Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

domenica 26 febbraio 2017

A cosa serve la scuola?

Quando si trovano scritte le parole che esprimono alla perfezione i propri pensieri, ciò che abbiamo nella mente e nel cuore, vale la pena di citarle, con rigore ed onestà.
L'esperienza comune a quanti credono nel valore della cultura, della conoscenza come strumenti di emancipazione personale, nel ruolo fondamentale della scuola per formare persone capaci di comprendere la realtà e compiere scelte consapevoli, è spesso la frustrazione davanti allo svilimento continuato e perciò ancora più colpevole di una istituzione relegata sempre di più in ruoli secondari.
Tirata da una parte e dall'altra, malmenata violentemente, costretta suo malgrado a dover rincorrere fantomatiche "novità" non solo inutili ma spesso perniciose, obbligata a trasformarsi, sempre più spesso, nell'unico presidio di tolleranza, comprensione, inclusione rimasto, la scuola (intesa come insieme di persone che convivono in un equilibrio a volte davvero miracoloso) soffre. Molto. Troppo. Da decenni chiunque giunga a dirigere il ministero pare travolto dalla smania di essere ricordato come quello che ha inventato "la riforma delle riforme", la formula magica per renderla appetibile, nuova, moderna, aperta al futuro e, soprattutto, alle aziende, con insegnanti trasformati in compilatori di moduli. 
Con tanti saluti a quello che dovrebbe essere il suo ruolo capitale.
Uno dei ricordi più belli del mio liceo riguarda gli intervalli fra un'ora e l'altra, quando tre grandissimi professori si fermavano in corridoio accapigliandosi sulle interpretazioni di un libro, di un testo filosofico, di un articolo di giornale. Discussione, confronto scaturiti dal pensiero, dalla conoscenza, dalla capacità di leggere oltre le righe, con rigore e passione. 
Per questi motivi, con grande umiltà, propongo a chi abbia voglia di proseguire nella lettura alcune frasi tratte da uno dei libri più utili e interessanti che io abbia letto negli ultimi anni: "Il presente non basta", di Ivano Dionigi.
Buona lettura, quindi.

Forte è la tentazione di supplicare i nostri legislatori affetti da riformite: fermatevi! Non cambiate ciò che funziona, perché, nonostante tutti i rivolgimenti, giudizi e pregiudizi, abbiamo ancora le scuole migliori d'Europa e non solo.
(...) La scuola è l'istituzione cui spetta il compito severo, nobile e unico di insegnare i fondamentali della vita? Non si ricorderà mai abbastanza che "scuola" deriva da scholé, parola greca che indica il tempo che il cittadino riservava  a se stesso, alla propria formazione.
(...) La scuola è il luogo della formazione dello spirito critico, del confronto, della discussione. (...) Io credo che la scuola debba fare da contraltare alla dimensione monoculturale, all'algoritmo semplificatore, all'assedio del presente: alla tirannia delle "tre I", Inglese, Internet, Impresa. Inglese e Internet, se orfani di cultura storica e spirito critico, sono poveri e impoverenti. Quanto all'Impresa, che tanto esalta e valoriza il "capitale umano", si ricordi che capitale viene da caput, "testa".
Alla scuola spetta innanzitutto creare "le tre forme della coscienza di sé" (Marc Fumaroli): coscienza linguistica, coscienza storica, coscienza morale.
(...) A chi sostiene che alla scuola spetta insegnare un mestiere, ha già risposto vent'anni fa il Rettore di Harvard Derek Bok in una lettera inviata agli studenti: "Se pensate di venire in questa Università ad acquisire specializzazioni in cambio di un futuro migliore state perdendo il vostro tempo. Noi possiamo solo insegnarvi a diventare capaci di imparare, perché dovrete reimparare continuamente".
E ancora:
Compito della scuola è mettere a confronto splendore e nobiltà sia del passato che del presente; insegnare che le scorciatoie tecnologiche uccidono la scrittura; ricordare ai ragazzi che la vita è una cosa seria e non tutto un like; formare cittadini digitali consapevoli, come essa ha già fatto nelle precedenti fasi storiche con i cittadini agricoli, i cittadini industriali, i cittadini elettronici...
(...) Una sfida tanto auspicabile quanto utile sarebbe , la compresenza nella stessa aula del professore di latino -  e in generale dei professori delle discipline umanistiche - e del professore di "digitale", ora infelicemente denominato dalla burocrazia ministeriale "animatore digitale", come se si trattasse di un ruolo ludico e ricreativo. Da tale confronto i ragazzi capirebbero sia la differenza tra il tempo e lo spazio sia la necessità della coabitazione tra l'hic et nunc (qui e ora) e l'ubique et semper (ovunque e sempre).
(...) I classici ci aprono al futuro, al possibile, all'ignoto: da questo punto di vista, più che a difesa del potere, essi possono essere strumento a difesa dal potere: "chi abbia letto una sola tragedia greca, una sola "invettiva" dantesca, un verso della Ginestra, saprà ascoltare, saprà riconoscere i propri limiti e il valore altrui - ma passivamente obbedire mai (Massimo Cacciari).
(...) Indipendentemente dall'uso e dalla ricaduta professionale, la lingua latina ci consegna un rigore linguistico e concettuale che giova per qualunque laurea e lavoro: per essere ottimi medici, ottimi economisti, ottimi scienziati e tecnologi.
(...) La scuola non è e non deve essere il luogo dove si attenuano e o si occultano le difficoltà, non è  e non deve essere il luogo dove, per una malintesa idea di democrazia o egualitarismo, si rendono deboli i saperi anziché forti gli allievi. La scuola è il luogo dove i giovani e gli adulti insieme, con le conoscenze e le esperienze, affrontano e condividono la serietà, la severità, la bellezza tremenda di quella cosa che chiamiamo vita.

