Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

venerdì 28 novembre 2014

La rosa bionda. Due brevi pillole....


Prologo

Tea guardò la valigia sulla retina del bagagliaio senza sapere se il peso più grande fosse quello del bagaglio o quello della sua angoscia, della sua speranza, della stanchezza per una corsa che durava da quasi trent'anni.
Non si era mai arresa, non l'avrebbe fatto mai.
Il treno sferragliava, pareva volesse attraversare d'un fiato quel lembo nordorientale della penisola senza lasciarle il tempo per decidere un'altra, definitiva marcia indietro.
Venezia – Trieste Via Udine, questo l'itinerario dell'ultima tappa.
Tea attraversò quella parte di Veneto in una bellissima mattina di sole: i campi di granoturco si stendevano verdi e rigogliosi accanto a vigneti pronti per dare i propri frutti, ovunque si notava il fervore di un mondo in ricostruzione. Qua e là Tea vide gru in movimento, alte abbastanza da oscurare, sfruttando gli inganni della prospettiva, le montagne che si elevavano all'orizzonte.
Il paesaggio l'aiutava a ricordare, a rientrare poco alla volta in un clima, una visione, un modo di essere parte della terra che ci ospita.
Non era ancora il Carso, non vedeva ancora il suo mare, ma sapeva che i suoi monti erano appena più in là, magari dopo il Piave li avrebbe visti da lontano...
Accomodandosi meglio sul sedile chiuse gli occhi e si fece cullare dai rumori intorno a sé, si sentiva finalmente in pace, quasi serena.
Dopo circa vent'anni stava davvero tornando a casa; dopo amori e sofferenze, entusiasmo e disperazione avrebbe trovato ancora tante incognite, una città che non avrebbe forse riconosciuto subito, tanti di quelli che erano stati il suo mondo non c'erano più, ma altri ne sarebbero venuti.
Dalla sua terra d'origine aveva avuto il nome, il destino di quanti nascevano minoranza in quel mondo di confine; aveva avuto il primo amore, un figlio e un destino strano.
[...]

Capitolo 1
Rincorrendo distrattamente il tempo, illudendosi vanamente del suo possibile fermarsi, o almeno rallentare, aveva subito una sorta di estraniazione: seduta nel parco della Villa Comunale era stata avvolta da un’onda di profumo intenso, prepotente, avvolgente, forse un po’ dolce, perfetto contorno alle pigre ore di un primo pomeriggio di quell’autunno incipiente. “Ah, ecco, questo è profumo di…”, guardandosi intorno non seppe darsi alcuna risposta e ancora una volta imprecò fra sé e sé contro la propria ignoranza botanica, che le aveva spesso precluso tante chiacchiere innocenti e rilassanti, durante la sua lunga vita. Dall’intrico verde la luce filtrava, baluginando come certe idee improvvise, brillanti e fuggevoli davanti a volontà deboli.
Glicini, mughetti, gelsomini, ciclamini e pochi altri. Il suo olfatto, finissimo, riusciva a dare un nome preciso solo a qualcuno dei tanti aromi sprigionati dai fiori, compiendo i giusti collegamenti. E dire che alla sua nascita la contessa, dopo averla guardata un po’, aveva consigliato per lei il nome Tea. Per evitare problemi con il parroco avevano poi aggiunto Maria. Aveva scoperto di chiamarsi Maria Tea solo al momento del matrimonio: fino a quel giorno per tutti era sempre stata semplicemente Tea, come la rosa.

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