Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

venerdì 29 marzo 2013

Conegliano, Nordest. Ciò che ne rimane

Conegliano, Nordest.
Ormai da mesi la signora dove acquisto il pane funge da luogo di smistamento di vestiti usati che consegna a famiglie, italianissime, che si vergognano del loro stato di indigenza e preferiscono rivolgersi alla solidarietà spicciola.
So di tanti che vanno a prendere il pane poco prima dell'ora di chiusura per vedere se possono avere l'ultimo rimasto ad un prezzo inferiore.
So che la mensa dei frati cappuccini fa ormai fatica a soddisfare i bisogni, basta fare un giro dalle parti del Cavallino: vedrete come sono aumentate le persone chiaramente in difficoltà, economica, sociale, psichica.
Quelli che erano gli "scoppiati" della città, invecchiati ma mordacemente aggrappati alla vita, spesso girano con i telefonini all'orecchio e la loro inconfondibile aria stralunata. Non sono più loro il panorama del disagio.
Ragazzi provenienti da ogni angolo del pianeta si aggirano straniti, pensando magari che in Africa, almeno, piove meno e fa più caldo.
So, però, che ad ingrossare le file davanti alle nuove mense per poveri che sorgono qui e là, ci sono sempre più famiglie, per così dire, nostrane.
Basta chiedere ai volontari della Croce Rossa.
Da altre parti d'Italia i vari Banchi Alimentari, le azioni coordinate dei supermercati per l'utilizzo della merce invenduta sono una realtà attiva, solidale e utile, alle persone e anche all'ambiente.
Qui, come sempre, si agisce con la buona volontà dei singoli ed il passaparola.
Ancora una volta fondamentale deve essere il concetto di fondo: la carità è un fatto individuale e forzatamente selettivo, che ognuno esercita come e quando vuole.
Altra cosa è l'azione che deve essere svolta dalla comunità nel suo insieme, dalla Politica con la P maiuscola.
Non basta più mandare le persone dal parroco o alla Caritas, non si può lasciare un dramma così grande come la nuova povertà all'iniziativa individuale.
Chiedo all'Assessore ai servizi sociali una cosa che non costerebbe nulla all'asfittico bilancio del Comune: non sarebbe il caso di coordinare bisogni e possibilità? Gli uffici comunali spesso conoscono meglio di ogni altro bisogni e drammi delle famiglie, dei singoli, degli anziani. Da loro potrebbero venire indicazioni utili per come e dove raccogliere la merce invenduta dai supermercati, sull'attivazione di luoghi e momenti di aiuto.
E' facile, dal calduccio della propria casa ben riscaldata e col frigorifero pieno, criticare chi si vergogna, chi non ha il coraggio di chiedere: l'umiliazione è una ferita profonda, chi la subisce soffre molto. Soprattutto in luoghi e città come questa, nella quale le vetrine devono essere sempre luccicanti e le auto grosse e potenti, nella quale da sempre conta "quanto hai", "come appari" e non "chi sei", non possiamo stupirci della vergogna, del desiderio di stare nascosti, di sparire dalla vista degli altri.
La risposta, secondo me, deve essere collettiva e non individuale. Io ci sono

giovedì 28 marzo 2013

Pensando al Piave

Dal mio romanzo "Tre volte trenta" 
Giulia scelse il punto dove il Piave incontra uno dei corsi d’acqua che confluiscono nel suo letto vorticoso. Lasciarono l’automobile vicino all’antica chiesa di Sant’Anna e si immersero in un verde ormai chiazzato qua e là dai colori dell’autunno incipiente.
Passeggiando protetti dalla natura, padrona assoluta di quel pezzetto di Terra, non sembrò per niente strano pensare che gli antichi romani avessero lasciato anche lì il segno del loro passaggio, su pietre che hanno sopportato pazientemente lo scorrere dei secoli, la bizzarria e a volte la vera e propria follia degli uomini.
Tenendosi per mano si lasciarono inghiottire in una vera e propria galleria di pioppi, ontani, salici e robinie che si abbeveravano placidi nell’acqua del fiume, rassegnato al suo prossimo gettarsi fra le braccia capienti del Piave.
Lo incontrarono, alla fine, più turbolento, sicuro di sé, con le piccole cascate e i vortici tra una roccia e l’altra. Attraverso qualche fronda, oltre la riva destra, intravidero i contrafforti del Montello e si fermarono a contemplare, ancora una volta, lo scarto e insieme l’unione fra il passato ed il presente.
Sapevano ambedue che novant’anni prima tutta quella vegetazione non c’era, spazzata via dalle necessità della guerra, ma Leandro insistette nell’immaginare, in barba al realismo, il tenente di suo nonno vegliato dai rami di uno di quei salici sulla riva del fiume, oppure più in là, protetto da una delle querce che ostentano la propria forza.
Stettero un po’ a sedere sulla spalla di un ponte romano, segno di una delle tante vie costruite per unire popoli e culture, ascoltando il rumore dell’acqua, più forte nel mezzo del fiume, più quieto nel lievissimo sciabordio dove arrivava a lambire la riva. Dietro di loro il sottobosco profumato, sopra, sempre alberi e il sole che, filtrando, dava ancora calore all’atmosfera.

