Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

domenica 21 agosto 2016

Una pastina di riso, la mia isola felice grazie a Mario

Un'isola felice, in senso stretto, non esiste, ma ogni bimbo ne coltiva una dentro di sé, la frequenta e la mantiene viva nel desiderio e nelle certe speranze dell'infanzia. Poi si cresce e in parte si cambia, costretti a confrontarsi con la vita da grandi, con le responsabilità, con i progetti concreti. Solo in parte, appunto: nel fondo rimangono i ricordi, pronti ad affiorare, a portare un sorriso anche se a riportarli al presente sono le brutte notizie.
Non so quanti coneglianesi hanno conosciuto il "Cocia cocia", lo strano personaggio (che a me, bambina, pareva vecchio ma chissà quanti anni aveva, in realtà) che nelle sere d'estate girava per il viale della stazione suonando le foglie degli alberi intercalando col suo eterno "Cocia eo cocia?".
Era un po' suonato, proprio come le foglie che usava a mo' di armonica a bocca, ma non faceva male a nessuno ed era uno spasso per tutti quelli che frequentavano quel centro città in quelle pigre e calde sere. Ci avevo provato anch'io, a suonare le foglie, con risultati incerti ma di sicuro divertenti per il mio "pubblico": i miei genitori, i loro amici, fra cui Mario.
Il viale, in quelle sere, era illuminato dalle luci della stazione, dai lampioni che mostravano bene il palazzo delle Imposte Dirette e dell'Ufficio del Registro, con quel bello spazio davanti, con la fontanella e la bilancia che, oltre al peso, dava forniva anche l'oroscopo (ma come faceva? Misteri mai risolti).
C'era un'altra luce, quella che era la meta serale: aveva l'insegna azzurra scritta in corsivo (io ancora non sapevo cosa fosse il corsivo), tanti tavolini fuori, al fresco degli alberi, e dentro il banco dei gelati e delle paste. Durante la brutta stagione tanti clienti scendevano la scala interna per giocare a "boccette" in interminabili partite: laggiù c'era per me un altro mondo misterioso, addolcito dal profumo della pasticceria, lo stesso che si si sentiva camminando sul viale. Già, perché, fosse per l'odorato sviluppato o perché passando meno automobili nell'aria si sentivano più profumi.
Il mio papà e Mario erano molto amici, come si dice "mi aveva visto nascere". Mi ha sempre accolto con un sorriso, anche negli anni successivi, ma quando ero bambina, soprattutto, io sapevo che da Catanzaro c'era sempre una pastina di riso per me.
Non mi interessavano tanto le creme, le cioccolate, io volevo quella semplice pastina di riso, che solo Mario sapeva fare e che teneva per me, a qualunque ora.
Non ne ho più mangiate, da allora, perché la pastina di riso, per me, è e rimane solo quella di Mario Catanzaro.
Ora Mario non c'è più, la notizia della sua morte ha rattristato me e tutti quelli che lo hanno conosciuto, tutti siamo vicini ai suoi cari, alla sua famiglia.
Appena l'ho saputo Mario ha saputo farmi l'ultimo regalo, il ricordo del suo sorriso, del bene che mi ha voluto e di quella pastina di riso, piccola isola felice della mia infanzia

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