Cercò qualche risposta lungo le strade di Parigi, cercò sostegno guardando il fiume. Si ritrovò sul Pont D’Austerlitz e si rese conto che quella era la prima volta che percorreva così tanta strada da sola. Guardò i binari della ferrovia, la silhouette della Gare de Lyon e si diresse sicura verso la stazione.
Il fumo delle locomotive si mescolava alla pioggia residua che gocciolava dalle nuvole ormai svuotate e l’insieme, agli occhi di Tea, rendeva scintillante l’atmosfera di quel luogo magico composto di incessanti arrivi e partenze.
Quella di giungere fin là non era stata una scelta cosciente ma ora si rendeva conto che non c’era nessun altro luogo adatto al suo stato d’animo.
Sentì fortissima la tentazione di salire su uno di quei convogli pronti e già sbuffanti nell’attesa, di provare ancora una volta l’ebbrezza di un viaggio nuovo, di buttarsi a peso morto in un’avventura densa solo di incognite.
Su una panchina vide una giacca simile ad una redingote.
Conoscevano a memoria gli abbracci, sapevano come far scorrere le emozioni, come sentire il proprio respiro all’unisono con quello dell’altra, i polpastrelli percorrevano sicuri le piccole curve della pelle, percepivano i flebili sussulti causati dalla forza insopprimibile dell’amore.
Rimasero così, allacciati, per un tempo che a loro parve tutto sommato breve, disperati in quella che doveva apparire una felicità troppo grande per essere accettata dagli altri.
Tea era ancora rossa per lo sforzo, per le lacrime, per la rabbia impotente. Bruno riusciva solo a stringerla cercando di darle quella consolazione che avvertiva come impossibile anche per se stesso.
Erano soli, soli in una città tutto sommato straniera, forestieri in ogni luogo del mondo, soli davanti ai giudizi, ad una morale che si accontentava di perpetuare se stessa, che non prevedeva l’indulgenza, la comprensione, la voglia di cambiare.
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