Grazie, professor Dionigi

giovedì 23 febbraio 2017

Nuove scoperte in Castello #conegliano

Foto di Michele Zanchetta
Il nostro patrimonio storico riesce sempre a sorprenderci, regalandoci scoperte affascinanti. Ne è una prova il ritrovamento di un manufatto durante i lavori di consolidamento del tratto di mura ammalorato a fianco del ristorante del Castello di Conegliano.
L'attenzione dell'impresa, il controllo della Soprintendenza e il conseguente intervento di un archeologo hanno permesso di svelare quelli che forse sono i resti di un'antica torre del nostro castello.
Una bella notizia, che permetterà di svelare un altro pezzo della storia millenaria di Conegliano.
Agli esperti spettano le indagini, la messa in sicurezza, il disvelamento di quanto la terra e gli arbusti hanno nascosto per secoli.
A noi la consapevolezza di avere avuto ragione nell'aver chiesto per anni che si intervenisse in quel luogo, nell'aver interpellato la Soprintendenza denunciando lo stato di gravissimo abbandono in cui versavano le mura nord del castello e il conseguente rischio di crollo, nell'aver denunciato senza sosta l'inerzia di un'Amministrazione che non ha mai avuto la necessaria attenzione per un luogo che non solo è fonte di turismo, ma il cuore antico e più bello della nostra città.

lunedì 20 febbraio 2017

Urbanistica a Conegliano: l'eterogenesi dei fini

La relazione illustrativa del Piano degli Interventi collegato al PAT di Conegliano è condivisibile quasi per intero. Una buona metà è dedicata ai principi ispiratori di un piano che deve essere molto tecnico e preciso.
Dalla lettura attenta dell'intera mole di documenti sorgono però alcune domande che, ahimé, non trovano risposte. Si tratta, più o meno, delle domande che avevamo posto in sede di discussione del PAT, e allora la Giunta rispose che tutto sarebbe stato chiarito nel Piano degli Interventi. Così, purtroppo, non è.
La relazione inizia citando il grande Aristotele con un concetto che potremmo tradurre con un laconico "Si fa quel che si può".
Solo alcune osservazioni:
  • Si parla di un territorio minutamente abitato, attrezzato e non poco compromesso (appunto, e allora che si fa?).
  • Si dice che questa zona ha uno dei redditi medi per ettaro più elevati della regione e che, comunque, la viticoltura dovrà evolversi. Si parla di sistema "agropolitano" e dell'intreccio complesso fra città e campagna. Si parla, anche, di biodiversità che, tra parentesi, non è solo quella delle siepi.
  • Si parla poi di centralità urbana e di aree da salvaguardare.
  • Si parla di programmazione dei lavori pubblici, della necessità di rivedere la viabilità in accordo con quanto previsto nel sistema complesso dell'area ex Zanussi. 
Queste le domande.
  1. Cosa vuol dire "aumento della condizione di sicurezza e accoglienza che il territorio deve offrire ai suoi abitanti"? In quale punto di questo Piano degli Interventi si trova?
  2. Per esempio, diminuendo l'ampiezza dello spartitraffico del Cavallino, come ipotizzato nel Piano, cosa sarà della "Porta del Cavallino", della fontana e dell'intera estetica di uno dei pochi luoghi ben riusciti dell'urbanistica degli ultimi anni? E poi, siamo sicuri di programmare, con questo P.I., lavori pubblici (fatti con una logica che non sia schizofrenica) che interessano l'intera viabilità del centro città, visto che in 10 anni, tanto per fare un esempio, non siamo stati capaci di riparare il tetto di un'ex caserma?
  3. Le colline, l'agricoltura sostenibile, la biodiversità, la salute e tutto il resto stanno dentro alle cosiddette aree trasformabili a Ogliano?
  4. Cosa vuol dire previsione di sviluppo e riqualificazione della centralità urbana se ancora non si programma nulla, se non dei parabolici giri di parole, sull'area ex Zanussi? Di quale centro stiamo parlando? Per esempio, per rimanere a sud della ferrovia, qualcuno ha mai pensato di salvaguardare le case di Via Pittoni, la vera chicca di una urbanistica seria lasciata a se stessa?
E poi, la riqualificazione, anzi l'uscita dallo stato di prostrazione e depressione in cui versa il nostro centro storico, non può passare dai sensi di marcia, men che meno dagli hashtag o dalle locuzioni latine, che sono molto eleganti, ma dovrebbero servire a ricordarci che gli antichi Romani erano un popolo concreto e preciso, più attento all'arrosto che al fumo.
Di tutto questo non ho trovato traccia: possiamo risparmiare un sacco di tempo e denaro, visto che in centro, fra un po', non ci sarà più nulla da fare.
Pianificar facendo, dite voi.... Mah!
Visto ciò che sta scritto in questo Piano degli Interventi, avrei immaginato di trovare citato, come conclusione filosofica, Giambattista Vico: "Questo mondo è uscito da una mente spesso diversa e a volte del tutto contraria ai fini proposti".
Voluto o meno, questo P.I. pare la summa dell'eterogenesi dei fini.

