Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

sabato 30 luglio 2016

Dagli al politico?

Platone, uomo che ai malvagi non è lecito lodare (Aristotele)
In questo nostro grande e meraviglioso Paese gli sport nazionali non cambiano mai molto, si diversificano, mutano con l'evolversi dei tempi, con una costante imprescindibile: devono essere praticati rigorosamente dal divano.
Oggi abbiamo aggiunto una variante: cioè la grande goduria di sedersi davanti a una tastiera, collegarsi ad Internet e ...oplà, il gioco è fatto, oltre ad esperti di F1, calcio, tennis, tantissimi si sono trasformati in finissimi statisti, esperti di banche e finanza, scrittori di leggi e soprattutto esegeti del diritto. Tutti con una certezza: i politici (tutti, in parte, quali poi?) sono innanzi tutto ladri, poi corrotti, poi incapaci, poi legati alla servitù di belzebù o chi per esso, in sostanza gente che passa il proprio tempo a inventarsi nuovi modi per tradire la fiducia e abbindolare il povero cittadino indifeso.
Sia chiaro, decenni di malaffare, di tangenti, scandali, perfino stragi hanno tolto credibilità ad un'intera classe dirigente e ciò che è accaduto nei vent'anni seguiti a "Tangentopoli" non ha aiutato a rinnovare la fiducia fra la politica, le istituzioni e gli Italiani.
Ricordo però (sono abbastanza vecchia per questo) che molti di quelli che inondano oggi la rete di veleno distribuito a destra e a manca, avevano dileggiato chi si opponeva a quel modo di fare, chi aveva denunciato la deriva dei partiti che stavano occupando ogni spazio dello Stato: Enrico Berlinguer, tanto per non fare nomi, venne preso in giro, chiamato "inutile moralista", uomo che voleva un mondo triste e quant'altro. C'era, allora, la "Milano da bere", il prendere e arraffare in ogni dove, ma allegramente, senza troppo pensarci su. 
Ciclicamente, poi, saltano fuori gli uomini del destino, quelli del ghe pensi mi, quelli che "lasciate fare a me che li sistemo io", che fondano un movimento che "non vuole comandare ma solo cambiare", salvo poi inserirsi perfettamente nel sistema, piazzando chi di dovere nei posti giusti. Storia degli ultimi vent'anni ma anche di questi ultimissimi mesi. Con l'aggravante, soprattutto in questo ultimo periodo, di gente spesso impreparata, di apprendisti stregoni abilissimi però a inondare la rete e le reti televisive di annunci farlocchi, capriole incredibili nel cambiare opinione, insulti beceri verso chiunque altro.
Ebbene, che fare? Come uscirne? Serve, secondo me, tanta politica, quell'attività senza la quale una società non esiste, quell'attività che ha bisogno di gente onesta ma preparata, che ha soprattutto bisogno della partecipazione vera di cittadini attenti e che si informino.
Chiunque, dietro una tastiera, con un nome fasullo, addirittura con testate giornalistiche false, è ormai in grado di pubblicare false notizie, allarmanti news a partire da leggi mai discusse in Parlamento per finire a mettere a repentaglio la salute dei cittadini.
Serve molta più politica, quella che aiuta a distinguere i corrotti dagli onesti (la maggioranza, ricordiamocelo sempre), i voltagabbana dalle persone coerenti che lavorano duramente (la maggioranza), chi governa e chi sta all'opposizione, chi apre la bocca per i propri interessi spiccioli e chi si occupa, anche commettendo errori (a non sbagliare mai sono gli sportivi del divano) del bene comune.
Come tutti sanno appartengo anch'io alla classe politica, sia pure ad un livello basso, e mi rendo conto di quanto sia difficile capire e farsi capire. Non sopporto però questo mettere tutti sullo stesso piano, questo far credere che sia tutto facile, che non serva studiare e prepararsi, cominciare dalla gavetta, soprattutto è insopportabile chi fa politica facendo finta di stare da qualche altra parte, chi critica ben sapendo che magari ha mendicato favori ovunque o ha un posto di lavoro grazie al potente di turno, chi si professa senza idee politiche...

