Poco alla volta la voce della lettrice sfuma, le parole si perdono e fluttuando compongono solo un suono, ora debole ora più forte, scandito.
Lo sguardo vaga, rapito da cornucopie floreali, graziosi mazzi messi lì a fare occhiolino grazioso tra ghirigori dorati, tra cetre e fasci di grano, lo svago e la fatica.
Un omaggio al lavoro, forse? O piuttosto il tentativo di interpretare, onorare ciò che per molti era dura fatica di vivere e per loro idea quasi sconosciuta, osservata magari nell'ovatta di un tempo di musica e poesia.
Li vedo, seduti o mollemente accomodati fra i palchi, testimoni oggi muti e rispettati in una memoria che li confonde eliminando le individualità, le singole miserie umane, magari le altezze della scienza e della conoscenza.
Miracolo di un'antica eleganza, di secoli paurosi ma che oggi vagheggiamo, noi che sentiamo la presenza collettiva degli austeri nomi dipinti sul soffitto, noi nuovi opulenti orfani di grazia, ricchi ma poveri nel cogliere davvero ciò che conta, ciò che vorremmo ma non è più.
Castelfranco Veneto, 3 dicembre 2011