Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

venerdì 27 gennaio 2017

#giornatadellamemoria Il male assoluto è sempre in agguato

Il male assoluto è esistito ed è sempre in agguato, là dove l'odio e l'indifferenza verso "l'altro" prendono il sopravvento. È il male assoluto non dei mostri, ma degli uomini qualunque, piccoli e insignificanti, resi onnipotenti da chi si gira dall'altra parte, quelli che rendono possibile la banalità del male.
 
Il secolo appena trascorso, quel Novecento chiamato anche il “secolo breve” è stato insieme sogno e abominio, altezza ideale e massacro organizzato, sogno democratico, avvio e morte di dittature sanguinarie. I due conflitti mondiali hanno procurato all''incirca 80 milioni di morti.
In tutto questo mare di dolore e sangue noi oggi ricordiamo ciò che difficilmente riusciremmo ad immaginare, a concepire se non avessimo visto coi nostri occhi le immagini, non avessimo letto ed ascoltato le testimonianze, ciò che le stesse vittime sopravvissute erano convinte di non dover nemmeno raccontare: nessuno ci avrebbe creduto.
Perché non si può credere che qualcuno decida di sterminare chi è diverso per un qualsiasi motivo: colore della pelle, religione, opinione, gusti sessuali, modo di vivere.
Eppure è accaduto; eppure, in parte, accade ancora: lo sterminio nei campi di concentramento nazisti degli ebrei, degli omosessuali, degli zingari, degli oppositori e di chiunque potesse essere considerato diverso è una macchia incancellabile nella storia dell’umanità, un’onta per la quale la Germania di oggi, libera e democratica, ha chiesto scusa al mondo intero.

I binari corrono sempre paralleli, il treno viaggia su di essi, ne segue le curvature ma non può cambiare direzione a piacimento.
Non potevano cambiare direzione i lunghi convogli carichi di persone gettate nei carri bestiame senza diritto di mangiare, bere, lavarsi, assistiti qualche volta dalla pietà di quanti sfidarono, anche a Conegliano, i soldati tedeschi per dare un po' d'acqua o di pane a quell'umanità sofferente.
Oggi ricordiamo la liberazione di Auschwitz: in molti si sono chiesti che cosa impedì al popolo tedesco di ribellarsi a tanta violenza, come fosse possibile non rendersi conto di quanto stava accadendo. Eppure... abbiamo poi capito che la "banalità del male" può colpire sempre, l'ha fatto ancora, con la complicità di quell'altra caratteristica tutta umana, l'indifferenza. Dobbiamo però interrogare anche la nostra coscienza nazionale: dimentichi della “banalità del male” non ci chiediamo magari perché (e scelgo questo esempio per l'importanza del protagonista) un uomo come Giuseppe Bottai, pure non antisemita, mise tanta efficienza nell'applicazione delle leggi razziali nelle scuole italiane: varate nell'estate del 1938, il ministro si impegnò al massimo perché l'anno scolastico successivo iniziasse “in regola”, cacciando professori e studenti italiani, relegandoli nella paura e nella vergogna, marchiandoli per sempre ed esponendoli, poi, alla furia nazista. Si vergognò, in seguito, visto che non ebbe il coraggio di pubblicare, nel suo “Vent'anni in un giorno” ciò che disse il 6 ottobre di quell'anno: “Riammettendo gli ebrei nell'insegnamento noi abbasseremmo il livello morale della scuola”. Il male, però, era stato fatto.

Per ogni ebreo catturato grazie alla delazione, i tedeschi davano tremila lire, che all'epoca erano una cifra importante. Cos'era la vita di altri uomini, di donne, di bambini inermi di fronte al mito del denaro?
Gli ebrei italiani erano e sono fra i più mescolati alla popolazione, da sempre inseriti nel contesto sociale, non sono distinguibili dal resto dei cittadini, avevano amici, colleghi, compagni di scuola, qualcuno era anche sinceramente fascista, eppure diecimila di loro furono caricati sui treni e mandati a morire, insieme agli oppositori, agli zingari, agli omosessuali.


Così inizia “La storia”, il romanzo più famoso di Elsa Morante:
Dove andiamo? Dove ci portano?
Al paese di Pitchipoi.
Si parte che è ancora buio, e ci s'arriva che già è buio
E' il paese dei fumi e delle urla
Ma perché le nostre madri ci hanno lasciato?
Chi ci darà l'acqua per la morte?

Quei treni arrivavano a destinazione con un carico di dolore ancora piccolo di fronte a ciò che sarebbe accaduto:
Il treno si ferma – io stavo sotto la grata, sotto l'apertura in alto – guardo, e vedo una catasta di cadaveri, non so saranno stati... sessanta, settanta cento non lo so: tutti nudi, una catasta, una montagnola, proprio vicino ai binari. Io se non sono impazzito in quel momento non impazzirò mai più...”.