Occuparsi in qualsiasi modo della cosa pubblica è fare politica (la forma più alta di occupazione degli esseri umani), criticare, proporre è fare politica, candidarsi al Consiglio Comunale è fare politica, in questo caso compiendo delle scelte e schierandosi apertamente deve essere però la base da cui si parte.

Anche scrivere falsità su Facebook è fare politica, far credere che siano "tutti uguali" è fare politica, far avanzare l'ignoranza è fare politica, però disonesta. 

La conclusione: la ricetta giusta è difficile, ma di sicuro vale la pena di pensare e informarsi meglio prima di parlare, studiare e prepararsi prima di candidarsi a governare, dire con chiarezza come la si pensa (siamo in un paese libero) e non far credere di essere obiettivi.

domenica 24 luglio 2016

Lettera aperta ai giornalisti italiani

Oggi, come si dice, ho preso carta e penna ed ho scritto alla Federazione Nazionale della Stampa, all'UsigRai, all'ordine dei giornalisti e all'AgCom. Credo che sia ora che almeno i giornalisti veri evitino atteggiamenti e modi di fare che poco hanno a che fare con il diritto di cronaca e molto con la ricerca dell'audience a tutti i costi. Di seguito il testo.

Buon pomeriggio,
scrivo in qualità di cittadina e di Consigliere Comunale di una piccola città del Veneto, Conegliano, provincia di Treviso.
In ambedue gli ambiti credo che il rispetto della Costituzione e dei diritti e doveri di ciascuno debba essere la linea conduttrice. La libertà di pensiero, opinione, espressione e stampa è una delle maggiori conquiste del mondo libero, un valore assoluto da cui è impossibile prescindere.
Viviamo tempi difficili, terribili, nei quali la cronaca deve spesso rendere conto di omicidi efferati, stragi, terrorismo, guerre e distruzioni. Siamo anche, però, nel tempo dell'ipertrofia da informazioni, della valanga di notizie, o presunte tali, gettate in rete in pasto di chiunque, soprattutto dei troppi creduloni e del numero sempre troppo grande di profittatori, provocatori e anche peggio.
La "civiltà 2.0" tende a correre veloce e chi si occupa di informazione sa bene che contano i titoli, a malapena gli occhielli, sempre meno persone leggono poi il testo integrale degli articoli. Il potere dell'informazione è enorme, la disinformazione rischia di creare danni tremendi. Per questi motivi credo che la stampa debba, in qualche modo, darsi delle regole non certo limitanti il diritto di cronaca, ma che tendano ad evitare titoli e parole che possano essere mal interpretati, che diano o permettano letture lesive dei diritti di tutti, a partire dalla privacy per finire alla dignità delle persone e delle comunità, anch'esse tutelate dalla nostra Costituzione.
Soprattutto nell'ultima terribile vicenda dei fatti di Monaco di Baviera ho seguito con fastidio le cronache televisive e giornalistiche: più di qualche volta, in barba al comportamento tenuto dalle autorità tedesche, è parso che qualcuno fosse dispiaciuto di non poter parlare di terrorismo islamico.
Il terrorismo è il nemico pubblico numero uno, a cui va affiancato il razzismo, suo formidabile alleato: ambedue vanno combattuti con forza.
Oggi, nel TG1 delle 13.30, l'ultimo grave (secondo me) episodio: la giornalista, introducendo la conferenza stampa del capo della polizia bavarese ha esordito dicendo: "Dobbiamo chiederci come abbia fatto un iraniano di 18 anni a procurarsi un'arma" (più o meno testualmente, ma la parola iraniano c'era).
1. Si trattava di un ragazzo di 18 anni e basta.
2. Non si trattava di un iraniano ma di un tedesco, come lui stesso ha tenuto a precisare prima di morire.
3. Il capo della polizia parlava invece del rammarico per il fatto che un giovane abbia potuto procurarsi un'arma. Lo stesso funzionario parlava della necessità di rivedere le leggi che riguardano la diffusione delle armi in Germania.
Perché in Italia continuiamo a diffondere notizie tendenziose? Quella parola, iraniano, è la prima arrivata alle orecchie degli ascoltatori.
Davvero l'audience giustifica ogni cosa?
Sono convinta che una auto-regola di attenzione alla materia che si maneggia, la decisione di evitare i toni urlati o quelli che solleticano la "pancia" peggiore delle persone, porterebbero grandi vantaggi alla stessa informazione e alla convivenza civile del nostro Paese.
Grazie per l'attenzione.

