Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

venerdì 25 novembre 2016

Un altro 25 novembre

È dura sconfiggere millenni di sessismo, con innumerevoli generazioni di maschi cresciuti nel culto della propria "attrezzatura" fornita dalla natura, di donne educate a credere nella propria inferiorità o che l'unica via d'uscita dalla sudditanza materiale e morale sia provare ad imitare il disprezzo per le altre.
Le conquiste dei diritti civili e politici hanno portato, finalmente e dopo strenue battaglie, donne ai livelli sociali più alti: noi abbiamo dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, di poter essere scienziate, intellettuali, artiste, statiste, professioniste, leader politici....
Almeno così dovrebbe essere. C'è e rimane un MA grande come una casa, soprattutto in questo derelitto Paese, quello che ci ostiniamo a chiamare culla del Rinascimento, della bellezza, bla bla bla: alle donne non si perdona il semplice fatto di essere tali; soprattutto in ambito politico più di qualcuno non sopporta che noi intendiamo anche la politica come non assuefazione al modo di fare da sempre appannaggio maschile (che, tra l'altro, ha portato e continua a portare disastri ovunque).
Ho già scritto qualche settimana fa del "triste vento" che spira in Italia ma non solo: per le donne si tratta di un'aria ancora più fetida, maleodorante di violenza, anche verbale.
Nel perenne urlare di tutti contro tutti, nel continuo voler demolire chiunque, soprattutto chi ha la ventura di essere preparato, di aver studiato e insegnato magari per decenni ai massimi livelli, da parte di chi in realtà non sarebbe degno nemmeno di lavarne i piedi, l'insulto contro le donne, potenti e non, si ammanta sempre dell'orrendo insulto a sfondo sessuale.
Senza ritegno e pudore alcuno, questo odio ignorante si scherma oggi dietro il monitor di un pc, trasformando in squallidi persecutori persone che nella realtà, ne sono certa, valgono meno di niente e sono incapaci di una qualsiasi azione degna di nota. 
Quello della Presidente Laura Boldrini è il caso più noto, grave perché, oltre tutto, riguarda un'alta carica dello Stato, cui deve essere portato rispetto. Chi non è d'accordo con lei, con le sue idee, ha tutto il diritto di esserlo e di esprimere le proprie opinioni, ma non ha il diritto di offendere e tormentare.
Laura Boldrini bene ha fatto, oggi 25 novembre, a rendere pubblici i nomi dei poveracci (e qualche poveraccia) che quotidianamente la insultano in maniera irripetibile.
Cara Presidente, oggi in Italia più di cento donne ogni anno muoiono per mano di maschi incapaci e troppo deboli per avere a che fare con loro, migliaia portano i segni della violenza fisica, quasi tutte siamo anche vittime di insulti a sfondo sessista.
La pochezza, l'inferiorità mentale e l'inadeguatezza sociale li accomuna tutti, assassini e molestatori: lei oggi, Presidente, ci accomuna tutte, anche quelle che, magari, non sono sempre d'accordo con lei.
Le propongo di farsi ancora una volta portatrice di una grande campagna di educazione: che almeno dai giovani che oggi frequentano le scuole parta una parola antica: rispetto.
Grazie per continuare a testa alta.

martedì 22 novembre 2016

Ode allo spinacio

Che siamo una società ipertrofica, ipertecnologica, iper un sacco di altre cose è ormai questione consolidata.
Che le stagioni non siano più quelle di una volta, è una vulgata patrimonio comune.
Che mentre ci lamentiamo di qualunque cosa, dalle banche al mascara che cola quando meno te l'aspetti, dalle tasse al fatto gravissimo che non siamo stati fra i primi 100 ad aggiudicarci l'ultimo modello di smartphone, anche queste sono cose ormai quotidiane.
Meno comprensibile, ma forse nemmeno tanto, è che, allo scadere del mese di novembre, proprio come accadeva un anno fa, mi ritrovi a dover "prenotare" gli spinaci alla signora che mi vende la frutta e la verdura.
Vista la stagione, se fossi presa da un improvviso slancio di nouvelle cuisine, potrei magari prenotare delle fragole, o pomodorini particolari, che invece fanno bella mostra di sé in ogni vetrina, senza doversi preoccupare troppo.
Ma lo spinacio no, quello è diventato merce rara (in novembre e dicembre!): ci sono le spinacine da taglio, le costine da taglio, qualunque altra cosa ma il buon caro vecchio spinacio latita. Sempre che non si voglia acquistarlo surgelato.
Dopo attenta indagine condotta lo scorso anno, e confermata dai primi dati di questi giorni, ho scoperto che più nessuno sa "come fare" con gli spinaci...., come pulirli e lavarli...., e poi tutta l'operazione può richiedere ben 15-20 minuti della nostra preziosa vita sconvolta nel rincorrere smartphone e mascara...
Esterrefatta, volendo preparare degli gnocchi di ricotta e spinaci, continuo a programmare il menu casalingo e a prenotare la preziosa materia prima. Garantisco che con gli spinaci freschi vengono meglio che con quelli surgelati, mentre si lessano si può applicare il mascara e mentre si raffreddano c'è tutto il tempo per scaricare tante bellissime app di cucina nel nostro smartphone nuovo fiammante.
Propongo alle agenzie di sondaggi un'indagine a tappeto sul tema, magari stavolta non si sbagliano.
W gli spinaci

venerdì 4 novembre 2016

Facebook e Tina Anselmi. Cos'è moderno?

