Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

domenica 23 marzo 2014

#aldomoro Chi e perché ha ucciso Aldo Moro




Venerdì scorso ho avuto l'onore di introdurre la serata svoltasi a Maserada sul Piave, con Guido Lorenzon (testimone nel processo per la strage di Piazza Fontana) e l'on. Gero Grassi, ispiratore della nuova Commissione di inchiesta sul caso Moro.
Come previsto dall'on. Grassi, oggi l'ANSA ha rilanciato una notizia che, purtroppo, non fa che ribadire quanto sospettato da anni: le BR non erano sole e il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro si inseriscono nell'orribile sequenza di trame, servizi deviati, stragi mai punite che gettano da sempre un'ombra sinistra sul cammino della nostra democrazia.

Vi ripropongo alcune delle riflessioni da me introdotte l'altra sera sulla storia italiana dal dopoguerra fino al quel 16 marzo 1978.
 
"Andrò per forza per sommi capi, cercando di dare spunti di riflessione su una vicenda che, da qualunque parte la si guardi, ha cambiato per sempre il volto del nostro Paese e che si inserisce in una delle tante “anomalie” o particolarità tutte italiane.
La storia procede per gradi, pescando dal passato e mettendo a volte il piede già nel futuro.
A volte assistiamo ad accelerazioni improvvise, altre volte certe brusche frenate ci lasciano di stucco.
Chi vive il presente si trova, in alcune occasioni, a non leggere facilmente i fenomeni che, con evidente sarcasmo, mescolano spesso ambedue le situazioni.
Oggi siamo a circa 70 anni dalla nascita dell’Italia repubblicana, il secondo giro di boa di un percorso irto di ostacoli, complesso e che ancora oggi non pare aver trovato una rotta univoca ed avere un porto sicuro di approdo.

Ci sono date, nella storia, che lasciano davvero il segno: dopo di esse nulla è più come prima.
Il 16 marzo 1978 è una di queste, con l’aggiunta della consapevolezza condivisa da milioni di italiani: la radio e la televisione ne diedero allora diffusione immediata. Ne sono, da questo punto di vista, testimone: a scuola la notizia si diffuse in pochi minuti. Studenti e professori ci guardammo negli occhi: il sentimento era univoco, dominava la PAURA.
Paura mescolata alla consapevolezza che qualcosa di grande, insondabile, pericoloso stava accadendo.
Questo è un Paese abituato da sempre ai trasformismi, alle trame, al sottobosco del potere nel quale districarsi è quasi impossibile.
Nel 1962, in pieno boom economico, il presidente dell’ENI Enrico Mattei perì in un misterioso incidente aereo, di cui ancora oggi sappiamo ufficialmente poco.
Allora come poi e come spessissimo nei secoli precedenti, l’Italia è stata crocevia di interessi diversi, trame diplomatiche, avventure politiche e azzardi economici e finanziari; humus adatto all’invenzione positiva e acqua di coltura di virus pericolosissimi.

Senza andare troppo indietro nel tempo non dimentichiamo com’era nata l’Italia democratica: per 20 mesi il Paese si era trovato diviso, occupato e con storie e percorsi totalmente diversi. La lotta partigiana e la partecipazione operaia al salvataggio delle grandi fabbriche del Nord avevano favoritola formazione di un movimento operaio forte e consapevole, pronto, pur con i distinguo del caso, a candidarsi a governare la fase post-bellica.
L’assenza di una guida da parte di una monarchia incapace, pavida e imbelle aveva lasciato l’Italia allo sbando e in balia delle truppe di occupazione straniere, alleate o meno che fossero, un Meridione in cui la condizione dei contadini permaneva in condizioni, per usare un eufemismo, precarie…
Inoltre, cosa questa importante per l’argomento di stasera e perché siamo qui, nel Nordest, la presenza della Repubblica Sociale di Salò aveva contribuito all’acutizzarsi dell’odio, della delazione, anche delle vendette intestine.
Quello che uscì dalla II Guerra Mondiale era quindi un Paese dilaniato dal punto di vista sia strutturale che morale.

La ricostruzione vide emergere sostanzialmente due forze che si occuparono, ognuna dal proprio versante, di riorganizzare le masse e anche organizzare gli aiuti concreti a una popolazione spesso bisognosa di tutto.
Ciò non fece che cementificare i rapporti con i cittadini e l’influenza profonda sul modo di sentire e di pensare delle Italiane e degli Italiani. La definizione “partito di massa” significa proprio questo: la massiccia adesione di centinaia di migliaia di persone ai partiti prima ancora che una scelta ideologica profonda dimostrava il riconoscimento di un loro ruolo fondamentale nella vita quotidiana.
La Chiesa cattolica anche durante il fascismo non aveva mai smesso di essere per molti aspetti fulcro morale del Paese, pur nell’ambivalenza del comportamento delle alte gerarchie ecclesiastiche e dei sacerdoti impegnati invece “sul campo”.
Il Partito Comunista poteva mettere sul piatto il grande numero di arrestati e condannati dal Tribunale Speciale fascista, la lotta clandestina condotta senza tregua e la massiccia partecipazione alla guerra di Liberazione. Insieme ai Socialisti, inoltre, il movimento operaio nel suo complesso fu protagonista delle battaglie a fianco dei braccianti meridionali.

