Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

martedì 30 aprile 2013

Il lavoro prima di tutto

Buon 1 Maggio, buona festa del lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori.

Affrontare l'enorme questione del lavoro delle donne in Italia significa volgere lo sguardo alla storia sociale ed economica del nostro Paese e contemporaneamente analizzare l'evoluzione culturale e politica di uomini, donne e classi dirigenti riguardo al mondo femminile.

Già negli ultimi anni dell'800 ma soprattutto nel corso del XX secolo le principali lotte femminili sono state volte al riconoscimento del ruolo delle donne nella società che, come ci dice oggi la nostra Costituzione, parte proprio dal lavoro, dai diritti e dalla posizione nella società che ne conseguono.
La seconda grande questione che si intreccia alla precedente è proprio la concezione del lavoro, di che cosa esso sia: se per gli uomini la definizione dello stesso è abbastanza semplice, legata alla professione e alla mansione specifiche, per le donne tutto diventa più complesso.
Quanti lavori svolgono ed hanno sempre svolto le donne?
La donna contadina si occupava dei campi ma contemporaneamente della casa e della cura dei figli e degli anziani, esattamente come le donne di oggi, siano esse impiegate a bassi od alti livelli nel mondo del lavoro retribuito o delle professioni, continuano ad occupare molta parte del proprio tempo in quello che viene comunemente definitolavoro di cura.
Ad intervalli regolari, a seconda dell'insorgere di guerre o crisi economiche le donne sono state inglobate nel mondo del lavoro tradizionale e maschile oppure ne sono state cacciate senza ritegno. Troppo spesso una certa tradizione politica e culturale ha fatto dimenticare che le donne sono state il fulcro della rivoluzione industriale, le prime ad ingrossare le fila del proletariato nascente, spesso quasi le uniche ad avere il coraggio di sfidare le dittature chiedendo diritti e dignità.
Una data come l'8 marzo, oggi spesso ridotta a pranzi, cene e salati conti dai fioristi, ricorda proprio la scesa in piazza delle donne russe contro la guerra nel 1917. Ben prima della Rivoluzione d'Ottobre erano state le donne a sfidare la polizia dello zar: le donne sono portatrici di vita, per natura contro la morte.
Oggi i passi avanti sono evidenti, ma rimane il fatto che l'Italia è ancora fanalino di coda in Europa nell'occupazione femminile, nella tutela delle lavoratrici madri, nel controllo del rispetto dei diritti e della dignità nel lavoro, nell'offerta di servizi che consentano di alleviare il lavoro di cura, di liberare maggior tempo per il proprio accrescimento personale e culturale.
Se in paesi avanzati come quelli della Scandinavia oggi il differenziale fra le ore di lavoro totali delle donne e degli uomini (fra lavoro e casa) è di 5 minuti, in italia è ancora di 183, vale a dire che le donne italiane lavorano in media 3 ore più dei loro compagni.

È su questi temi, sul superamento degli ostacoli che si oppongono alla conquista di un'effettiva parità che le Commissioni per le Pari Opportunità sono chiamate a svolgere il loro compito: promuovere la conciliazione degli orari, difendere le discriminazioni soprattutto nelle realtà meno difese (come le piccolissime aziende, gli esercizi commerciali, gli studi professionali...), creare un legame con le donne immigrate che, oltre tutto, soffrono anche di discriminazioni che meriterebbero da sole giornate di approfondimento.

 
Nella situazione di difficoltà economica generale le donne sono colpite due volte:
  • se sono giovani e quindi costrette a mansioni e contratti dequalificanti, a firmare le famose dimissioni in bianco o costrette comunque a rinunciare alla maternità
  • se meno giovani perché patiscono doppiamente la difficoltà di reinserimento nel mondo del lavoro e di ottenere mansioni adeguate.