"Così la scelta della democrazia divenne scelta della libertà e rese più evidente la contraddizione fra chi ancora, dopo la istituzione della repubblica sociale italiana, immaginava che il percorso della libertà potesse essere disgiunto da quello della democrazia. In campo non c'erano solo i numeri a segnare la forza della rappresentanza. Nel Paese c'era l'adesione a una cultura, a uno stato, a una politica che, specialmente con la creazione della repubblica sociale italiana, la rendeva incompatibile con lo sviluppo dello stato democratico. [...] Una democrazia cresce rispettando non solo le istituzioni, ma aprendo le istituzioni stesse al cammino della libertà, che deve essere sempre partecipazione".
Queste alcune delle frasi che Tina Anselmi volle regalarmi in occasione dell'uscita del mio primo libro. La sua prefazione rimarrà sempre per me fonte di orgoglio, ma credo che quelle parole possano essere, come tante di quelle che nella sua lunga vita politica ha pronunciato, scritto e reso azione politica concreta, motivo di riflessione anche oggi, dopo tanti anni.
In questi giorni di Tina Anselmi si è parlato molto, tanti ne hanno raccontato la vita politica, le battaglie, l'onestà cristallina, cifra, quest'ultima, comune a tutta una generazione.
Il rischio, in un periodo confuso come questo, è quello di togliere al passato la vita che gli è appartenuta, livellando tutto nell'ecumenico "una volta sì che erano bravi": è certamente vero che il nostro Paese, ma non solo, ha vissuto stagioni nelle quali si sono messe in luce figure di assoluto livello, rese tali soprattutto da esperienze terribili e formative come la guerra, la lotta di liberazione, la volontà di uscire dall'arretratezza, la consapevolezza di stare scrivendo pagine nuove.
Non va dimenticato, però, e qui sta il valore più grande di quella stagione, che protagonista fu la dialettica politica, declinata anche nelle sue forme più aspre: Tina Anselmi era una donna schierata, che difendeva il suo credo e la sua idea di Italia, i partiti della sinistra e i sindacati dei lavoratori non le risparmiavano certo le critiche. Questo è il sale della democrazia, della libertà: confronto continuo, scontro politico, rispetto assoluto, però, per gli altri, ben sapendo (gli uni e gli altri) che quasi sempre la ragione sta nel mezzo e che un punto di incontro è necessario per andare avanti.
Tina Anselmi, intelligente com'era, fu protagonista nella fase delle riforme sociali degli anni Settanta, consapevole che il movimento che veniva dal basso andava ascoltato, che le forze che si battevano in Parlamento e fuori di esso per una nuova sanità, per un nuovo diritto di famiglia, portavano interessi reali e sapevano far pesare il consenso popolare. Cioè la partecipazione.
Unendosi ai versi di Giorgio Gaber Tina Anselmi mi scriveva che la libertà è sempre partecipazione.
Oggi il mondo è cambiato e con esso, inevitabilmente, le forme della partecipazione: inutile stupirsene o, peggio, rammaricarsene: schiere di semiologi, antropologi, sociologi, politologi e filosofi si interrogano sul ruolo che ciascuno di noi interpreta quando si siede davanti a un pc o "smanetta" con lo smartphone.
Certo che leggere le castronerie, le bufale del web, le falsità e tutta la spazzatura presenti nella rete fa ridere, oppure arrabbiare, o spesso ci indigna, ma lo snobismo di chi vorrebbe Facebook o Twitter luoghi di certami accademici è quanto meno irritante.
Volgarità, insulti, ignoranza arrogante rischiano di fare più rumore dei ragionamenti pacati, ma forse, lo dico in punta di piedi, uno dei motivi di tutto ciò sta nel nuovo, confuso desiderio di partecipazione di tanti che hanno perso la voglia di fidarsi a prescindere e che, disorientati, trovano nella grande osteria di Facebook il modo di farsi ascoltare da qualcuno e rischiano fortemente, questo è evidente, di seguire nuovi pifferai magici, fenomeni da fiera medievale. 
La storia pare sempre la stessa: ciarlatani e imbonitori che cercano di imbrogliare i malcapitati promettendo mari e monti. Solo che oggi i primi sono più difficili da acciuffare o riconoscere e il tutto diventa molto complicato.
È assolutamente vero, però, che se tanta gente ha perduto la fiducia in chi dovrebbe guidarla una parte di responsabilità sta in chi si trova ai vertici della società, troppo compreso nell'autocelebrazione per accorgersi che in democrazia nulla è assodato per sempre, che la fiducia va conquistata giorno dopo giorno e che, soprattutto in una società globale, i comportamenti individuali sono sotto i riflettori molto più di un tempo.
Pensando a Tina Anselmi e a quella classe politica c'è qualcosa che li accomunava tutti, oltre all'onestà personale e a una politica scelta come desiderio di contribuire alla crescita della società, vale a dire la capacità di comprendere ciò che accade nel corpo sociale, di capire bisogni e desideri, di tradurre le analisi in azione concreta favorendo la partecipazione che sta, appunto, alla base del cammino della libertà.