domenica 10 luglio 2016

La scelta libera di Arturo Dall'Armellina

Nella primavera del 1975 frequentavo la terza media e ricorreva il trentesimo anniversario della Liberazione. C'era un gran fermento: le stragi avvenute in quegli anni, gli estremismi che si confrontavano con violenza parevano voler togliere la scena alla memoria di una grande prova del popolo italiano, della sua conquista della democrazia.
La mia insegnante di lettere ci portò a vedere una grande mostra sulla Resistenza allestita nella sala del Consiglio Comunale di Conegliano: a illustrare le foto dei cinquantenni nel pieno della loro attività, i partigiani ventenni spesso ritratti nelle foto, con le barbe e gli occhi spavaldi dei giovani.
Fu allora che li conobbi, i partigiani della nostra zona, fu allora che mi spiegarono perché trent'anni dopo era sorto anche qui un Comitato Antifascista per difendere la democrazia. Il Presidente di quel Comitato era Arturo Dall'Armellina. Non era tanto alto, ma la sua voce e i suoi occhi non lasciavano scampo: tranquillo, pacato ma intransigente come chi sa di aver compiuto tanti anni prima una scelta per la vita. Aveva scelto la libertà e continuava a difenderla, da uomo politico, da partigiano impegnato, da fervente cattolico, da padre di una numerosa e amatissima famiglia.
Circa trent'anni dopo lo incontrai per intervistarlo: lui e altre otto personalità del dopoguerra coneglianese furono i protagonisti del mio primo libro. Io ero emozionata e lui un fiume in piena, raccontava, spiegava le ragioni di quella scelta, la volontà di stare sempre dalla parte di quelli che chiamava poreti, soprattutto, mi disse era "difficile anche aiutare questa gente a capire che poteva in qualche modo far valere i suoi diritti".
Riteneva, Arturo, che fosse necessario conoscere a fondo il territorio, le esigenze dei ceti più popolari per indirizzare le scelte della politica e che bisognasse trovare alleanze e punti in comune con le altre espressioni del mondo politico e sindacale. Era un democristiano che si ritrovò ad essere protagonista dello sciopero della Zoppas del 1960, quando perfino i sindacati della FIAT vennero qui a vedere cosa stesse succedendo. Così mi raccontò: "Noi che ci occupavamo del sociale abbiamo sempre avuto un rapporto particolare anche con le persone che sostenevano idee politiche diverse. Ne ebbi la controprova nel '60 durante i 45 giorni del famoso sciopero alla Zoppas, quando, trattandosi di nominare un presidente dell'ambiente sindacale, anche la CGIL fu d'accordo sul mio nome. (...) Da allora ho sempre perseguito la stessa idea: più delle differenze ideologiche contano le affinità sociali, gli obiettivi, la comune tensione per arrivare alla soluzione delle questioni reali, concrete".
All'epoca della mia intervista, nel 2004, Arturo Dall'Armellina, ormai ottantenne, non smetteva di dare il suo contributo alla società, lavorando per l'associazione degli invalidi di guerra.
A piedi, lo si vedeva attraversare la città ogni mattina, con la sua preziosa cartellina sotto il braccio, il passo sicuro e lo sguardo sereno

Ora non c'è più, il suo ricordo rimane sicuramente nella sua grande famiglia, ma deve restare anche patrimonio della sua città, davvero tanto amata ma spesso troppo distratta.