Conegliano è città capofila dell'industrializzazione di una vasta area identificabile più o meno con la Sinistra Piave, centro di un comprensorio manifatturiero con eccellenze europee e mondiali nel settore del legno e metalmeccanico.
Oggi la Inox Valley, laddove mantiene alti livelli di innovazione continua ad essere centro di eccellenza produttiva, ma tutto il settore metalmeccanico e del suo indotto rischia un grave contraccolpo dalla crisi profonda di un'azienda come Electrolux, che ha scelto di far produrre altrove i prodotti di alta fascia lasciando qui solo produzioni di livello inferiore. In pochi anni Elecrolux ha visto dimezzare i dipendenti da circa 2000 a un migliaio, oggi in CIG o riduzione d'orario.

La città, che nel corso dei decenni ha esportato le zone industriali e artigianali nei paesi vicini ha oggi una forte presenza dei servizi, del commercio, del terziario in genere, anch'esso parzialmente in crisi.
Nel modello Nordest la crisi qui ha significato, per esempio, che da inizio anno nella Sinistra Piave c'è stato un 30% in meno di utilizzo degli impianti, il numero degli occupati in un anno è sceso di circa 4000 unità, la disoccupazione si attesta intorno al 7%, con un 18% di giovani senza lavoro.
Con 150 aziende in crisi più o meno 15000 lavoratori della Sinistra Piave soffrono la CIG o la riduzione dell'orario di lavoro, con grave incidenza sui guadagni delle famiglie.

Su un punto tutte le categorie economiche (sindacati, artigiani, commercianti, industriali) si trovano d'accordo: occorre trovare insieme la strada per uscire dalla crisi, ridando soprattutto fiato alle aziende e all'occupazione, ai salari, alla rimessa in moto di un circolo economico virtuoso.

Che, però, non potrà più essere quello di prima: il sistema oggi in crisi è quello che ci ha portato anche a distruggere grandi porzioni di di territorio, ad inquinare, a consumare risorse che si pensavano eterne e indistruttibili.

Si tratta di problemi e questioni che hanno bisogno di livelli superiori di decisione, nazionale e regionale, ma noi crediamo che anche gli Enti Locali debbano avere un ruolo assai decisivo, anche perché sono i primi a dover affrontare, sul campo, i costi sociali derivanti dalla crisi economica delle famiglie e degli individui.

In una città come Conegliano parlare di lavoro significa anche occuparci, fra gli altri, di alcuni temi fondamentali:

  1. Massima attenzione alla questione Electrolux: questa azienda significa centinaia e centinaia di posti di lavoro, al suo interno e nell'indotto, è la storia della manifattura e del sapere tecnico e professionale di un'intera zona.
  2. Un Comune promotore di un tavolo permanente insieme alle forze economiche e alle realtà scolastiche presenti in città (pensiamo ad Istituti Tecnici come l'ITIS e l'Enologia) e alle Università. Un coordinamento che veda la collaborazione degli altri Comuni vicini per attivare un polo di ricerca su nuove tecnologie, materiali innovativi, formazione dei giovani e all'interno delle imprese, dare sempre maggior importanza al comparto agroalimentare.
  3. La massima attenzione alla legalità: è ormai quotidiana la denuncia di tentativi di infiltrazioni malavitose nelle aziende in crisi
  4. Uno sportello che fornisca ascolto, aiuto, informazioni, alle donne vittime di soprusi sul lavoro e non. Un ufficio per le Pari Opportunità vero e non fittizio può avere una grande importanza anche a livello locale
  5. Vorrei soprattutto un Comune che abbia come bandiera la bellezza: ristrutturare, mettere in campo anche le piccole manutenzioni, riconvertire le abitazioni con criteri eco-sostenibili, abbellire e rendere attraente la città vuol dire creare lavoro, un lavoro utile a tutta la comunità, turismo non a spot ma che trovi risposte concrete sul territorio.

