Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

martedì 31 maggio 2016

Il ponte romano: a rischio i 100.000 euro dalla Regione!

Visto che sulla stampa nessuno ha ancora risposto, ho presentato l'interpellanza che trascrivo di seguito. Non vorrei che, fra le tante tragedie, Conegliano perdesse un'altra occasione... 100.000 euro già stanziati dalla Regione, basta darsi da fare.



Conegliano, 31/05/2016

Oggetto: Interpellanza sul progetto di restauro del Ponte vecchio o Ponte romano.

PREMESSO CHE

Il Decreto Legislativo n. 42/2004 ha istituito il “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”;
La Regione Veneto ha adottato norme specifiche per la tutela del paesaggio (Leggi Regionali 11/2004 e 10/2011;
Il Programma Biennale 2014/2015 ha stanziato dei Fondi per interventi di riqualificazione, risanamento e valorizzazione dei paesaggi degradati”.

CONSIDERATO CHE

- Il 15 settembre 2015 veniva firmato un protocollo di intesa tra la Regione Veneto e il Comune di Conegliano per il restauro del Ponte Vecchio (o ponte romano) posto al confine fra i Comuni di Conegliano e Susegana, secondo il quale la Regione avrebbe trasferito al Comune la somma di Euro 10.000 quale contributo per la progettazione e un massimo di Euro 93.700 per l'esecuzione delle opere;
- La relazione di progetto è stata presentata in associazione con il Comune di Susegana (che ha delegato il Comune di Conegliano per le pratiche);
- In data 23 dicembre 2015 la Giunta Regionale ha prorogato al 31 marzo 2016 i termini per la presentazione della documentazione necessaria per accedere ai fondi sopra descritti;
- In data 14 aprile 2016 la Regione, constatando la mancanza di invio delle necessarie pratiche da parte del Comune dichiarava “la presa d'atto del non interesse da parte del Comune relativamente al progetto di riqualificazione in oggetto”;
- Che in data 21 aprile il Comune di Conegliano chiedeva alla Regione una riapertura dei termini, dichiarando di non “aver materialmente potuto procedere nel corso del 2015 all'affidamento dell'incarico per il progetto.

IL SOTTOSCRITTO CONSIGLIERE CHIEDE

Quale risposta questa Amministrazione abbia ottenuto dalla Regione in merito alla richiesta di ulteriore proroga;
Come mai si sia arrivati al punto di perdere un finanziamento regionale già praticamente ottenuto;
Se, visto che il progetto investe anche un altro Comune, questa Amministrazione abbia davvero intenzione di procedere al restauro e alla riqualificazione di un manufatto di così grande importanza storica e archeologica.

