"Soldati di terra e di mare,
l’ora solenne delle
rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l’esempio del mio
Grande Avo, assumo oggi il Comando supremo delle forze di terra e di
mare con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra
abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire.
Il nemico che vi
accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal
terreno e dai sapienti apprestamenti dell’arte, egli vi opporrà
tenace resistenza, ma il vostro indomito slancio saprà superarla.
Soldati,
a voi la gloria di
piantare il tricolore d’Italia sui termini sacri che la natura pose
ai confini della Patria nostra; a voi la gloria di compiere,
finalmente, l’opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri".
Gran Quartiere Generale,
24 maggio 1915
Vittorio Emanuele III
Dopo il Decreto Reale del 30 agosto 1914, la provincia di Treviso aveva messo a disposizione dei comuni un fondo di 200.000 lire, ed al Comune di Conegliano toccò un mutuo di 5.000 lire “per soccorrere i rimpatriati privi di mezzi di sussistenza”, estinguibile in 10 anni. C’è da notare che l’anno successivo il prestito arrivò a 8.000 lire.
I documenti comunali ci raccontano la realtà, testimoniando che nel
1914 il numero dei rimpatriati in difficoltà era molto elevato. Il
Gazzettino del 22 agosto sottolineava come da diversi giorni circa
200 “migranti” sostassero sotto la loggia municipale chiedendo
lavoro o pane per sé e per le proprie famiglie. Il quotidiano fece
allora appello al Comune ed alla Congregazione di carità affinché
si facesse qualcosa, di fronte a quel “pietoso ed impressionante
stato di cose”.
La sottocommissione coneglianese pro indumenti militari risultò
composta da 4 persone, più il sindaco ed il comandante dei
carabinieri.
È significativa la relazione della seduta dell’8 ottobre 1915,
dopo quattro mesi dall’ingresso in guerra dell’Italia, che vide
la presenza anche dei rappresentanti degli altri comuni del
mandamento.
Vi si denunciavano lo sfruttamento ed il lucro da parte di molti. Gli
appaltatori, per il lavoro di una giubba percepivano lire 2,40: alle
donne che la confezionavano ne pagavano 1,40. La Cooperativa ed i
Comitati pagavano il lavoro lire 2,10.
Dalla relazione di quella seduta apprendiamo anche, per esempio, che
nel Comune di San Pietro di Feletto erano 70 le donne di famiglie di
richiamati alle armi che avevano dato il proprio nome, e 300 erano le
persone disposte a questo lavoro nel Comune di Susegana.
Il giorno 23, vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, il
Comizio Agrario di Conegliano mise a disposizione della sua
presidenza 10mila lire per i piccoli proprietari agricoltori e
piccoli “affittanzieri” di terre a denaro che per la chiamata
sotto le armi di membri della famiglia si trovassero
nell’impossibilità di coltivare la terra.
Tutto, però, doveva essere messo a tacere, ogni sguardo, ogni parola rivolti solo all'entrata in guerra, alla sicurezza della vittoria:
La retorica del tempo non si risparmiò quando fu il momento
cruciale: la prima pagina del Gazzettino del 24 maggio ne è un
esempio lampante. Dopo il titolo a caratteri cubitali “La guerra
dichiarata” seguiva una serie di articoli, fra i quali uno
titolava: “Cinque giorni di festa”, mentre il testo riportava il
fatto che il re aveva dichiarato festivi i cinque giorni successivi,
necessari agli obblighi civili e commerciali…Il 25 maggio si
sottolineava l’entusiasmo popolare insieme all’apertura delle
cucine economiche a Treviso, mentre a Conegliano il locale Patronato
avviava la refezione scolastica per i figli dei richiamati.
Cittadini, silenzio! Questo il monito agli italiani. In pochi mesi la baldanza e la sete di gloria si trasformarono in trincee marce, dolori e morte senza fine
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