domenica 24 marzo 2013

Rivoglio i platani!

Ancora uno scempio, ancora alberi che se ne vanno da Conegliano.
Da quando la nuova circonvallazione esterna ha spostato il percorso della SS 13 Pontebbana, i platani che la costeggiano (o costeggiavano?) sono entrati a far parte ancora di più della vita della città.
Alti, possenti, punto di riferimento in inverno, fresco e frondoso riparo in estate, erano il più bel biglietto da visita per chi giungeva a Conegliano da Treviso.
Mi piaceva, quando ero bambina ed andavo a Treviso in macchina col papà, l'idea di correre sotto un'unica verdissima galleria, da cui filtravano i raggi del sole costruendo macchie e immagini diverse e fantasiose sull'asfalto.
Un po' alla volta, per fare spazio al presunto progresso che ci sta avvelenando, ne sono stati eliminati a decine, con le scuse più varie e bizzarre: sono pericolosi per gli automobilisti (si sa che i platani attraversano la strada...), sono d'intralcio per le lottizzazioni industriali (con i capannoni ormai chiusi), sono ammalati eccetera.
Io, come molti altri, ho a cuore la bellezza, la salute di tutti. Sappiamo che gli alberi sono un baluardo di civiltà e salute.
In questi giorni ne hanno tagliati altri tre, possenti, grandissimi, proprio all'ingresso della città, alla rotonda della Ferrera.
Qualcuno ha detto che erano ammalati. 
Bene, al loro posto RIPIANTATENE ALTRI TRE!


giovedì 21 marzo 2013

Quote rosa

Se il movimento femminile è nato nel corso del XIX secolo sulle richieste del voto alle donne, possiamo dire che quella conquista, definitiva dove è avvenuta, abbia significato il raggiungimento di una vera parità fra i sessi?
E poi, per fare un brevissimo passaggio ai giorni nostri, siamo davvero sicuri che le sacrosantequote rosasignifichino la parità in politica, nella gestione del potere, sul lavoro, nella società?
Non vorrei che le donne che riescono ad affrancarsi davvero diventassero una sorta di specie protetta, lontana dal resto dei componenti della loro specie. Per fare un parallelo, nonostante un uomo della ricca e colta borghesia nera americana sia diventato presidente degli Stati Uniti, i ghetti neri delle città americane rimangono luoghi di discriminazione, violenza, sottocultura, le carceri di quel paese rimangono popolate per la maggior parte da uomini con la pelle scura.
Le quote rosa, purtroppo, non impediscono che il femminicidio, lo sfruttamento della prostituzione, la concezione generale della donna debbano fare ancora molti, troppi passi in avanti.
Le leggi e la loro applicazione pratica sono fondamentali, senza di esse non ci può essere rivendicazione e affermazione del diritto.
Spetta però soprattutto a noi donne affermare volontà e fatti, prendere in mano la situazione, delegare il meno possibile.
Abbiamo energie, idee, capacità da vendere: spero che almeno le donne parlamentari sappiano trovare punti di incontro per costruire, non per distruggere l'Italia.
 