martedì 24 maggio 2016

Alunni "diversi", sorrisi più grandi

Credo sia patrimonio di ogni insegnante l'esperienza della immensa soddisfazione di fronte al successo inaspettato, al dischiudersi di parole, sorrisi, risultati da parte degli allievi con più problemi alla partenza.
DSA, ovvero Disturbi Specifici dell'Apprendimento, vale a dire un mondo variegato, composito, spesso inesplicabile, di ragazzi che manifestano qualche problema in più: disortografici, dislessici, dis... qualcos'altro.
Un universo da esplorare magari con fatica, in cerca della chiave di volta, aiutati, va detto, da personale specializzato che propone strategie, pianifica rapporti, suggerisce metodi e soluzioni.
Poi rimane l'insegnante di fronte alla complessità di piccole persone dense di vissuti che spesso non raccontano, rimane soprattutto lo sforzo di capire, di scavare piccole crepe in muri che paiono a prima vista invalicabili.
A volte qualche fessura si allarga, e in fondo si vede una luce improvvisa, flebile ma anche forte, improvvisa.
C'è il ragazzo che ti scrive, con il suo italiano impreciso, che da grande vorrebbe fare l'inventore e inventare una penna che aiuti i dislessici a scrivere... e quasi ti scende una lacrima di commozione, perché lo vedi davanti a te, impegnato in uno sforzo per lui grandissimo, cioè scrivere e leggere alla stessa velocità dei compagni, che però spesso non riescono a batterlo nella velocità di comprensione dei concetti fondamentali.
E c'è quello che non parla quasi mai e se lo fa pronuncia poco più che monosillabi, che se ne sta da solo in ricreazione, che nei cambi dell'ora apre la finestra e si mette a osservare il contorno del Montello che ci fa da orizzonte.
Quello, proprio quello, un bel giorno si mette a ridere in classe, pronuncia battute che lasciano di sasso anche i compagni abituati al suo mutismo.
Lo stesso ragazzo che ha colto meglio di tutti la sintesi dell'incontro avvenuto a scuola con due parlamentari europei, superando quelle, magari ben scritte ma più superficiali di tanti suoi compagni,
quello, proprio quello, mi presenta un giorno un compito per casa difficile, l'analisi del cambio di linguaggio di Tasso nel canto della morte di Clorinda nella Gerusalemme Liberata (2 media). Quasi tutti hanno colto i fondamentali, ma lui propone una sintesi che mi lascia di sasso.
Breve, sgrammaticata ma fulminante: "All'inizio c'è dettagliato cosa succede, alla fine il dettaglio è nei sentimenti. All'inizio l'odio, alla fine il perdono".
Un luccicone appare negli occhi dell'insegnante, felice, che ha capito come il senso di un mestiere stia proprio in questi raggi di sole.

domenica 15 maggio 2016

Soldi che scompaiono e lotterie

Abbiamo appreso con gioia che l'Amministrazione Comunale ha deciso di concorrere all'iniziativa promossa dal Governo denominata "Bellezza".
Si tratta di 150 milioni di euro stanziati per concorrere al recupero di "luoghi del cuore".
Abbiamo anche letto che l'Assessorato alla Cultura propone a tutti i cittadini di segnalare, nel sito apposito del Governo, l'ex Caserma Marras.
Annosa ed irrisolta questione: da anni se ne parla, per mesi la Giunta ha sbandierato 500mila euro stanziati in Bilancio per ristrutturarne almeno il tetto: il denaro è poi magicamente scomparso.
Ora, dopo anni di colpevole inerzia, dopo che la Giunta si è dimenticata non solo dei beni culturali della città, ma anche di cercare i fondi necessari al loro restauro, ci si affida alla ruota della fortuna: immaginiamo che saranno centinaia le richieste che arriveranno da tutta Italia per spartirsi quei 150 milioni.
Bene, quindi, cercare di averne una parte, ma non ci si può dimenticare che i fondi vanno cercati per davvero.
Anche perché questa Amministrazione è abituata a rinunciare ai finanziamenti che qualche volta ottiene: così è stato per le mura del Castello e per la stessa ex Caserma Marras, così è stato, negli ultimi mesi, per il restauro del cosiddetto Ponte Romano situato al confine con Susegana, altro intervento più volte sbandierato con accenni di vero entusiasmo da parte della Giunta.
Secondo il protocollo firmato il 16 settembre 2015 il Comune di Conegliano, per conto anche di quello di Susegana, aveva ottenuto dalla Regione Veneto un finanziamento di quasi 94.000 euro, più 10.000 per le spese di progettazione proprio per il restauro del "Ponte Romano" o Ponte Vecchio di Parè, a patto di trasmettere agli Uffici regionali, entro il 31 dicembre, tutta la documentazione.
Con il nuovo anno il Comune ha chiesto una proroga dei termini, concessa fino al 31 marzo 2016.
Il 14 aprile scorso, la doccia fredda: non avendo ancora presentato la documentazione necessaria (per mancanza di tempo!!!!!), la Regione ha, testualmente, "preso atto del non interesse relativamente al progetto di riqualificazione paesaggistica finanziato con il Fondo regionale per la riqualificazione ed il risanamento del paesaggio veneto".
Fra Parè e Susegana ci sono oggi la "bretella" e un'immensa rotonda, ma il nostro Comune non ha trovato il tempo per inviare a chi di dovere quanto necessario per avviare il restauro di un altro pezzo della nostra storia.
Altro che lotterie!


