare) che Rumiz ci spiega come sia sempre stata tutt'altro che monolitica, nell'eredità della madre Grecia, nella doppia e duplice origine di Roma, nel gusto egizio importato, nell'ostinazione bizantina di perpetuare il nome di Roma (ottenendo peraltro la continua confusione degli studenti) perfino nei toponimi longobardi. Il filo del discorso è comunque la mescolanza, benedetto crogiolo di facce, occhi, lingue, suoni.
E così, mentre stamattina mi accomiatavo da Rimini, grazie a un sole inaspettato cercavo una panchina dove indugiare e leggere in attesa del treno: l'ho trovata in Piazza Ferrari, sotto gli alberi accanto allo scavo visto il primo giorno. Chissà quale fra i Goti si fermò un minuto a scaldal sole, se c'erano una vedova o un figlio a piangere colui che ora giace nella fossa a pochi metri da qui, chissà se l'Esarca di Ravenna passò per osservare e scrivere una relazione per il suo signore di Bisanzio? I pensionati che chiacchieravano tranquilli stanno seduti ogni giorno su millenni. Incredibile.
Millenni nei quali i confini, i limes, erano molto più labili di ciò che pensiamo e che qualcuno vorrebbe assurdamente riportare in vita. Confine di che cosa? Da che cosa?
La Storia, ancora una volta, saprà ridurre in polvere le manie di grandezza e ricostruire qualcosa di nuovo, bene che i nuovi profeti da strapazzo lo sappiano, per il bene nostro, non loro.
E mentre leggevo le ultime righe del libro di Rumiz ero in stazione, seduta tra un frate francescano e un ragazzo nero: tutti e due concentratissimi sui loro smartphone.
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