mercoledì 20 marzo 2013

Città dei non luoghi

Sia che ci alziamo in volo, esercizio ormai comune anche per la fantasia di noi uomini del XXI secolo, sia che proviamo a giungere a Conegliano dalle strade di sempre, o da quelle strane nei loro percorsi obbligati che le autostrade ci costringono a percorrere, comunque ci troveremo immersi in un non – luogo, simile a molti, troppi altri su diverse latitudini, longitudini, intersezioni geografiche.
Potremmo essere in un qualsiasi punto d’Europa, tanto simili sono ormai i nomi dei centri commerciali, le forme dei capannoni, la morfologia delle zone industriali e artigianali.
Il non-luogo è composto di strade che finiscono le une dentro le altre, che portano l’una verso l’altra sospinte dalla logica di un progresso nel quale le automobili sono divenute il fine ultimo del vivere e anche dell’abitare, nel quale un luogo si può visitare “se ci si arriva in macchina”, una merce si acquista solo vicino ad un parcheggio, lo spirito di avventura viene abilmente mitigato e “tranquillizzato”, per non parlare della curiosità innata degli esseri umani per le cose nuove, dalla normalità di sigle tutte uguali e ben riconoscibili. 
A rendere un po’ diverso questo da mille altri luoghi si mette di traverso proprio il colle più alto, non ancora sovrastato del tutto dal mutamento del panorama, con quel castello unico nella sua strana merlatura ghibellina in terra guelfa, circondato da alberi secolari, unico ma formidabile freno all’espansione a macchia d’olio della città.
Altrove gli antichi insediamenti videro un’espansione a raggiera, qui proprio questa collina ha preservato (o bloccato, a seconda di come la si vede) la parte dei rilievi per consentire lo sviluppo a 180°, rimanendo quasi a guardia della città.Non si capisce ancora bene come abbiamo fatto, soprattutto nella seconda metà del XX secolo a trasformare l’unicità delle nostre città nell’omologazione informe dei nuovi quartieri, delle periferie sorte a ridosso delle moderne vie di comunicazione, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti: oggi cerchiamo affannosamente di fare marcia indietro, di ridare respiro ed anima a luoghi che rischiano di trasformarsi in bei musei… vuoti di voci e di esseri umani che comunicano fra loro. Giungendo a Conegliano ci ritroviamo ai margini della macchia d’olio da cui tutto ha avuto origine, o meglio nuotiamo ormai da chilometri in una serie continua di case capannoni giardini strade zone industriali vigneti che lambiscono la Statale e non abbiamo ben compreso dove finiscano i paesi confinanti e dove inizi la città: la moderna urbanistica è riuscita ad eliminare i confini, almeno quelli visibili.
Oggi abbiamo sotto gli occhi il risultato, non sempre felice, di due ricostruzioni dopo due conflitti devastanti, probabilmente due occasioni perdute per sempre.

(Isabella Gianelloni, da Alberi Pietre, 2011)

lunedì 18 marzo 2013

Urbanistiche...

Cerchiamo di leggere più attentamente la città che attraversiamo ogni giorno, magari distrattamente. Siamo abituati a riconoscere e magari ad ammirare le testimonianze del passato, quelle che sono spesso miracolosamente sopravvissute allincuria e allindifferenza, ma a volte non sappiamo come e dove collocarle, e non solo da un punto di vista temporale.
Interessante è anche conoscere quale pensiero ci sia stato dietro la costruzione di un palazzo, di una strada, che cosa abbia determinato la scelta di progettare un giardino con certi alberi e non altri, quando e come siano state compiute scelte radicali, a volte fortunate, altre decisamente sciagurate.
Conegliano come sappiamo vanta una storia millenaria che lha vista sempre e comunque, grazie alla sua posizione strategica ed al clima particolarmente favorevole, centro di importanza fondamentale in quello che viene anche oggi chiamato il suo comprensorio ed anche in unarea più vasta, che oggi conosciamo come la provincia di Treviso.
Gli ultimi cinquantasessantanni ne hanno visto mutare quasi totalmente la fisionomia, sono sorti interi quartieri ed anche il centro della città ha visto sorgere palazzi e strade prima inesistenti. Guardandola dallalto ci si rende conto di quanto sia ormai del tutto evanescente il confine fra la città ed i comuni che da sempre le gravitano intorno, di come sia diversa anche la campagna, costellata e costeggiata comè da zone industriali e artigianali, quartieri residenziali ed un incredibile reticolo di strade, piccole e grandi, che portano in ogni direzione.
Tutto cambiato, dunque, tutto diverso. Quasi: resiste il colle più alto con il suo castello, non si arrende la città murata del medioevo e del rinascimento, rimane, quasi a baluardo di ulteriori sconquassi, la strada principale del vecchio centro, non tutta in verità, coi suoi palazzi, i giardini e gli alberi, spesso maestosi, che ne aumentano il fascino e leleganza.

domenica 17 marzo 2013

Auguri, Italia!