domenica 8 maggio 2016

Omaggio alle portatrici carniche #centenario

Nel 1997 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro consegnò la Medaglia d'Oro al Valor Militare ai figli di Maria Plozner Mentil, portatrice carnica uccisa da un cecchino il 15 febbraio 1916.
Maria, che riposa fra gli eroi nell'Ossario di Timau, è l'unica donna ad aver ricevuto una simile onorificenza e l'unica a cui sia stata dedicata una caserma degli Alpini, a Paluzza, il suo paese.

Tante le portatrici che orgogliosamente ottennero la nomina a Cavalieri di Vittorio Veneto.

A scrivere il famoso Bollettino della Vittoria, quello firmato da Armando Diaz, fu Ferruccio Parri, il futuro comandante "Maurizio", il capo di Giustizia e Libertà e del Partito d'Azione, il primo Presidente del Consiglio dell'Italia liberata dal nazifascismo. 
L'uomo più lontano da ogni retorica bellicista, ma un italiano.
Che cos'è dunque la Patria? Perché sentirsi uniti sotto una parola, un concetto, nei decenni tirata per i capelli, strattonata per i motivi più biechi?
Che cos'era, in fondo, la Patria per le donne e gli uomini nel 1915?
Risposta facile, da secoli, per i Francesi o gli Inglesi, ma più complessa per gli Italiani, ancora guardinghi davanti a una Nazione spesso più matrigna che madre.
E che cosa voleva dire, Patria, per le popolazioni di confine, consapevoli di stare in bilico, di essere lontane dal centro del comando e più esposte ai pericoli?
Giuseppe Mazzini disse che la Patria è la casa dell'Uomo, non dello Schiavo; deve essere unita a Libertà e Indipendenza.
Ci si può scontrare su come conquistare la Libertà, ma l'Indipendenza vale, eccome.
Avremmo potuto chiederlo a quanti (e quante) temevano un'altra volta le ordinanze, gli ordini affissi sui muri scritti in tedesco.
Se la Patria, per troppi Italiani di allora, era matrigna, si trattava caso mai di mettersi insieme per cambiarla, non per distruggerla.
E per chi viveva ai confini si trattava anche della difesa di ciò che quotidianamente veniva strappato a una natura spesso ostile con tenacia, fatica, sudore.
Patria erano anche la casa, l'orto, gli animali domestici. 
Patria era la propria famiglia, il piccolo borgo arrampicato chissà come su rocce e montagne.
La gente di montagna si sa riconoscere a naso e certamente le donne della Carnia, del Comelico, della Slovenia, riconoscevano nei fanti in trincea sopra le loro teste i loro uomini, chissà dove su altre montagne.
E le donne sapevano che anche stavolta sarebbe toccato a loro cercare di salvare il salvabile, di tenere unito un tessuto sociale forte ma fragile.
Alle donne era stato insegnato anzitutto il sacrificio, unito al lavoro diuturno; le donne della montagna possiedono anche la forza e la cocciutaggine.
Nei sacrifici delle oltre duemila portatrici carniche, comelicane e anche slovene troviamo la volontà di difendere la piccola Patria di ciascuna, la consapevolezza di dover garantire la sopravvivenza a chi era rimasto a casa e a chi marciva nelle odiose trincee lassù, sopra di loro.
In chi le ingaggiò per percorrere, con 40 kg sulle spalle, senza altri mezzi che non fossero i piedi e le gerle, chilometri e chilometri di salite e discese impervie, negli uomini che affidavano loro viveri, abiti e munizioni, esisteva l'odiosa sicurezza che una donna, in fondo, costava meno di un mulo.
Tutte le donne italiane, dai gradini più alti delle classi sociali a quelli più bassi, furono parte attiva nei tanti fronti aperti dalla guerra.
Cento le Infermiere Volontarie e le suore cadute per causa di guerra, negli ospedali, migliaia le operaie impiegate a costruire proiettili, divise, vettovagliamenti, centinaia quelle costrette a prostituirsi per fame, accatastate in luoghi di quotidiana violenza.
Giù, in fondo alla scala, povere fra le povere, le portatrici.
Oggi rendiamo onore a queste ultime, al loro sacrificio, al loro diritto di essere a tutti gli effetti Cavalieri di Vittorio Veneto, pensando anche alle altre, a tutte quelle di cui si è persa la memoria.