    Isabella Gianelloni



domenica 28 aprile 2013

Manzoni e il vigneto ignoto

Un venticello d'autunno, staccando da' rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere, qualche passo distante dall'albero. A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta ne' campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza. (Promessi sposi, cap. IV)
Se non fosse per il fatto che ormai i gelsi sono una presenza rara, soprattutto "in testa" ai vigneti, questo autunno manzoniano richiama in tutti noi, abitanti di queste latitudini, attimi e immagini fissati per sempre nella memoria, nel cuore, nella nostra identità.
In una parola, poesia allo stato puro.
Manzoni troppo antico, superato, complicato? Gli occhioni sgranati della sedicenne che avevo davanti qualche giorno fa dimostravano la completa estraneità ad un paesaggio che dovrebbe appartenerle, ad una lingua che riesce ad esprimersi con più di quelle 800-1000 parole che lei, liceale, forse usa.
Incredula le ho chiesto se avesse mai visto un vigneto in autunno (Conegliano, come sappiamo, è circondata da vigneti...), alla sua risposta negativa ho azzardato: "I tuoi genitori ti hanno portato almeno qualche volta a vedere i colori dell'autunno in Cansiglio?".
Occhi ancora più sgranati: colori, autunno, Cansiglio, vigne?
Dalle sue labbra è uscita una frase che mi ha imbarazzata ancora di più: "Mi racconti lei, mi dica, per favore, come sono i colori, se sono davvero così belli". Lo sguardo era brillante e affamato. 
Ho scoperto che non conosce la rugiada, non ci aveva mai pensato; proseguendo con la lettura di quel capitolo manzoniano ho capito che nessuno le ha mai detto che esistevano (ed esistono ancora) i poveri...
Potrei continuare. 
Non è colpa di Manzoni se l'unico uso che si fa del suo romanzo è quello di imporre agli allievi noiosissime schede da compilare togliendo la bellezza della ricerca dei vocaboli e delle intonazioni del racconto, il sentimento di condivisione, di solidarietà, l'abitudine a verificare, ponderare, approfondire, accettare anche pensieri lunghi e più complessi di un sms.
Troppo comodo, però, dare tutte le colpe alla scuola ed ai suoi protagonisti principali, gli insegnanti, anche se a volte, ripeto a volte, potrebbero fare un po' di più per provocare i cervelli di quanti stanno loro di fronte.
Nel caso che ho citato non si tratta del cosiddetto "disagio sociale" ma del suo contrario: opulenza e acquiescenza, casomai, ad un modello che prevede il non-pensiero, fratello gemello del quieto adagiarsi nella comodità dell'ignoranza, la delega ad altri di ciò che dovrebbe essere patrimonio inalienabile di ogni famiglia che si rispetti, cioè tramandare la memoria del vissuto, abituare a leggere la realtà, ad ascoltare e ragionare. 
Ho preso l'impegno con quella ragazza di farle amare i Promessi Sposi, accondiscendendo (con fatica e argomentando la mia posizione) alla sua ripulsa per il personaggio di Lucia, davvero troppo lontano dal vissuto di una sedicenne del XXI secolo. 
Ha accettato la sfida e questo è il messaggio che giro al neo-ministro della Pubblica Istruzione: accendere di nuovo la voglia di sapere, che esiste. Va solo scoperta e aiutata, magari anche con l'ausilio dei Promessi Sposi.
Isabella Gianelloni





