Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

lunedì 11 febbraio 2019

Radici #piazza4novembre #Conegliano


C'è un'acacia, anzi Robinia pesudoacacia per essere precisi, ha il tronco mozzato che in alto è diviso in due parti secche e tristi mentre cercano con difficoltà di guardare il cielo. 
Si direbbe morta, incapace ormai di dare frutti, far nascere foglie, eppure...
Eppure le sue grosse e nodose radici la mantengono ancora salda, ancorata a quel piccolo spazio che divide la strada che corre intorno alla piazza dall'argine del fiume.
È testardo, quell'albero, non se ne vuole andare. 
Sotto di sé ha il fiume, che scorre da millenni sempre nello stesso senso portando ora sollievo ora inquietudine, che ha visto migliaia di donne chinarsi curve a lavare i panni nel Monticano.
Davanti osserva una chiesa con la sua piazza piena di ricordi ma anche di automobili che la deturpano; chissà, magari qualche volta discorre del più e del meno, del passato e dei ricordi nel misterioso linguaggio delle piante coi cipressi sull'altra riva del fiume. Una volta, quando era una bella acacia rigogliosa, riusciva quasi a vedere fin sopra il tetto di quel convento in cui si sono alternati ordini monastici, soldati, pellagrosi, qualche prostituta nascosta e poi la confusa, sciatta e distratta contemporaneità. Vuoi vedere che l'albero resiste solo per vedere che fine farà quel luogo così vecchio, così vivo e che pare così  complicato per un'epoca incapace di pensarsi?
Dietro ha una piazza, anch'essa ne ha viste di tutti i colori, ha cambiato perfino nome a seconda dei ghiribizzi del potere umano. Frati operosi e venditori di animali vi si sono alternati per secoli cercando di sfuggire alle tante soldataglie di passaggio, alle rapine, alle violenze. Negli ultimi cento anni, poi, ha assistito alle tante speranze e alle troppe tragedie di un secolo di follie: ora accoglie le celebrazioni, ascolta gli inni e si commuove davanti ai tricolori issati sul pennone, alle corone deposte sotto tutti quei nomi ricordati sul bianco monumento; dietro a quest'ultimo, riparato proprio dagli alberi, è persino sorto un piccolo mondo umano tutto a sé stante.
Quelle radici nodose, a volerle ascoltare, ci parlano di tutto questo e di chissà che altro, a partire dall'origine nordamericana dell'albero, "sbarcato" chissà come in una piazza monumentale. I botanici ci raccontano che quest'albero sbagliato veniva detto anche albero da legna dei poveri.
Ecco, sarà anche un albero sbagliato, ma adesso che ormai c'è da decenni, anche le nobili magnolie, i cipressi e tutti gli altri devono aver imparato a convivere in qualche modo con lui. Michele Zanetti, botanico amico e innamorato degli alberi ha definito Piazza IV Novembre un orto botanico intercontinentale: pensandoci bene è bellissimo che a ricordare i nostri morti per la Patria ci siano alberi provenienti da ogni parte del mondo.
Tutti loro hanno messo radici più o meno profonde, nel terreno e nel cuore di chi ha voglia di guardarli, sentirne il suono e il respiro.
Due piazze una di fronte all'altra, separate da un fiume con un ponte amato e attraversato mille e mille volte distrattamente. Due dei cuori di una città che a ben vedere ne ha qualche altro: tutti avrebbero tanto bisogno di un buon medico, soprattutto di essere amati e rispettati.
Senza cuore, senza rispetto per ciò che era, non si può guardare avanti con discernimento: le idee più innovative, la fantasia più ardita e costruttiva, le applicazioni più rivoluzionarie potranno trovare casa feconda solo in una città con i propri cuori rispettati.
L'acacia sa aspettare, ma non sappiamo fino a quando. Ad ogni modo qualche suo seme è già caduto da qualche parte, lì vicino: le radici lo custodiscono, sta a noi non estirparle.


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