(Queste le poche parole che ho pronunciato oggi prima dello spettacolo che le donne pensionate di CGIL CISL e UIL hanno dedicato alla memoria delle portatrici)

venerdì 6 maggio 2016

#6maggio1976 Quarant'anni fa

Monte Plauris. Foto Pierluigi Donadon
Erano stagioni "calde" quelle di qualche decennio fa; anche la periferia viveva le tensioni, sia pure smorzate, delle grandi città.
E così il rotolare di una bottiglia e quel boato improvviso di fianco alla piazza cancellarono per un istante la strana sensazione di caldo che saliva dal terreno.
Sotto il lampione che illumina Piazza Cima dalla parte del Municipio stavamo parlando dell'iniziativa politica in atto nella Sala Consiliare, indugiando all'aperto in una bella serata di primavera.
Quel boato improvviso ci fece schizzare su per le grandi scale del Comune, suggestionati dall'idea che si trattasse di una bomba, di un attentato, di una provocazione.
L'incoscienza di chi non aveva mai provato la forza tremenda della terra ci fece andare controcorrente: salivamo incontro a chi scendeva terrorizzato, urlando, mentre le scale si spostavano ondeggiando staccandosi dalla parete.
Dopo, solo qualche istante dopo, comprendemmo ciò che era successo e la parola "terremoto", fino ad allora sentita solo a scuola nell'ora di scienze, si vestì di realtà, iniziò lo straziante conteggio dei morti e dei danni.
Dopo, qualche ora dopo, in un mondo che non conosceva i social network, di bocca in bocca corsero quei nomi, noti perché vicini, perché frequentati, perché sede della naja dei tanti alpini di casa nostra.
La spaventosa tragedia che aveva colpito il Friuli divenne patrimonio comune e mentre tanti giovani partivano spontaneamente per portare aiuto, chi non poté partire, come me nemmeno quindicenne, si accorse che quella terra era davvero vicina. Buia, Gemona, Venzone, Trasaghis, Osoppo e tutti gli altri paesi distrutti o colpiti divennero per tutti noi luoghi del cuore.
Passandoci, mesi dopo, erano ancora muti, sconvolti, con le ferite aperte, con i container e macerie ancora visibili.
Tre anni dopo, in una terra che era stata fino a quel momento di emigrazione, nei piccolissimi paesi arrampicati su montagne aspre e difficili, lontani dalle grandi vie di comunicazione, vedevo coi miei occhi il ritorno alle radici, scoprivo che era in pieno rigoglio il risveglio del Friuli, ammiravo la caparbietà della sua gente che stava tornando per ricostruire tutto "dov'era e com'era": case, stalle, chiese.
Oggi lo spettacolo di Gemona e Venzone ricostruite, l'emozione di fronte alle pietre delle mura pazientemente numerate per essere rimesse al loro posto, la sapienza di una scuola di restauro che, dalla splendida Villa Manin di Passariano, riuscì a ridare volti e dignità all'arte ferita, insegnano come l'amore condiviso per la propria terra, la volontà ferrea di ricominciare e un solido controllo sociale possono compiere non miracoli, ma atti di profondissima civiltà.
Poi, dopo un altro po', comparvero, in ogni città, adesivi o volantini con una scritta che ancora oggi emoziona: El Friul al ringrasie e nol dismentée. (Il Friuli ringrazia e non dimentica)
Ho pensato spesso a quelle parole, specie tutte le numerose volte in cui ho messo piede nella Regione che dista davvero poco da qui.
Il Friuli non ha ancora dimenticato e oggi, in questo quarantesimo anniversario dalla tragedia, mostra con orgoglio ciò che è riuscito a fare.
È l'Italia, invece, che troppo spesso ha dimenticato, nelle tragedie che purtroppo sono seguite, il Friuli, l'esempio di una piccola-grande Regione e di un popolo a volte magari un po' spigoloso, ma caparbio, capace e pieno di amore per la propria terra.