mercoledì 24 aprile 2013

Costruttori, carrozzieri, rottamatori... Buon 25 aprile

Costruttori, carrozzieri, rottamatori: tutta gente che lavora intorno alle automobili. Peccato che la fabbrica delle auto sia in pericolo.
In questo caso, poi, ci sono due fabbriche in pericolo: una davvero importante per tutti (e possiamo chiamarla confidenzialmente Italia), l'altra è sicuramente meno decisiva della prima ma la sua esistenza o meno influisce molto sul modo di essere della prima (e si chiama partito di centro-sinistra, di sinistra, laburista, democratico, chiamatelo come volete ma a questo mi riferisco).
Risulta chiaro che se si distrugge la fabbrica falliscono tutti e tre i personaggi.
Non posso parlare di ciò che non conosco, ma posso affermare che la mia lontana decisione di impegnarmi politicamente partendo dalla condizione di studentessa, così come quella di quasi tutti quelli che ho incontrato lungo la mia strada e che hanno condiviso le mie stesse idee (partendo dai luoghi di lavoro, dall'impegno sociale, culturale...) è scaturita dal desiderio di dare un contributo, non importa se piccolo o grande, al bene comune, alla difesa dei diritti di quelli che hanno meno voce, alla costruzione di una società che desse pari opportunità e non carità, nella consapevolezza che libertà e democrazia devono andare a braccetto con equità e giustizia.
Soprattutto che ci sono state donate, col sacrificio e il sangue di tanti, per essere coltivate, alimentate, sostenute, riconquistate ogni giorno.
Non mi interessa ora sottoporre agli altri l'ennesima analisi sugli ultimi accadimenti politici (molti più bravi e anche meno bravi di me hanno ormai scritto e detto fiumi di parole), sulla crisi delle Istituzioni e dei partiti che ne sono parte fondante e fondamentale, sulle necessità urgenti di questo nostro Paese.
Sottopongo a quanti vorranno leggermi solo una riflessione, che ritengo però alla base di ogni futuro ragionamento collettivo, se vogliamo per una volta guardare avanti e pensare al mondo che sarà, a che società vogliamo lasciare a chi verrà dopo di noi.
Qualche anno fa celebrando un 25 aprile ho ricordato che quelli che hanno fondato la democrazia col proprio sangue erano quasi tutti giovani: quello che abbiamo applaudito in questi ultimi anni e che continuiamo ad amare, era anch'esso un ragazzo. In una riunione negli anni '70 Giorgio Napolitano raccontò a noi giovani come avesse fatto la sua scelta di vita: ci spronava.
Lui è uno dei pochi rimasti di quella schiera di "giovani costruttori" di un'Italia nuova, che partiva proprio dalla conoscenza, dalla memoria, dall'impegno e da uno studio continuo, dall'approfondimento giornaliero del presente e del passato ad esso per forza collegato.
Oggi i volantini scritti su carta velina battuti a macchina usando la carta carbone non esistono più. Abbiamo a disposizione nuovi mezzi di comunicazione: veloci, di massa, immediati. 
Rimane la grande domanda: cosa scriviamo, in questa famosa rete? Cosa impariamo da giornalisti spesso sgrammaticati e ignoranti preoccupati di autoreferenziarsi? Cosa significa democrazia diretta se non se ne conoscono le regole? 
Potrei continuare, ma mi fermo. Credo però fermamente che ogni futuro atto politico, amministrativo, sociale, in ogni campo, debba partire dalla conoscenza e dalla formazione.
Scuola pubblica, per tutti, di qualità. E poi ancora scuola, scuola, scuola: un'istituzione bistrattata, con insegnanti che si vorrebbero macchine dispensatrici di poche nozioni e ancor meno approfondimento.
Formazione di cittadini che devono essere in grado di comprendere, verificare, confrontare per scegliere, una volta tanto, con la testa ed a ragion veduta.
Il mio 25 aprile preferito sarebbe quello che vede una nuova riscossa delle menti, la voglia di conoscere, sapere, confrontare.
Ho ascoltato solo oggi la registrazione del discorso di giuramento del Presidente Napolitano: noi non abbiamo solo la Costituzione più bella del mondo, ma anche il Presidente migliore.
Ascoltiamolo: è un costruttore aperto al rinnovamento di questa nostra grande casa comune.
Buon 25 aprile a tutti.
Isabella Gianelloni

lunedì 15 aprile 2013

La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico....