I sopravvissuti iniziarono a raccontare dopo anni, qualcuno decenni, alcuni non lo fecero mai. Nessuno di loro riuscì a dimenticare, gli incubi li accompagnarono per tutta la vita.
Quella vita che, nell'orrore, aveva perduto ogni valore, insieme all'umanità, alla coscienza di sé, al pudore, ai sogni.
Orrore nell'orrore, uno spazio speciale riguarda le donne, destinate ad ulteriore dolore, umiliazione, svilimento, ridotte a corpi che i nazisti non dovevano nemmeno toccare per non diventare impuri.
"Mi hanno spogliata di tutto, completamente, di tutto di tutto di tutto. Con un vestitaccio addosso e due scarpe che non erano mai uguali, sono entrata nel campo, un inferno, in un mondo completamente nuovo".

"Eravamo nude, depilate, rapate, ridotte a non esser più delle donne, piacenti o appetibili. E questi SS che ci passavano vicino ci attraversavano con lo sguardo come se non esistessimo: fossimo state un branco di pecore o di mucche sarebbe stata la stessa cosa. La cosa mi ha umiliata profondamente".
"Quando entravi pensavi subito: come faccio quando ho le mestruazioni?. Questo è terribile perchè per almeno un mese le avevi - e naturalmente non avevi come ripararti - e anche questo voleva dire trovarsi di nuovo ridotta come una bestia. Le compagne più anziane ti dicevano: <Stai tranquilla che poi quest'altro mese non le avrai più> . All'uomo questo shock non succedeva, come non gli poteva capitare di arrivare già incinta nel campo. Molte donne erano entrate senza neppure sapere di essere incinte. Mi ricordo una volta che ho incontrato una francese, che continuava a cercare delle erbe, delle radici, le tirava fuori le ripuliva le mangiava. Diceva: <ah, per forza! Devo nutrirlo, dicono che la guerra finisce entro due mesi, devo farlo sopravvivere per quando tornerò in Francia>. E invece ne sono passati di mesi...

I ragazzi si offrivano volontari per manovrare il carro che portava il cibo nelle baracche delle donne: unica speranza per vedere, forse, la propria madre, pregando che non fosse fra i corpi morti portati fuori in braccio ogni mattina dalle altre detenute per far tornare la "contabilità" del campo.
Le donne furono doppiamente vittime, colpite nella dignità di madri, di donne, costrette a subire ciò che non avrebbero mai nemmeno immaginato: nessuna pietà per loro, nulla che permettesse loro di considerarsi ancora, semplicemente, donne.
Eppure quattro di loro rubarono dell'esplosivo per cercare di apportare danni alla fabbrica della morte: il loro sacrificio, ancora una volta, dimostrò quanta sia, da sempre e per sempre, la nostra forza, portatrici per natura di vita.
Oggi chi visita Auschwitz lo fa in silenzio, solo le guide parlano e oltre alla loro voce si sente solo lo scalpiccio delle centinaia di scarpe che calpestano il terreno, con lo stesso, inconfondibile rumore che fanno i passi dietro ai carri funebri: quello è un immenso cimitero; lì, ad ogni passo, sappiamo che in qualche modo si cammina sul dolore e sulla memoria.
Ci sono stata, ironia della sorte, un 8 marzo. Ricordo l'ingresso nel blocco 4: i gradini sono consumati dai milioni di piedi che li hanno calpestati, dentro si entra davvero nell'inferno e le lacrime cominciano a scorrere senza freno.
Lo "Ziclon B" uccideva gli esseri umani in circa 20 minuti, soffocandoli con il cianuro. Soltanto ad Auschwitz fra il 1942 e il 1943 ne furono usati 20.000 kg, la ditta produttrice guadagnò 300.000 marchi dalla sua vendita.
Per uccidere 1500 persone erano necessari 5-7 kg di veleno.
L'inferno più nero appare con le tonnellate di capelli rasati ai cadaveri prima di bruciarli, con le scarpe degli adulti e quelle dei bambini in mostra dietro immense teche, le valigie coi nomi e le date di nascita, le stoviglie portate da casa per cominciare una nuova vita. Testimonianze di vite stroncate da un inganno immane, che non avrà mai perdono.
Ogni buon padre ebreo sa che deve far studiare il proprio figlio, sa che dalla Torah imparerà i principi buoni per l'intera vita: migliaia e migliaia di paia di occhiali aiutavano occhi che non hanno più potuto vedere.
La cenere ha ricoperto per anni questo suolo, quello di Birkenau e di tutti gli altri luoghi di sterminio, in uno stillicidio di lutti, di orrore. Fra le lacrime e i pensieri del lavoro strenuo, ripagato con freddo e fame, delle torture che portavano a morte sicura, quel giorno ho chiesto alla guida come facesse a sopportare ogni giorno quel carico di dolore.
La sua risposta è stata lapidaria e mi ha fatto pensare e soffrire ancora di più: "E' un privilegio".
Aveva ragione: è un privilegio poter parlare, poter affermare, credere, volere che solo attraverso la conoscenza di ciò che è stato abbiamo la speranza che non accada mai più.


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