domenica 1 maggio 2016

#1maggio Il lavoro

La memoria storica è qualcosa che non si cancella per decreto, l'automatismo che porta naturalmente a stare dalla parte dei più deboli non sparisce con gli anni, la convinzione che questo nostro mondo continui a rimanere profondamente ingiusto è dentro, radicata, confermata purtroppo ogni giorno.
Chi ha la mia età e condivide una storia politica a sinistra sente ancora come vivi e pulsanti i nomi di Giuseppe Di Vittorio, Placido Rizzotto, Luciano Lama, Bruno Trentin...
Si potrebbe continuare, versando qualche lacrima rivedendo con la mente le bandiere rosse, canticchiando le canzoni che hanno significato condivisione, unità, desiderio di giustizia.
Tutto giusto, sacrosanto. Significherebbe però guardare indietro, e quei grandi protagonisti di una stagione per molti aspetti eroica ci hanno  invece insegnato che bisogna guardare avanti, che bisogna leggere la realtà che cambia, che intestardirsi su linguaggi non comprensibili non serve, se non ad autoassolversi: è il mondo cattivo che non ci capisce.
Troppo comodo, una sinistra snob non serve a nessuno. Serve invece un lavoro certosino e quotidiano per comprendere una realtà sempre più complessa e interconnessa, per affrontare sfide fino a pochi anni fa inimmaginabili. Altro che "Proletari di tutto il mondo unitevi!" Oggi il mondo globalizzato ha acuito le sfide per la sopravvivenza, pare aver posto non solo i lavoratori di una parte del pianeta contro quelli meno fortunati, ma il concetto stesso di lavoro contro il pianeta.
Lavoratori occidentali soffocati da strumenti contrattuali sempre più sofisticati e ingiusti, dalla delocalizzazione, da multinazionali che si comportano come cannibali, da contratti capestro, dalla persistenza di scandali come il caporalato, i giovani costretti a non sapere come costruirsi un futuro: tutti contro quegli altri, i bambini che si avvelenano smontando da qualche parte i nostri preziosi pc e smartphone per qualche spicciolo, gli operai-schiavi, il pianeta violato da pratiche che paiono volerci portare all'autodistruzione. Lavoro vs salute: assurdo.
Pare davvero un mondo impazzito, che non ha imparato nulla da secoli di storia, di piccole e grandi conquiste, di sogni di uguaglianza.
A non cambiare è il valore del lavoro come dignità, la consapevolezza che ciò che è stato conquistato a suon di botte, scioperi, lotte infinite, è negato a una maggioranza sempre più grande di esseri umani. Solo che, dalle nostre parti, ci hanno convinto che bastino uno smartphone o molti "like" sul profilo per non aver bisogno della solidarietà, dei diritti e dei doveri.
Ancora una volta è una questione di cultura: quella che aiuterebbe le popolazioni dei paesi più poveri del mondo ad emanciparsi e quelle dei paesi fortunati a comprendere meglio da dove vengono, a comprendere che i processi economici e sociali sono più complessi di come ce li spiega qualche prima pagina di giornale, on line o cartaceo che sia, che a frugare nella spazzatura dell'"io mi arrangio e degli altri non mi importa" si incontra solo immondizia.
E allora che questo Primo Maggio possa aiutare noi tutti a guardarci intorno con onestà, che la nostra memoria storica, i nostri ideali ci aiutino a comprendere meglio il mondo, a guardare avanti, senza alibi.
La battaglia torna ad essere quella, mai finita, per affermare che il lavoro è innanzi tutto dignità, con l'aggiunta della necessità di salvare il nostro pianeta, del quale siamo ospiti e non padroni.