Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

sabato 25 marzo 2017

La violenza sotto casa

Ancora una giovane vita spezzata, anzi due. Anzi tre. Ancora una volta è andato in scena un tragico cliché. L'aberrazione prevede donne uccise da chi non si rassegna al fatto che esse, in quanto esseri umani, rivendicano le proprie libere scelte oppure intendono mettere i propri compagni, o ex, di fronte a responsabilità che questi non vogliono riconoscere.
Quasi mai i colpevoli di femminicidio o delle varie violenze che colpiscono il mondo delle donne sono i fantomatici "mostri", il babau che popolava i nostri incubi infantili.
Ciò che è accaduto proprio qui, possiamo dire sotto casa di chi vive nella Sinistra Piave, la morte di Irina e del bimbo che portava dentro di sé per mano di un ragazzo più giovane di lei, uno studente incapace di assumersi le proprie responsabilità, ci mette di fronte a qualche ulteriore riflessione.
Purtroppo possiamo immaginare lo strazio, il dolore della famiglia di Irina, pensiamo tristemente che lei, così giovane, non potrà mai più diventare una donna, non avrà modo di sperimentare l'entusiasmo e le ansie dovute all'essere madre: tutto finito in una sera sbagliata, una sera che non doveva esserci.
Ho cercato per un istante di immaginare cosa sia accaduto nella classe dell'IPSIA di Conegliano frequentata da Mihail quella mattina di pochi giorni fa: l'appello e la scoperta di quell'assenza improvvisa, scioccante, una sberla violenta, un pugno nello stomaco in un luogo che dovrebbe essere solo di crescita, confronto, anche allegria.
Proprio in quella scuola, se non ricordo male, si era avviato un progetto che puntava a far crescere la consapevolezza nel mondo dei giovani uomini, a instillare il germe della tolleranza, del rispetto, della negazione della violenza, soprattutto quella contro le donne: il superamento delle centinaia di violenze che ogni anno si compiono in Italia contro le donne non può che passare attraverso l'educazione del genere maschile. Spero ardentemente che quel percorso continui, per i compagni di Mihail e per le donne che li circondano e che incontreranno sulla loro strada.
È una scuola difficile, quella, nella quale convivono decine di etnie diverse, nella quale si compie ogni giorno uno sforzo di integrazione, di coinvolgimento, dalla quale escono spesso, insieme a situazioni disciplinari complesse, fiori splendidi, capacità, sorprese creative, ancora più belle perché provenienti proprio da lì.
Mihail non è stato capace di scegliere la propria parte migliore, ha preferito rispondere alla paura e a un odioso richiamo tribale, non ha compreso cosa significa diventare maggiorenne, uomo, figuriamoci padre.
Ha agito in modo odioso, ha ucciso e oltraggiato la ragazza che stava per mettere al mondo un figlio suo. In una parola è morto anche lui, insieme a tutto ciò che avrebbe potuto fare della sua giovane vita. O forse no: ha solo 19 anni e la speranza di una società civile è che, pagando per ciò che ha fatto, inizi un percorso di redenzione.
Nessuno ridarà Irina e il suo bambino alla famiglia, ai suoi affetti, alla vita, al lavoro, ma le ragazze possono e devono imparare alcuni caposaldi che il movimento delle donne aveva inciso nelle giovani della mia generazione: contraccezione, consapevolezza della propria sessualità, rispetto, innanzi tutto, per se stesse. E poi, ragazze, donne di ogni età, fate attenzione, molta attenzione: chi rifiuta la vostra libertà, chi vi considera roba sua, chi vi tratta male non vi porterà mai più a fare una passeggiata romantica al chiaro di luna. Magari, per fortuna, non sempre vi ammazzerà, ma comunque non vi merita più. Lasciate perdere.

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