Cima
alla
fine
del
Quattrocento
era
già
pittore
famoso,
affermato
e
ben
pagato,
curioso
delle
novità
ma
legatissimo
alla
sua
terra.
I
paesaggi
descritti
nei
suoi
quadri,
pur
nell’allegoria
necessaria
alla
comprensione
delle
scene
sacre,
ci
offrono
una
miniera
di
informazioni
sulla
conformazione
del
territorio
della
terraferma
veneta,
sulla
presenza
degli
scambi
commerciali,
sulla
vegetazione,
fino
a
regalarci
l’immagine
più
preziosa
per
noi
coneglianesi:
la
S.
Elena
oggi
a
Washington
è
più
di
un
quadro,
è
immagine
e
mappa
della
nostra
città
di
allora,
con
il
Castello
e
la
chiesa
di
S.
Leonardo,
le
mura
lungo
il
Refosso,
il
ponte
sul
Monticano
verso
levante.
Tutto
intorno,
la
precisione
del
pittore
ci
illustra
le
povere
case
col
tetto
di
paglia
di
quanti
vivevano
fuori
dalle
mura,
la
vegetazione
rigogliosa
ma
certamente
non
controllata
e
ordinata
dall’uomo
così
come
la
conosciamo
noi
oggi.
La
strada che corre sotto è, con le dovute modificazioni dei secoli, la
stessa che oggi attraversa la città da est a ovest, la stessa che
portava a Conegliano e permetteva di scorgere da lontano il profilo
del colle più alto e che si apriva ai viaggiatori con la nobile
sequenza delle "case venetamente querule" descritte da Renato Simoni nei primi anni del 900.
Se
Conegliano
agli
inizi
del
Novecento
veniva
chiamata,
magari
con
un
po’
di
esagerato
campanilismo,
“perla
del
Veneto”,
gran
parte
della
sua
fama,
stando
ai
racconti
dei
cronisti
della
fine
del
XIX
e
dei
primi
decenni
del
XX
secolo,
veniva
proprio
dal
suo
essere
adagiata
ai
piedi
di
colli
verdissimi,
dall’insieme
armonioso
dei
palazzi
affacciati
sull’antico
Refosso
e
adornati
di
giardini
ricchi
e
curati.
Oggi
noi osserviamo l’insieme di ciò che ci trasmette la storia
millenaria della città con un sentimento che potremmo definire
“stupore distratto”. Stupore perché ci rendiamo conto di quanta
sapienza ci fosse nella costruzione, quanta ricerca dell’utile
generale, di come ciò che vediamo risponda ad un criterio generale
di armonia, stridente con la confusione e la sciatteria che spesso
contraddistinguono il costruire degli ultimi sessant’anni;
distratto perché ci perdiamo nella visione generale senza osservare
più approfonditamente anche i momenti di rottura, le crasi, le
ricerche ardite di novità, anche l’attenzione alle mode che ci
testimonia la storia dei secoli passati attraverso Conegliano.
Non possiamo ritornare al paesaggio di un tempo, sarebbe impossibile e fuori tempo. Possiamo però preservare la nostra città da altri scempi.
Fermiamoli! No ad altro cemento sulla collina del Castello!
Testo in corsivo tratto da: Isabella Gianelloni, Alberi e pietre
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