Costituzione della Repubblica Italiana. Articolo 9
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico della Nazione.
Questo uno dei principi fondamentali del nostro Stato.
Gli amici di Asolo sono per il momento riusciti a fermare l'ennesima distruzione del territorio da parte di una politica dissennata, ottusa, miope e incapace di guardare più in là del proprio naso.
I Comuni chiamati a disegnare i nuovi P.A.T. (Piani di assetto del territorio) hanno la grande occasione di mettere in pratica ciò che molti amministratori predicano, evidentemente senza crederci troppo, quando tagliano nastri, salutano convegni, presentano libri: tutto in manifestazioni pubbliche non promosse da loro.
Se non fosse che scelte politiche ed urbanistiche volte a  beneficiare i soliti noti della speculazione edilizia rischiano di distruggere un bene che è patrimonio di tutti, di togliere la possibilità di dare lavoro a tanti giovani laureati e non, di privare ciascuno di noi del diritto di respirare aria e bellezza, ci sarebbe anche da ridere.
Da un lato si annuncia pomposamente che il Veneto non permetterà altro consumo di territorio agricolo per l'impianto di pannelli fotovoltaici e dall'altro se ne permette l'allegra distruzione cementificando ancora.
Fino a qualche anno fa la "fioritura" di zone industriali, artigianali, commerciali (ogni comune voleva la sua) ha portato ad ingolfare di camion, automobili e smog le arterie stradali che attraversano paesi e città (quelli fondati o costruiti con intelligenza e grande senso estetico dalla tanto amata "Serenissima"), facendo sì che il percorso da Vicenza a Conegliano diventasse uno dei luoghi con più alta densità di capannoni d'Europa.
Ora incontriamo spesso deserti, orribili resti di capannoni vuoti costellati di vendesi, affittasi....
Ad Asolo come a Conegliano, a Oderzo come a Vittorio Veneto.
Rimane, quello sì, il paesaggio distrutto irrimediabilmente, un territorio depauperato, inquinato e difficilmente recuperabile.
Le "città d'arte e del vino" arroccate dietro le meravigliose mura che ancora ne difendono gli angoli più antichi. Importante non guardare fuori, non affacciarsi da torri e bastioni verso la pianura.
Romanticherie nostalgiche? Non credo.
Al Presidente della Provincia che afferma di scegliere sempre il lavoro vorrei ricordare che in questo disgraziato Paese l'unica industria in attivo continua ad essere quella del turismo culturale e che l'edilizia avrebbe lavoro per decenni se solo ci si occupasse di rimettere a posto ciò che già c'è. Gli esempi ci sono e funzionano.
Consiglierei al Vice Presidente della Provincia, nonché Assessore provinciale al turismo e alla cultura e Sindaco di Conegliano di confrontarsi meglio con il suo collega di governo.
Non risulta che i turisti vadano ad Asolo o vengano a Conegliano per visitare le aree industriali (dismesse): se qualche imprenditore con pochi scrupoli ha portato all'estero fabbriche e impianti ricordiamoci che la bellezza delle colline, la suggestione del paesaggio, l'arte e la storia non sono delocalizzabili.
A Conegliano stiamo per discutere il nuovo PAT e le premesse non sono buone...
Giunge voce che Vittorio Veneto non stia molto meglio...
Creiamo allora una rete di idee e proposte, agitiamo le coscienze non solo sulla buvette di Montecitorio ma sulle città in cui viviamo: alle mostre internazionali del turismo in Cina, in Africa o negli USA portiamo la bellezza e l'enogastronomia di qualità, non cemento e lamiere contorte.
Isabella Gianelloni

mercoledì 10 aprile 2013

La società è malata, anche noi possiamo essere medici.