Auguri Italia, anche dal balcone di casa mia.
Un Paese antico e tormentato, una lingua che è musica troppo spesso strapazzata, una cultura millenaria spesso dimenticata o banalizzata (che è quasi peggio), un paesaggio unico che è stato offeso in tutti i modi, scientificamente deturpato, ferito per ignobili scopi ma che resiste. Comunque. Auguri agli Italiani che sanno farsi male da soli ma sanno anche ritrovare la dignità. Spero che la ritroveremo anche ora, in uno dei passaggi più difficili della nostra storia.
Auguri soprattutto al percorso che ci ha portato fin qui, al sangue versato, agli immani sacrifici sopportati dai più deboli, alla memoria di chi ha saputo andare oltre gli steccati per costruire una nazione più giusta. Siamo stati emigranti, ora dobbiamo essere terra di accoglienza. 
Il ricordo va ai giovani che combatterono generosamente nel Risorgimento, dal Piemonte alla Sicilia, dalla Venezia di Manin e Tommaseo alla Roma di Mazzini Saffi Armellini. Dalle dame veneziane in trincea a Cristina Trivulzio di Belgiojoso, dimenticata madre della Patria.
Ai fanti morti dilaniati nella Grande Guerra, ai partigiani, ai militari che rifiutarono l'asservimento al nazismo, alle donne staffette, alle prigioniere, alle confinate, alle prime coraggiose che si conquistaromo sul campo il diritto di voto e l'ingresso in Parlamento. Ognuno di loro ha portato un mattone, una delle pietre occorse per scrivere, infine, la Costituzione più bella del mondo.
Auguri al mio Paese, quindi. Ognuno di noi faccia ciò che è nelle sue prerogative, nelle sue capacità per renderci degni di continuare l'opera grande iniziata da altri. Il mondo cambia, si evolve. A non cambiare mai sono la necessità di giustizia, equità, rispetto, la costruzione quotidiana della libertà e della democrazia.
Isabella Gianelloni

sabato 16 marzo 2013

Città d'arte e del vino...

...perla del Veneto, città del Cima, quanti appellativi. Troppo spesso a vuoto. 
I cartelli all'ingresso di Conegliano dicono proprio così: arte e vino. Che, tradotti in linguaggio comune, vorrebbe dire che vale la pena di venire qui, fermarsi per un po'.
Il vino scorre a fiumi, lo sappiamo, soprattutto nei tanti sprizzifici sparsi un po' ovunque. 
Peccato che il malcapitato turista, sia che arrivi in treno sia che giunga a bordo di un'automobile o un autobus, non trovi traccia ufficiale del Consorzio del Prosecco che fino a prova contraria si chiama di "Conegliano e Valdobbiadene". Nessuna traccia di un luogo dove gustare i famosi prodotti tipici di cui troppi amministratori parlano, spesso a vanvera. Nessuna traccia di una mappa sicura per chi non conosca personalmente le cantine che eviti alla gente di pagare nei bar magari 10 euro per un vino che non merita. Nessun modo per girare i colli con i mezzi pubblici, con pulmini attrezzati per tour eno-gastronomici e culturali.
Ma veniamo all'arte. Qui la faccenda si fa dolente: le mura appena restaurate non possono essere manutenute, centinaia di migliaia di euro spesi per un bellissimo lavoro ormai quasi interamente ricoperto dalle erbacce (e la primavera, col risveglio botanico, farà il resto), inaccessibile. Un altro lavoro fine a se stesso.
La torre del castello contenitore di un museo senza un senso museale vero, luogo di accoglienza di pezzi pregevoli accanto a tanta, troppa paccottiglia, fra l'altro trasandato, sporco e impresentabile.
Casse piene di monete, documenti, quadri, tutto ammassato nei magazzini in attesa di una qualche sistemazione.
L'antico Brolo di San Francesco, un luogo meraviglioso, tenuto in modo esemplare da Italia Nostra che però non si riesce a rendere fruibile, se non qualche volta e grazie al lavoro dei volontari di Italia Nostra.
Palazzo Sarcinelli, galleria d'arte a mezzo servizio: un palazzo del Cinquecento di cui si vedono solo i pannelli moderni del piano terra e poco più.
Una Biblioteca comunale su cui non mi dilungo, tanto è umiliante la sua situazione.
Potrei continuare.
Mi chiedo: perché a quasi un anno dall'insediamento non ho ancora sentito una proposta che sia una da parte della Giunta municipale? Si pensa davvero che questa sia la cantina di casa di qualcuno, dove agire come pare e piace, a spot, senza una programmazione? I bilanci dei comuni sono in difficoltà, ma questo mi pare un paravento strappato: in altri Comuni si dà fiato alle idee. Qui no.
Il Centro Storico della città in campagna elettorale pareva una delle priorità... dimenticata subito dopo.
Quale cultura, quale turismo, quali idee? Intanto Conegliano langue.
Isabella Gianelloni
 



