Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

sabato 28 gennaio 2012

Il Carso nasce direttamente dal mare

Era partita tante volte, i rari ritorni in luoghi sempre differenti non erano mai stati quelli che aveva accarezzato con la fantasia, la realtà le aveva giocato ogni volta qualche scherzo, non sempre sgradito; ora si trovava di fronte alla decisione più importante, aveva letto da qualche parte che i vecchi elefanti, quando sentono avvicinarsi la fine, se ne vanno, si allontanano cercando il posto giusto per morire. Lei non aveva ancora voglia di vedere la fine, ma sentiva necessario il tentativo di ripercorrere a ritroso la sua strada.

Dentro di sé sapeva che si sarebbe sentita un’estranea, aveva anche il dubbio di essere ancora in grado di trovare quella che era stata la piccola piazza vicina alla casa in cui era nata. Chissà se quell’edificio esisteva ancora, chissà se gli scuri delle finestre erano aperti, se ancora qualcuno calpestava, su e giù, l’assito davanti al balcone, come la sua mamma in quei giorni tremendi, quando non sapeva decidersi, incerta se fuggire (ma dove) o rimanere (ad aspettare chi o che cosa). La vedeva ancora chiaramente, con l’eterno grembiule legato sopra l’abito scuro ma non nero, perché non voleva convincersi di essere già vedova così giovane, con quel paio di scarpe, ormai logore e sfondate, segno di un piccolo lusso soddisfatto tanti anni prima. Le mani si tormentavano a vicenda, meccanicamente ora l’una ora l’altra estraevano, stropicciavano e riponevano un fazzoletto nella grande tasca centrale. Uno strano scomparto, in cui la mamma teneva un sacco di piccoli oggetti che riteneva indispensabili, come la spazzola per tenere in ordine i capelli dorati della bimba che stava crescendo, ma che nel suo immaginario doveva rimanere per sempre la sua bambola bionda.

venerdì 27 gennaio 2012

La vita offesa

"Mi hanno spogliata di tutto, completamente, di tutto di tutto di tutto. Con un vestitaccio addosso e due scarpe che non erano mai uguali, sono entrata nel campo, un inferno, in un mondo completamente nuovo".
"Eravamo nude, depilate, rapate, ridotte a non esser più delle donne, piacenti o appetibili. E questi SS che ci passavano vicino ci attraversavano con lo sguardo come se non esistessimo: fossimo state un branco di pecore o di mucche sarebbe stata la stessa cosa. La cosa mi ha umiliata profondamente".
"Quando entravi pensavi subito: come faccio quando ho le mestruazioni?. Questo è terribile perchè per almeno un mese le avevi - e naturalmente non avevi come ripararti - e anche questo voleva dire trovarsi di nuovo ridotta come una bestia. Le compagne più anziane ti dicevano: <Stai tranquilla che poi quest'altro mese non le avrai più> . All'uomo questo shock non succedeva, come non gli poteva capitare di arrivare già incinta nel campo. Molte donne erano entrate senza neppure sapere di essere incinte. Mi ricordo una volta che ho incontrato una francese, che continuava a cercare delle erbe, delle radici, le tirava fuori le ripuliva le mangiava. Diceva: <ah, per forza! Devo nutrirlo, dicono che la guerra finisce entro due mesi, devo farlo sopravvivere per quando tornerò in Francia>. E invece ne sono passati di mesi...
Tratto da "La vita offesa", storia e memoria dei Lager nazisti nei racconti di duecento sopravvissuti. A cura di Anna Bravo e Daniele Jalla. Prefazione di Primo Levi. Franco Angeli, 1992

lunedì 23 gennaio 2012

Altri tempi, proteste diverse

1960 LO SCIOPERO DELLA ZOPPAS

Nella sonnolenta Conegliano gli anni Sessanta erano iniziati con un avvenimento storico per la città, per il suo tessuto produttivo, sociale e politico, vale a dire il famoso sciopero alla Zoppas. Persino sindacalisti provenienti dalla FIAT di Torino vennero qui per confrontarsi sui temi e sui metodi della vertenza.

In un centro ormai importante dal punto di vista industriale avevano sede non solo i partiti più importanti, ma le organizzazioni sindacali dei lavoratori, degli artigiani, dei commercianti, dei coltivatori diretti, e la dialettica fra le parti non tardò a dare i suoi frutti. Se si pensa anche solo alle divisioni interne ai lavoratori, dopo la scissione del 1948 e la successiva nascita della CISL, alla presenza capillare sul territorio delle organizzazioni legate al mondo cattolico, dell’importanza dei circoli ACLI sia dal punto di vista sindacale che di dibattito culturale e politico, balza agli occhi la grande unità che scaturì in occasione di quella vertenza.

Così scrive Renato Donazzon, uno dei protagonisti della vertenza: “Lo sciopero della Zoppas, tra l’inizio e la fine della lunga vertenza, modificò profondamente anche il linguaggio sindacale e soprattutto, per la scesa in campo dei giovani e per le novità della lotta, innalzò il livello della domanda sindacale in tutto il territorio, costringendo il sindacato a misurarsi su un terreno nuovo rappresentato dalla contrattazione aziendale”.

Il bar che una volta era detto della “Siora Emma”, il negozio di alimentari lì vicino, si può dire accanto agli stabilimenti della Zoppas, che allora erano in pieno centro, appena sotto la stazione, videro in quei trenta giorni l’aprirsi di sempre nuove discussioni, i capannelli per spiegare e per affrontare insieme anche le preoccupazioni per il futuro immediato, con le famiglie a carico in attesa di una busta paga che sarebbe stata drammaticamente “leggera”, dopo tanti giorni di astensione dal lavoro.

Il miracolo, in quel momento, fu la solidarietà da parte di tutti, soprattutto dei negozianti, che decisero di “fare credito” agli operai in lotta, di quanti organizzarono la raccolta di generi di prima necessità per loro e le famiglie, alla vigilia di una stagione difficile come l’inverno.

La manifestazione del 10 dicembre 1960 in Piazza Cima fu forse il culmine, in termini di impatto e credibilità, di tutta la controversia, tanto da indurre il Gazzettino a scrivere quanto segue: “… le maestranze della ditta Zoppas sono scese compatte in sciopero, partecipando in massa a una grandiosa manifestazione sindacale nella quale sono state affiancate dai lavoratori delle industrie del mandamento di Conegliano e da folti gruppi di agricoltori, coltivatori diretti, mezzadri, commercianti della città e della zona.

In segno di solidarietà i commercianti di Conegliano hanno chiuso i battenti sospendendo ogni attività nel corso della manifestazione. Nelle vetrine erano stati esposti cartelli di solidarietà con gli scioperanti.

Nelle altre aziende della città si sono registrate elevate percentuali di astensione dal lavoro. Alle ore 9 si è svolto in Piazza Cima un grandioso comizio sindacale cui hanno partecipato cinquemila persone…”.

La lettura, ovvia per chi conosca questa città, non è certamente quella di un’improvvisa svolta a sinistra dei suoi abitanti; si tratta però certamente di un episodio che contribuì molto a creare una nuova coscienza dei diritti, della necessità della dialettica sociale, dell’affermazione della dignità, economica e delle condizioni in cui si opera, dei lavoratori. La durezza della situazione presente allora in quella realtà contribuì a dare maggior forza a chi si batteva per il suo miglioramento, per tutti.