Queste le premesse.
Una vicenda come quella che stiamo per affrontare va comunque vista in un contesto non solo locale ma internazionale, che può in parte spiegare i punti di arrivo della politica italiana dal punto di vista dei protagonisti della fine degli anni Settanta, ovvero Enrico Berlinguer e, ovviamente Aldo Moro, divisi per motivi ideologici ma sicuramente vicini nell’approccio ai problemi, nel rifuggire quella che oggi chiamiamo la “politica urlata” e soprattutto nel saper guardare avanti, cosa questa, me lo si lasci dire, che manca a buona parte di un personale politico oggi troppo occupato a guardare la punta delle proprie scarpe.

Molto velocemente ricordo alcuni punti secondo me fondamentali nello scacchiere internazionale ma strettamente legati alle posizioni politiche dei due schieramenti italiani:
  • Gli anni Cinquanta, aperti con la guerra di Corea, l’allontanamento fra Cina e URSS e la morte di Stalin che aprì il faticosissimo cammino per il superamento ideologico di quella stagione, con tutto il carico di contraddizioni e lacerazioni provocate all’interno del movimento operaio. In questo contesto i fatti di Ungheria del 1956 dimostrarono quanto lunga fosse ancora la strada verso l’accettazione della autodeterminazione dei popoli
  • Gli anni Sessanta, d’altro canto, videro accentuarsi la spinta imperialista americana: nel 1960 ebbe inizio il conflitto vietnamita mentre l’anno successivo il mondo rischiò di essere trascinato in un nuovo atroce conflitto mondiale dopo la famosa crisi di Cuba e lo sbarco americano nella “Baia dei porci”. La stessa figura di un uomo come John Kennedy risultò pesantemente annebbiata da una vicenda a dir poco oscura
  • La terza questione di tipo “internazionale” per le sue conseguenze generali fu il Concilio Vaticano II, fortemente voluto dal Papa Giovanni XXIII. Quello che fu ribattezzato il discorso della luna e l’enciclica Pacem in terris rovesciarono una volta per tutte il rapporto non solo fra la Chiesa e la cristianità ma, cosa ancor più rivoluzionaria, fra la Chiesa di Roma e “tutti gli uomini di buona volontà”. Il Papa, non scordiamolo, chiedeva PACE ma riconsiderava una volta per tutte il tema dell’uomo. “In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili”.

Per avvicinarci al tema di stasera occorre ricordare che durante tutti i decenni del dopoguerra, almeno fino agli anni 80, il dibattito politico italiano era intenso, profondo, a volte drammatico, fortemente permeato di accenti ideologici ed internazionali, fonti di pesanti discrimini interni.
Parlare a fondo del 68 vorrebbe dire parlare per ore, qui credo sia sufficiente ricordare come, grazie a tutto ciò che il 68 ed il 69 significarono, milioni di giovani si affacciarono alla politica e come in Italia, diversamente da altri paesi occidentali, l’eco e la profondità del cambiamento continuarono per molti anni ancora.
Guido Lorenzon fra poco parlerà dell’evento che diede il tragico inizio a quella che viene chiamata la “strategia della tensione”: Piazza Fontana, con il suo carico di morte e di dolore, rappresenta la reazione violenta al cammino intrapreso verso una nuova condivisione della democrazia, verso l’ingresso di forze nuove nella guida, anche politica, di questo Paese.
Era il 12 dicembre 1969 e da quel momento l’Italia vide correre una lunghissima scia di sangue, orchestrata per reprimere le risposte nuove e democratiche ad un mondo che stava inesorabilmente cambiando.

In tutto il contesto internazionale irrisolto credo di dover ricordare altri due fatti:
  1. La crisi petrolifera del 1973 e l’acutizzarsi dello scontro sociale
  2. Il golpe cileno, nel settembre dello stesso anno, con le drammatiche riflessioni proposte da un uomo come Enrico Berlinguer di cui, ricordiamo, fra pochissimi mesi ricorre il trentennale della morte.

In quel brevissimo spazio, cinque anni in tutto, le trame nere diedero fondo ad una serie di orribili attentati, parte dell’estremismo di sinistra scelse la folle via della clandestinità e della lotta armata, il Partito Comunista diede prova non solo di fermezza ma, lasciatemelo dire da, sia pur piccola, protagonista di quel periodo, di vero e proprio baluardo in difesa di un’Italia democratica in grave difficoltà.
I due straordinari risultati del PCI nelle elezioni amministrative del 1975 e nelle politiche del 1976 resero chiaro a tutti che una fase, quella relativa al 48 ed alla guerra fredda, era finita per sempre.
Berlinguer lavorava per rafforzare la struttura e l’immagine di un partito nuovo, comunista e occidentale.
Benigno Zaccagnini e Aldo Moro lavoravano in una prospettiva nuova, che avrebbe visto comunque un rapporto nuovo con un PCI finalmente sganciato da Mosca.

Smorzare le tensioni, evidentemente, era operazione politica azzardata.
Nel 1978 5 erano le colonne brigatiste in Italia: a Milano, Torino, Genova, Roma e nel Veneto. Alla fine di quell’anno il conteggio delle vittime salì a 29.

Isabella Gianelloni 


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