Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

lunedì 5 settembre 2011

Incipit


Ti ho lasciato dov’eri, prigioniero del groviglio delle parole non dette, dei peccati inconfessati, delle certezze smarrite. Ho cercato di non vederti, nonostante la luce che fuggiva dall’intrico dei rami intrecciati e sovrapposti a comporre null’altro che la vita, l’albero ormai grande, alto abbastanza da sentire la brezza, lassù.
Mi fa ombra, questa pianta contorta, a volte mi protegge ma altre, molte altre, mi soffoca.
Restare quaggiù, forse, al riparo dalle sorprese.
Provare a salire e sfidare il vento.
Cercare il coraggio per guardare oltre e affrontare la vertigine sapendo che, in un gioco affascinante ma un po’ crudele, tornare giù sarà quasi impossibile.
Oppure, beffa suprema, scoprire che sotto, nel frattempo, tutto è mutato e ormai sconosciuto.
Il futuro non aspetta nessuno e quando diventa passato il presente di prima non esiste più.
Mi cullo un po’ nel consapevole autoinganno, fingendo che la soluzione non ci sia, che tra rimanere immobile e ritrovarsi lassù, in balìa dell’inconosciuto, non ci sia una via di mezzo.
Potrei forse salire con un unico balzo, ma le ultime fronde sono troppo in alto, rischierei solo la delusione della sconfitta.
Potrei fare un po’ di strada e poi ridiscendere, risalire ancora percorrendo un tratto più lungo, poi tornare e così via, per non perdere del tutto il contatto con il mio terreno e verificare via via le differenze. Molto faticoso ma istruttivo.
Oppure potrei soltanto salire, con tappe più lunghe o più brevi, ma senza mai guardare giù. Una volta in cima sarebbe comunque troppo tardi per ogni ritorno: le fronde ormai folte impedirebbero di vedere più giù.
26 luglio 2009 

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