Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

martedì 17 gennaio 2017

Anolini. Parma Mon Amour

Ero bambina e ogni volta la magia si ripeteva: giorni prima si cominciava a parlarne. Bisognava invitare qualcuno per cena, qualcuno così fortunato che avrebbe goduto di quel piatto così speciale.
Quando lo stracotto cominciava a sobbollire l'atmosfera si faceva eccitata. Il macellaio si era premurato di fornire quel pezzo giusto di spalla o sottospalla di vitello e, irrinunciabile, il cappone per il brodo, insieme all'osso giusto e al muscolo di manzo.
La casa profumava ormai di buono e, fra un pezzo della Traviata, uno del Trovatore e l'"Esultate!" di Otello lo stracotto diventava ripieno, messo a riposare un'intera notte, anche di più, al fresco.
Il giorno dopo il ripieno andava, finalmente, a riempire la sfoglia: lo stampino tornito a mano dal bisnonno Antonio svolgeva egregiamente il suo compito. Alla fine, mentre con allegria le note dei valzer di Strauss girovagavano per le stanze, la domanda, immutabile nel tempo era: quanti ne sono venuti? Si intendeva quanti anolini e mia mamma, stremata faceva l'annuncio: 327, 299.... A me, già un po' grandicella, il grandissimo onore di sigillarli uno ad uno appena usciti dalle mani di mamma, ben sapendo che quei pochi che si sarebbero rotti durante la cottura avrebbero contribuito a rendere ancora più succulento il brodo.
In sostanza una cerimonia lunga, laboriosa, affascinante, segno tangibile di un amore viscerale per la cucina, i suoi profumi, i suoi odori, le armonie, le rimembranze, le aspettative e i sapori rinnovati.
Ora lo stampino del bisnonno Antonio giace al sicuro in un cassetto: in pensione dopo tanti anni di onoratissimo servizio, sostituito da un bicchierino di vetro frutto di una ricerca certosina.
A me il compito di preservare e, se possibile, tramandare più che una ricetta un rito familiare.

Senza svelare tutti i segreti, in verità anche un po' lunghi da scrivere e difficili da rendere a parole, perché devono essere imparati con l'esperienza, eccovi le tappe dei miei anolini.



1. Il vitello, tagliato a grossi pezzi, entra nella pentola dove giace un fondo di olio extra vergine con un po' di burro. Appena inizia a rosolare entrano a fargli compagnia le verdure tagliate a pezzi (carota, sedano, cipolla, uno spicchio d'aglio che poi si toglierà), pochissimo peperoncino, chiodi di garofano (che poi toglieremo), sale e pepe. Una volta che hanno fatto amicizia fra loro si copre il tutto con brodo bollente e si incoperchia con l'amatissima fondina con la crepa sul fondo nella quale si versa il vino rosso (giovane e allegro) che percolerà durante la cottura. Dopo circa 3-4 ore si spegne il fuoco e si mette il tutto a riposare.




Giorno 2. Una volta acceso il fuoco sotto la pentola, appena lo stracotto riprende il bollore si versa una tazza di brodo bollente a cui si è aggiunto l'ultimo invitato, vale a dire, il concentrato di pomodoro. Tutto sobbollirà per qualche ora, sempre con la fondina in cui si rinnoverà l'aggiunta di vino.




Giorno 3. Ancora qualche ora e lo stracotto sarà davvero... stracotto. A questo punto è possibile passare alla preparazione del ripieno. Occorrono pane grattugiato, parmigiano, uovo e noce moscata.







Si versa il sugo dello stracotto bollente sul pane grattugiato e si schiaccia il tutto con la forchetta, così le verdure si scioglieranno nell'intingolo.




Quindi si aggiungono il parmigiano, l'uovo, la noce moscata, un po' di sale. La carne, ormai priva di ogni principio nutritivo, può essere tritata e aggiunta per rendere il ripieno più corposo. A questo punto si copre la terrina e la si mette a riposare un'altra notte.








Giorno 4. Il brodo di cappone è pronto, ora basta mettersi a comporre gli anolini. La sfoglia non va fatta con 1 uovo ogni 100 g di farina, ma un po' meno, altrimenti rischia di essere troppo preponderante. Fondamentale è aver portato il ripieno in cucina, al caldo, qualche ora prima e vaerrlo assaggiato per capire se manca qualcosa alla perfezione del gusto.



Pronti? Via! Un anolino dopo l'altro, sapientemente chiusi dall'aiutante (se c'è), si depositano sull'asse ricoperto da una tovaglia. Alla fine vanno coperti e fatti asciugare qualche ora e girati una volta in modo che l'asciugatura sia omogenea.






Gran finale. Quanti a testa? Dipende dall'appetito, ma almeno 25 a testa per riuscire a gustarli un po'.
Poi il lesso con le salse e i sottaceti.
La cuoca, stremata, è felice, gli ospiti in sollucchero, Traviata e Alfredo cantano: "Libiamo, nei lieti calici"...
W PARMA

Nessun commento:

Posta un commento