venerdì 15 marzo 2013

Conegliano e le sue meravigliose mura sono di tutti, non di qualcuno

Spaziando con lo sguardo verso l’orizzonte si rimane colpiti dalla congerie di palazzi case e capannoni addossati gli uni agli altri, dal reticolo di strade che collegano ogni cosa all’altra al fine di permetterci un movimento incessante, possibilmente senza soluzione di continuità.
Stando sul belvedere di piazzale San Leonardo sappiamo che là in fondo, da qualche parte verso sud, c’è l’antica Serenissima, ancora oggi cercata come punto di riferimento (non solo spaziale) da qualunque turista salga fin quassù.
L’orizzonte di levante ci mostra i monti di confine col mondo slavo e possiamo quasi rivedere il cammino delle armate che di qui sono passate nei secoli.
Nell’immediato ponente il nastro del Piave ci rassicura, distinguiamo i campanili che lo costeggiano, lo circondano, riconosciamo subito il castello di San Salvatore, testimone di una feudalità e di un mondo finiti da pochi decenni.
Ci riavviciniamo e gli occhi riconoscono la periferia, i profili dei tetti, i terrazzi dei nuovi condomini così diversi dai tetti di coppi dei palazzi più antichi.
Le chiese importanti fungono da fondamentali punti di riferimento per osservare la città, comprenderne la struttura.
Appena sotto il nucleo più bello, il “guazzabuglio” delle vie medievali e rinascimentali, con qualche innesto moderno che, a ben vedere, stona non poco ma non riesce a rovinare l’effetto generale.
Intorno a noi ciò che resta della memoria più antica e lo strano effetto di giardini e cipressi ottocenteschi incastonati nel medioevo più affascinante.
Viene voglia di riscoprire ancora una volta, accarezzare con lo sguardo ciò che ci è rimasto.
Giuseppina Beauharnais passò distrattamente, annoiata dalla mancanza degli agi parigini e degli immensi parchi della capitale francese. Chissà se si accorse del cipresso posto a sentinella di quello che oggi chiamiamo Parco Rocca e degli altri alberi che stavano crescendo nei piccoli giardini sorti al posto del Refosso. Forse no, ansiosa com’era di giungere a destinazione e tornarsene quanto prima in Francia.
Madama Bonaparte” non seppe mai che il gusto di cittadini avveduti avrebbe lasciato a noi, distratti e un po’ superficiali ospiti del XXI secolo, maestosi alberi a guardia di ricchi palazzi, piante frondose a refrigerio di luoghi di riposo, cipressi nati per un cimitero e oggi romantici ornamenti di pietre antiche.
Forse non ce ne siamo quasi mai accorti nemmeno noi che attraversiamo ogni giorno la città, permettendo a questo insieme armonico di sopravvivere, proteggendoci in silenzio.

(Da Isabella Gianelloni, in Alberi e pietre, 2011)

sabato 9 marzo 2013

Parlare di lavoro o chiacchierare a vuoto?

