Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

giovedì 12 giugno 2014

Scandali e anniversari

Ho avuto il vero privilegio di militare in un Partito grande e serio, con tanti difetti (come tutti i consessi umani) dovuti alla storia in cui era nato, in cui aveva combattuto, per cui aveva lottato e nella quale viveva. 
Una cosa era però certa, sicura: la politica era concepita come un servizio, a nessuno saltava in mente di pagarsi la campagna elettorale personale, i parlamentari versavano metà dello stipendio al partito (c'è ancora qualche galantuomo, ormai molto anziano, che continua a versare parte della pensione) perché si ritenevano dei privilegiati con il dovere di ritornare agli altri parte di ciò che avevano.
Soprattutto esisteva una ferrea etica morale, alla quale non si sgarrava: "chi sbaglia lo fa a titolo personale e deve andarsene". Punto.
Ed io, oggi, al netto della storia trascorsa, dei cambiamenti avvenuti, del mondo diverso, ritengo che quella logica ferrea debba essere reintrodotta subito: siamo noi, i militanti, gli amministratori onesti, quelli che dedicano tempo (e denaro) ad un progetto di cambiamento dell'Italia e dell'Europa in cui crediamo, ad essere traditi per primi.
Non voglio guardare indietro ma mi viene spontaneo pensare a quanto mi raccontava Franco Busetto, per tanti anni dirigente e deputato del PCI, del suo ritorno dal lager di Mauthausen: il partito gli chiese conto del suo ritorno, voleva essere sicuro che, in qualche modo, non fosse sceso a compromessi coi tedeschi.
I tempi sono cambiati, per fortuna, ma il rigore morale, la coscienza dell'altissimo compito a cui sono chiamati gli amministratori DEVE tornare ad essere la regola numero uno, inderogabile e insoppromibile.
Onestà quindi, personale e intellettuale.
Nella ricorrenza di questo trentennale dalla morte di Enrico Berlinguer ciascuno ne ha ricordato ciò che riteneva più giusto, quanti lo conobbero e quanti ne hanno letto o solo sentito parlare, magari dalle pagine dei social network, spesso un frullatore di parole immagini e idee male assortite.
Per quanti lo ebbero come compagno, lo riconobbero sempre come il "segretario" il dolore è ancora vivo come allora, consapevoli che la sua scomparsa fu soprattutto prematura: tutti noi pensiamo che egli stesso avrebbe traghettato quel grande partito verso la modernità, col suo modo di fare, dolce e gentile ma fermissimo.
In questi giorni viene (come capita spesso ai morti, che da un lato non possono smentire e dall'altro non possono più "far danni") osannato, esaltato, la sua figura qualche volta tirata per i capelli verso obiettivi e visuali che non gli appartenevano. Enrico Berlinguer era un comunista italiano: 30 anni fa queste due parole insieme avevano un significato unico, peculiare, fatto di amore per il mondo e per il proprio Paese, di consapevolezza degli errori e degli orrori di una storia difficile e complessa, di sforzo per una nuova condivisione democratica come base per una completa legittimazione.
Era difficile. Berlinguer morì sacrificandosi fino all'ultimo.
Forse la sua rivincita sta nel fatto che oggi alcuni di quelli che lo deridevano e lo insultavano ne hanno fatto un'icona. A me fanno pena e un po' rabbia, forse Enrico sorriderebbe.
Al mio partito di oggi dedico queste parole, da leggere con senso storico, ben sapendo che risalgono al 1977: 
"Noi dobbiamo tenere la testa sopra il pelo dell'acqua, per continuare a pensare, a ragionare, a guardare più lontano, cioè più in là dell'immediato, per staccarci dalle vecchie rive e approdare a lidi nuovi. (...) Ecco perché diciamo che l'austerità è, sì, una necessità, ma può essere anche un'occasione per rinnovare, per trasformare l'Italia: un'occasione, certo, come ha detto qui un compagno operaio, tutta da conquistare, ma quindi da non lasciarci sfuggire. 
L'austerità per definizione comporta restrizioni di certe disponibilità a cui ci si è abituati, rinuncia a certi vantaggi acquisiti: ma noi siamo convinti che non è detto affatto che la sostituzione di certe abitudini attuali con altre, più rigorose e non sperperatrici, conduca a un peggioramento della qualità e della umanità della vita. Una società più austera può essere una società più giusta, meno diseguale, realmente più libera, più democratica, più umana". (Enrico Berlinguer, conclusioni all'assemblea degli operai comunisti lombardi, 30 gennaio 1977)

2 commenti:

  1. Una riflessione perfetta. C'è tanto lavoro da fare però, perché in trent'anni abbiamo fatto tanti passi indietro sull'etica della politica e non tutti anche i giovani (anche "dirigenti") riescono a cogliere che l'etica della politica non sta tanto nel guardare indietro per criticare gli altri che hanno sbagliato, ma guardare avanti e dopo una seria riflessione sugli errori, pensare a costruire un futuro migliore.

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