Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

domenica 8 gennaio 2017

Nino, le montagne e la libertà

Novantasei anni sono tanti e arrivarci con il sorriso sulle labbra e la voglia di sapere e fare ancora, un privilegio riservato a pochi.
Una generazione d'acciaio, quella di Nino De Marchi; erano tempi, quelli, in cui la selezione naturale e quella delle guerre, della difficoltà di vivere avevano un grande peso: sopravvivere e diventare grandi non era scontato. 
Nino, classe 1920, pareva invincibile, ormai uno dei pochissimi rimasti di quelli nati in quegli anni, il patriarca dei partigiani, degli alpini e degli alpinisti di Conegliano e dell'intera Sinistra Piave.
Le ragioni dell'anagrafe, come le chiamava lui, sono però inesorabili e nessuno può sfuggirvi, nemmeno lui, sopravvissuto non solo alla guerra, ma ai tanti dolori che ne hanno segnato l'esistenza.
Aveva perduto due compagne di vita, un fratello e, nel 2009, Giuliano, il figlio amatissimo con lo stesso nome del fratello.
Distrutto dal dolore mi disse che avrebbe preferito di gran lunga essere stato lui a morire, ma che a consolarlo c'era il fatto che gli occhi di Giuliano avevano visto, come ultima immagine, le sue amate montagne. Aveva girato il mondo, scalato innumerevoli pareti ma a prenderselo era stato proprio l'Antelao, il re del Cadore, la montagna di casa. Era orgoglioso, Nino, di quel figlio medico e alpinista che portava il proprio sapere in luoghi meno fortunati del pianeta, alle genti di montagna che strappano ogni giorno la vita a un ambiente difficile, a condizioni estreme, a profondissime ingiustizie, rimanendo legati alla propria terra e ai suoi valori.
Per la propria terra, che si chiama anche Patria, per i propri valori si può e si deve lottare, senza sconti per sé e per gli altri. 
Sempre, ai raduni partigiani, nelle celebrazioni del 25 aprile e del 4 novembre, Nino indossava i due simboli della Patria e dei valori: il cappello alpino e il fazzoletto dell'ANPI, inscindibilmente legati fra loro. Ufficiale degli alpini, dopo l'8 settembre del 1943 aveva detto basta e aveva saputo ribellarsi, come migliaia di altri giovani italiani, rifiutando l'idea di diventare davvero una propaggine della Germania nazista. 
Quando raccontava del Cansiglio, del tremendo inverno del '44 quando tutto pareva compromesso, le sue prime parole erano sempre per la gente di montagna, per quei montanari poverissimi che avevano aiutato lui e gli altri suoi compagni: più che le armi poterono la condivisione, la consapevolezza che, come spesso ricordava a tutti noi "la libertà è più facile perderla che conquistarla".
Aveva continuato ad amarla, la montagna, anche dopo, proprio perché ne aveva compreso l'essenza, cioè l'unicità di un ambiente che non fa sconti, che mette gli uomini nella condizione di comprendere cosa è davvero importante, che l'essenziale è migliore del superfluo e che, passata la guerra di Liberazione, ora poteva camminare e arrampicarsi in libertà.
Chiunque l'abbia conosciuto sa che la cifra caratteristica di Nino De Marchi era il sorriso: era un uomo buono, che non vuol dire debole. Il suo era il sorriso della consapevolezza, della coscienza a posto, di chi ne ha viste tante, di chi, soprattutto, vedeva la libertà come aggiunta e non sottrazione, come condivisione, partecipazione, educazione, non negazione, rancore, odio.
Era uno spirito indomito: appena poteva, con la voce ormai un po' arrochita dagli anni ma sempre tonante, prendeva in mano il microfono e pronunciava il suo discorso con sicurezza, parlando a braccio. 
Sempre, alla fine, ed era una consuetudine, intonava la sua canzone preferita, "Bella ciao": l'ultimo verso lo cantava alzando il tono, con un groppo alla gola e le lacrime agli occhi. "Morto per la libertà".
Lo stesso groppo alla gola, le stesse lacrime agli occhi che abbiamo noi oggi piangendo un grande vecchio, un maestro, un uomo giusto. Nino è morto libero.






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