Note a margine del convegno di stamattina, 9 marzo, su Donne e lavoro oggi, organizzato da Artestoria presso l'ex Convento di San Francesco a Conegliano.
Quando un'associazione culturale cerca di far fare un passo avanti alla comunità in cui opera occupandosi di temi drammaticamente attuali come il lavoro, sarebbe bello avere la partecipazione non solo del pubblico (sempre più difficile portare la gente ad ascoltare discorsi ragionati e non slogan urlati), che comunque c'era, ma di quanti creano l'opinione pubblica e di coloro che poi dovrebbero porre in atto misure concrete.
Se qualche giornalista avesse pensato di "perdere" un po' del suo tempo per sapere cosa hanno da dire imprenditrici e sindacaliste, ricercatrici e rappresentanti delle istituzioni, forse l'informazione darebbe conto di realtà importanti e interessanti, di opportunità e nuove iniziative di quanti (soprattutto quante) cercano di uscire dalla crisi con i fatti e non con le chiacchiere a vuoto.
Mi dispiace soprattutto che l'Assessore alle Pari Opportunità del Comune di Conegliano, pur gentile e interessata, non abbia ritenuto che questa fosse un'occasione da non perdere per farci conoscere i suoi progetti e le sue idee a questo proposito e che la Consigliera Regionale di Parità, venuta apposta da Padova a spiegare come il suo ufficio lavora a livello regionale, non abbia trovato nessun amministratore di Conegliano a confrontarsi con lei.
Nei cinque anni della precedente amministrazione non si è avuta mai notizia della Commissione Pari Opportunità, quella nuova è stata rinnovata da poco ma ancora non sappiamo che cosa il Sindaco e l'Assessore vogliano fare a questo proposito.
Peccato, perché nel convegno di oggi si è parlato di opportunità di lavoro, reti di informazioni e attività, gestione degli asili e dei servizi per le donne che lavorano e molto altro.
Ringraziando i consiglieri comunali presenti, le relatrici preparate e appassionate, il pubblico attento e partecipe, non posso fare a meno di sottolineare, ancora una volta, l'assenza sostanziale (a parte i saluti di rito) di chi è chiamato a governare il nostro territorio.

giovedì 7 marzo 2013

Brevi note sull'8 marzo

Se il movimento femminile è nato nel corso del XIX secolo sulle richieste del voto alle donne, possiamo dire che quella conquista, definitiva dove è avvenuta, abbia significato il raggiungimento di una vera parità fra i sessi?
E poi, per fare un brevissimo passaggio ai giorni nostri, siamo davvero sicuri che le sacrosantequote rosasignifichino la parità in politica, nella gestione del potere, sul lavoro, nella società?
Non vorrei che le donne che riescono ad affrancarsi davvero diventassero una sorta di specie protetta, lontana dal resto dei componenti della loro specie. Per fare un parallelo, nonostante un uomo della ricca e colta borghesia nera americana sia diventato presidente degli Stati Uniti, i ghetti neri delle città americane rimangono luoghi di discriminazione, violenza, sottocultura, le carceri di quel paese rimangono popolate per la maggior parte da uomini con la pelle scura.
Le quote rosa, purtroppo, non impediscono che il femminicidio, lo sfruttamento della prostituzione, la concezione generale della donna debbano fare ancora molti, troppi passi in avanti.
Le leggi e la loro applicazione pratica sono fondamentali, senza di esse non ci può essere rivendicazione e affermazione del diritto.
Per questo motivo non ringrazieremo mai abbastanza le avanguardie politiche femminili, quelle che hanno saputo scrivere nuovi capitoli nelleagendepolitiche del Novecento.

Ne ricordiamo solo alcune: Maria Federici, Leonilde Iotti, Angelina Merlin,Teresa Noce, Ottavia Penna Buscemi sono le 5madri costituentid'Italia; Adele Bei, prima donna senatrice d'Italia, Ada Natali, prima donna sindaco. Accanto a loro potremmo indicare le antifasciste rinchiuse e confinate dal fascismo, le donne della Resistenza, le operaie e le contadine che spesso da sole sfidarono la polizia scioperando per il salario eccetera.
Per andare fuori dai confini d'Italia è d'obbligo citare Rosa Luxembourg, Clara Zetkin, Corinne Brown, Aleksandra Kollontaj, le donne che guidarono l'affermazione del suffragio universale femminile fra i partiti socialisti (19081909).
fu dalla volontà di queste donne che nacquero l'idea e la decisione di istituire ilWoman's Day.
La data, nei primi anni del 900, era variabile, veniva scelta in modo diverso in ogni paese, ma comunque oscillando tra la fine di febbraio e la prima metà di marzo, andando a ricordare momenti significativi per le rivendicazioni femminili nei vari Paesi.
L'8 marzo 1917, prima dell'ottobre ben più famoso, a San Pietroburgo furono ancora una volta le donne a guidare una manifestazione per chiedere la fine della guerra.
Per questo fu poi deciso che quella rimanesse la data della giornata dell'operaia, divenuta poi la giornata internazionale della donna.