Apro i giornali stamattina e trovo altre notizie tragiche, altre persone si sono tolte la vita qui, in questa città.
Nel giornale on-line appena sotto la tragedia appare l'articolo sull'osteria abusiva sotto le mura della città, aperta senza permessi che, come ovvio e naturale, faceva tutto in nero, pagando nella stessa maniera le persone che ci lavoravano...
I commenti dei lettori a quest'ultima notizia chiedono a gran voce che non si disturbi la simpatica persona che, in "barba" ad ogni legge e regolamento, vendeva crostini, spritz e prosecchi.
C'è un grande stridore fra queste due parti di una stessa comunità: da un lato la disperazione, il buio psicologico, la sensazione di solitudine e dall'altro la prosecuzione sempre più sfacciata di un modo di fare tutto nostrano, composto di individualismo, allegra inosservanza di regole, leggi, norme in nome sempre e comunque di un dio tutto minuscolo ma totalizzante: il denaro. Denaro a fiumi spesso accompagnato dal consumo di cocaina e simili: andate a chiedere a chi lavora in certi locali, a chi conosce tanta gente di questa "Conegliano da bere".
Fondamentale, inoltre, l'evasione sistematica del fisco e la conseguente morale diretta a politici, amministratori, immigrati.
In tutto questo l'impegno quotidiano e costante, unito a quelle che un tempo si chiamavano "spalle grosse" per affrontare le avversità può apparire fuori moda, obsoleto, passato.
Qualcuno investe se stesso nel tour serale dello spritz e del prosecco, altri, molti, inseguono un lavoro che c'è sempre meno al quale hanno affidato ogni significato di sé, tanti purtroppo non riescono a reggere il ritmo imposto e in una società che fonda se stessa sull'apparire, sulle apparenze, che in un delirio continuo di finte informazioni di reti para-socializzanti di post news e tag ci lascia soli.
C'è tanto vuoto in tutto questo, chiamiamolo come ci pare: morale, etico, del comportamento, dei valori. Ci sono morali religiose cui aggrapparsi ma ne esiste un'altra, laica, civile che si fonda su solidarietà, consapevolezza di sé, delle debolezze e dei propri pregi, del fatto che i nostri figli non ci giudicheranno da quante cose sapremo acquistare ma da quali cose sapremo trasmettere.
Ci vuole coraggio, questo è sicuro.
Da un lato la politica deve fare il suo dovere e mettere in atto politiche di risanamento e sviluppo, ridare ai Comuni la possibilità di intervenire pagando i debiti e attivando servizi di aiuto alle persone in difficoltà.
Dall'altro penso che la risposta migliore a quanti oggi si dibattono nell'idea di imitare chi non ce l'ha fatta stia in un cambio di passo generalizzato da parte di tutti. Tutti, nessuno escluso: per troppo tempo qualcuno ha pensato che si potesse delegare ad altri il proprio pensiero, la definizione della scala dei valori. Tutto questo si è dimostrato un tragico imbroglio, che non si risolve, comunque, con un generico "vaffa". L'impegno costa fatica, sudore, ma è l'unica strada seria da imboccare.
Isabella Gianelloni

