Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

domenica 3 novembre 2013

Per quelli che non hanno visto nessuna vittoria

Crocetta del Montello - Osservatorio del Re
Dopo giorni la pioggia era cessata, lasciando posto ad un’aria nuova, che scendeva a valle lungo il letto del fiume.
In tempi normali avrebbe trasportato l’odore dell’erba macerata nell’acqua del Piave, il profumo del bosco d’autunno, l’aroma fragrante delle castagne arrostite, l’odore invitante della legna arsa nei focolari.
Per quel popolo in armi fu il segnale: cominciava la grande corsa, la rincorsa del nemico.
L’acqua, tumultuosa e assordante nel suo scorrere impetuoso, rischiava di travolgere da un momento all’altro i ponti gettati e con essi quanti vi si trovavano sopra, era fredda, ma non c’era tempo per rendersene conto, era pericolosa, ma nessuno sembrava essersene accorto.
La riva sinistra era finalmente lì, a portata di mano, sul greto affioravano cadaveri con divise diverse, affiancati e accomunati da un medesimo destino.
Bisognava, come sempre, passare oltre, non era quello il tempo della pietà. 
[...]
Corsero per ore, sparando e rincorrendo, rincorrendo e sparando. Quel pezzo d’Italia era troppo simile a quello che avevano appena lasciato. Ovunque trincee, fangose e marce come le loro, armi abbandonate all’improvviso, uomini a terra morti o agonizzanti, reticolati, resti di postazioni d’artiglieria ormai inutili, dappertutto testimonianza di alberi sradicati, campi devastati, ruderi di abitazioni, segni di incendi appiccati che nessuno aveva tentato di spegnere.
Non c’era tempo per rendersi conto della dolcezza di quei saliscendi ora aspri ora lievi, scomparso quasi ogni segno della collina coltivata, del lavoro instancabile che per secoli i contadini avevano compiuto coltivando declivi dove era difficile imbrigliare l’acqua, dove viti e granoturco soffrivano la sete.
Non c’era più tempo per nulla: tutto un esercito rimasto fermo per troppi mesi ora percorreva chilometri in poche ore, attraversava fossi e campi, aie sconvolte e borghi ormai irriconoscibili.
La cima di ogni altura era un osservatorio nemico, a volte abbandonato repentinamente e a volte difeso strenuamente da chi era costretto da qualche strano ordine a non accettare il proprio destino.
I nomi prima solo sentiti e letti nelle mappe del tenente ora divenivano realtà: villa Jacur, con quel nome un poco esotico, il Colle della Guarda, San Daniele divennero luoghi veri.
[...]
Vincenzo e Francesco, con il passo quasi sincronizzato procedevano vicini, proteggendosi l’un l’altro, confortandosi nella stanchezza, perfino felici del rinnovato movimento. Non più costretti nelle tane come animali, con la marcia, l’attività veloce e guardinga, ricordavano le giornate passate a caccia, la ricerca di qualche pecora uscita dal gregge, l’esplorazione di territori ormai noti con la sicurezza del ritorno.
Ora, dopo mesi e mesi, quella parola cominciava ad avere un significato più preciso, assumeva contorni più certi, sentivano che il momento sarebbe arrivato presto.
Caro papà, noi abbiamo di sicuro vinto la guerra. Abbiamo passato il Piave. Da questa parte del fiume quasi tutte le case sono distrutte. Spero che fra poco tornerò a casa, anche se oggi sono triste perché il signor tenente non è più con noi. Io sto bene e mando un bacio a tutti. Vincenzo”.
 [...]
Parola importante, vittoria, che per tutti loro aveva un solo significato: tornare a casa, per sempre.

Isabella Gianelloni
Tratto dal mio romanzo "Tre volte trenta", Piazza Editore

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