sabato 4 febbraio 2017

Al voto! Ovvero il popolo sovrano

L'articolo 1 della nostra bellissima Costituzione, quella che gli italiani hanno dichiarato di amare alla follia lo scorso 4 dicembre, indica, con mirabile sintesi, quali sono i fondamenti della democrazia e assegna alla politica il ruolo centrale nella formazione delle scelte.
Non ci sono più dittatori in Italia (uno è bastato e avanzato), non ci sono più re (anche su questi potremmo discutere a lungo), ma nemmeno il popolo è sovrano assoluto.

...La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Per questo motivo il popolo è chiamato a decidere chi delegare a rappresentarlo negli organismi preposti alle scelte politiche, amministrative, economiche, sociali...
Semplice, chiaro, diretto: la democrazia si basa sul principio della delega e sull'obbligo delle scelte da parte di chi è stato indicato per governare.
È tutto qui il grandissimo ruolo della politica: saper leggere la realtà e scegliere da che parte andare.
Col rischio di sbagliare, ovviamente, e di essere poi puniti dal popolo nelle elezioni successive.
Impossibile conoscere quale sia la strada giusta in assoluto: prendendo 10 persone, troveremo almeno cinque bisogni, priorità, idee diversi fra loro.
Fra pochi mesi voteremo per eleggere il Sindaco e il Consiglio Comunale a Conegliano e in molte altre città; entro un tempo che oggi nessuno sa quantificare torneremo a votare per eleggere Camera e Senato (ricordo a tutti che la Costituzione prevede che si voti ogni 5 anni e che i governi ottengono la fiducia dalle Camere, non dal popolo): si tratta di passaggi importanti, che si rifletteranno sul futuro di ciascuno di noi.
Mi chiedo allora cosa voglia dire "ascolteremo i bisogni della gente, faremo il programma sulle domande del popolo", se non abdicare al proprio ruolo, che è quello di proporre cosa fare, da che parte andare. È difficile, perché significa assumersi la responsabilità di ciò che si afferma, decidere, per esempio, se favorire le biciclette o le auto, se e come dare più spazio alle proposte che vengono dal mondo giovanile (e poi quali? Ci sono giovani di tanti tipi, esattamente come gli anziani), se costruire oppure no, se fare demagogia o dire la verità, anche quando è scomoda, se mettere persone competenti nei ruoli di decisione o lasciare tutto al caso...
Potremmo continuare per ore, ma la sostanza è una: il popolo ha la possibilità, e dovrebbe avere il dovere di informarsi, di sapere chi ha mantenuto le promesse e chi no, chi si propone dicendo ciò che vuole o non vuole fare, chi usa la parola "gente", "popolo" a sproposito.
Tutti abbiamo una grande arma, che si chiama voto, un'arma democratica e senza sovrani assoluti: alla fine non valgono i like o le statistiche, ma il conteggio delle schede.
Da qui alla prossima primavera avremo tante cose di cui discutere: i Coneglianesi decideranno a chi dare fiducia.