domenica 7 aprile 2013

Qualche riflessione in punta di piedi

Ci sono parole che fanno fatica ad uscire, o meglio temono di essere fuori luogo, ridondanti, inutili, violente là dove sarebbe necessaria la delicatezza.
Tutti sappiamo dei danni che può provocare un elefante in una cristalleria. L'elefante però, come tutti gli animali citati a sproposito da noi umani, è innocente.
Continuo a girarci intorno, da giorni mi passa per la testa il pensiero che vorrei dire anch'io qualcosa, mi trattiene il timore di scrivere parole non solo inutili ma soprattutto fuori luogo.
Dopo gli ultimi casi avvenuti e le scene viste al telegiornale ieri sera mi sono decisa, la rabbia è arrivata al culmine; non sopporto l'uso disinvolto e falsamente lacrimevole che i media e alcuni politici (alcuni, non dimentichiamoci mai che non sono tutti uguali, c'è chi da anni si batte per difendere le categorie sociali più svantaggiate lottando contro una società fondata su Maria De Filippi nel migliore dei casi e sui settimanali patinati) fanno delle difficoltà e della disperazione altrui.
Di mestiere non faccio la sociologa ma come tanti altri vivo nella mia città, fatico ogni giorno per trovare la quadratura al presente e al futuro prossimo, conosco la dignità e cerco di leggere le persone e gli avvenimenti che accadono.
Un essere umano che arriva a togliersi la vita denuncia la sconfitta più grande, sempre, qualunque sia la causa che lo spinge ad un gesto così ultimativo. Per questo va rispettato, interpretarlo con arditi esercizi mentali può essere fuorviante. 
Il suicidio è sempre accaduto, un tempo era un gesto destinato a pochi "eletti", magari intellettuali poco paurosi dell'aldilà oppure malati all'ultimo stadio che preferivano una fine cruenta ed improvvisa ad una lunga agonia.
I poveri, gli umili difficilmente arrivavano a tanto, faticavano a vivere ma anche a staccarsi dal filo sottile che li legava alla quotidianità: c'era rassegnazione probabilmente, o forse anche paura del giudizio divino o il timore di infliggere un dolore insopportabile ai familiari caricandoli anche di un'ombra troppo ingombrante.
Ciò che oggi spaventa di più è proprio la massificazione di un fenomeno così tremendo. Oggi, in questa crisi che più ancora che economica è forse morale, culturale o tutte e tre le cose insieme, non siamo più poveri di qualche decennio fa, ciò di cui ci stiamo privando (o ci stanno privando) è la speranza.
Nel Nordest si calcolano ormai 500 suicidi soprattutto di piccoli imprenditori, l'altro giorno le Marche, altra regione di piccola imprenditoria diffusa, hanno mostrato un'altra tremenda ferita. Si tratta quasi sempre di persone che del lavoro avevano fatto non solo lo strumento di emancipazione ma la ragione di vita, che non sono riuscite a sopportare la sconfitta personale, lo sfumare di sogni anche piccoli ma importanti, che forse non riuscivano più a guardare negli occhi i familiari ed i propri dipendenti. Persone ormai senza un volto proprio, cancellato dal concetto di crisi economica, annebbiate da un dolore insopportabile che le ha portate a lasciare un'eredità fatta solo di dolore, rimpianto, debiti, impotenza.
Ancora nessun giornalista, dopo l'ubriacatura dell'articolo rubato al collega, dopo lo scempio delle urla fuori dalla chiesa di persone spinte a gridare contro generici nemici ormai facilmente identificati con "i politici", ha pensato di fare un'inchiesta sul dopo, sul fatto che, come si diceva qualche settimana fa in un convegno, quasi mai sono le donne a togliersi la vita, sulla realtà di quanti sono rimasti ad affrontare una realtà difficile, drammatica, appesantita dal dolore, sullo sforzo che magari sindaci e amministratori stanno facendo per aiutare chi è rimasto.
Mi rivolgo proprio a chi produce informazione e comunicazione: non pensate che questo Paese, oltre che di urli, "vaffanculo", violenza verbale e incattivimento generale ha un immediato bisogno di riscoprire il valore della solidarietà, della condivisione dei problemi, del "fare rete"? Là dove si insegna a lavorare insieme, a condividere parte dei profitti, spesso ci si accorge che la mutualità, la messa in comune degli agi, funziona ancora di più nel momento del bisogno.
Non voglio fare la morale a nessuno, s'intende, ma gli esseri umani decidono di farla finita proprio quando si sentono irrimediabilmente soli, forse perché sono sempre stati soli: la mancanza di stipendi per mesi, la paura della perdita del posto di lavoro o del lavoro tout-court devono far scattare la solidarietà, come è accaduto ai lavoratori dell'IDI di Roma, del Sulcis e di mille e mille, purtroppo, luoghi di crisi. Da soli non si va da nessuna parte.
Inutile far pensare agli Italiani che una crisi economica si possa superare in un giorno, che le Istituzioni rinunciando alle regole democratiche possano cambiare la realtà, che "mandare a casa" i parlamentari appena eletti risolva qualche problema: chiunque abbia un minimo di cultura sa che tutto questo innesca una spirale che porta alle macerie sulle quali gli straricchi continueranno a ballare e il dittatore di turno a comandare.
Piuttosto si torni a spiegare che le scelte sono appunto tali, che c'è chi continua a propugnare un'uscita tutta individuale dalla crisi e quindi nuovamente l'innesco del tragico meccanismo che stiamo vivendo. Si spieghi la differenza, quindi, con chi pensa che si possa e si debba migliorare la vita delle persone attraverso l'equità e la verità.
Io personalmente non sono né ricca né privilegiata, ma ciò che sento mancare di più intorno è proprio un po' di onestà intellettuale e di verità.
Isabella Gianelloni