Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

domenica 8 maggio 2016

Omaggio alle portatrici carniche #centenario

Nel 1997 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro consegnò la Medaglia d'Oro al Valor Militare ai figli di Maria Plozner Mentil, portatrice carnica uccisa da un cecchino il 15 febbraio 1916.
Maria, che riposa fra gli eroi nell'Ossario di Timau, è l'unica donna ad aver ricevuto una simile onorificenza e l'unica a cui sia stata dedicata una caserma degli Alpini, a Paluzza, il suo paese.

Tante le portatrici che orgogliosamente ottennero la nomina a Cavalieri di Vittorio Veneto.

A scrivere il famoso Bollettino della Vittoria, quello firmato da Armando Diaz, fu Ferruccio Parri, il futuro comandante "Maurizio", il capo di Giustizia e Libertà e del Partito d'Azione, il primo Presidente del Consiglio dell'Italia liberata dal nazifascismo. 
L'uomo più lontano da ogni retorica bellicista, ma un italiano.
Che cos'è dunque la Patria? Perché sentirsi uniti sotto una parola, un concetto, nei decenni tirata per i capelli, strattonata per i motivi più biechi?
Che cos'era, in fondo, la Patria per le donne e gli uomini nel 1915?
Risposta facile, da secoli, per i Francesi o gli Inglesi, ma più complessa per gli Italiani, ancora guardinghi davanti a una Nazione spesso più matrigna che madre.
E che cosa voleva dire, Patria, per le popolazioni di confine, consapevoli di stare in bilico, di essere lontane dal centro del comando e più esposte ai pericoli?
Giuseppe Mazzini disse che la Patria è la casa dell'Uomo, non dello Schiavo; deve essere unita a Libertà e Indipendenza.
Ci si può scontrare su come conquistare la Libertà, ma l'Indipendenza vale, eccome.
Avremmo potuto chiederlo a quanti (e quante) temevano un'altra volta le ordinanze, gli ordini affissi sui muri scritti in tedesco.
Se la Patria, per troppi Italiani di allora, era matrigna, si trattava caso mai di mettersi insieme per cambiarla, non per distruggerla.
E per chi viveva ai confini si trattava anche della difesa di ciò che quotidianamente veniva strappato a una natura spesso ostile con tenacia, fatica, sudore.
Patria erano anche la casa, l'orto, gli animali domestici. 
Patria era la propria famiglia, il piccolo borgo arrampicato chissà come su rocce e montagne.
La gente di montagna si sa riconoscere a naso e certamente le donne della Carnia, del Comelico, della Slovenia, riconoscevano nei fanti in trincea sopra le loro teste i loro uomini, chissà dove su altre montagne.
E le donne sapevano che anche stavolta sarebbe toccato a loro cercare di salvare il salvabile, di tenere unito un tessuto sociale forte ma fragile.
Alle donne era stato insegnato anzitutto il sacrificio, unito al lavoro diuturno; le donne della montagna possiedono anche la forza e la cocciutaggine.
Nei sacrifici delle oltre duemila portatrici carniche, comelicane e anche slovene troviamo la volontà di difendere la piccola Patria di ciascuna, la consapevolezza di dover garantire la sopravvivenza a chi era rimasto a casa e a chi marciva nelle odiose trincee lassù, sopra di loro.
In chi le ingaggiò per percorrere, con 40 kg sulle spalle, senza altri mezzi che non fossero i piedi e le gerle, chilometri e chilometri di salite e discese impervie, negli uomini che affidavano loro viveri, abiti e munizioni, esisteva l'odiosa sicurezza che una donna, in fondo, costava meno di un mulo.
Tutte le donne italiane, dai gradini più alti delle classi sociali a quelli più bassi, furono parte attiva nei tanti fronti aperti dalla guerra.
Cento le Infermiere Volontarie e le suore cadute per causa di guerra, negli ospedali, migliaia le operaie impiegate a costruire proiettili, divise, vettovagliamenti, centinaia quelle costrette a prostituirsi per fame, accatastate in luoghi di quotidiana violenza.
Giù, in fondo alla scala, povere fra le povere, le portatrici.
Oggi rendiamo onore a queste ultime, al loro sacrificio, al loro diritto di essere a tutti gli effetti Cavalieri di Vittorio Veneto, pensando anche alle altre, a tutte quelle di cui si è persa la memoria.

(Queste le poche parole che ho pronunciato oggi prima dello spettacolo che le donne pensionate di CGIL CISL e UIL hanno dedicato alla memoria delle portatrici)

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