Il colle è la mia prospettiva. Le colline non sono mai le stesse, come le attività di chi studia e scrive. Dall'alto lo sguardo spazia e aiuta la fantasia, la ricerca; guardare aiuta a pensare, a mettere insieme le idee, quelle che fanno scrivere per sé o per far leggere agli altri ciò che si produce.

lunedì 13 ottobre 2014

Pizzichi di pensieri

Quando certe giornate ci avvolgono come in spire soffocanti, quando ci si guarda intorno attoniti sperando inutilmente di trovare una soluzione luminosa là dove impera una nebbia fitta, il rischio peggiore sta nella facilità con cui si perde il gusto della curiosità.
L'attesa rimane certo una buona tattica, ma rimanere col naso all'insù, immoti e con il senso dell'inutilità che si fa strada inesorabile non aiuta.
Occorre, forse, un'attesa attiva, che non è un ossimoro ma un placebo. Sì, perché un conto è scegliere di stare immobili, tutta un'altra storia avere la netta sensazione di incespicare ad ogni passo, sentire timore, un'ansia sottile e penetrante come l'uggia esterna.
Fermarsi, quindi e guardarsi intorno: anche le quattro pareti domestiche nascondono, forse, visuali nascoste, visioni impensate, occhi diversi, sguardi, chissà, amici.
Amici, parola magica, difficile, abusata e stupenda.
Ne custodisco diversi, appoggiati alle pareti delle stanze, muti per lo più ma pronti a parlare la lingua meravigliosa della sapienza e della fantasia.
Uno più di altri mi ha parlato oggi, chiamandomi all'improvviso. 
Se ne stava là, insieme agli altri, ben ordinato, paziente.
L'ho preso e aperto là dove avevo lasciato un segno buono per un giorno come questo. 

Aveva un'espressione così dolce, così tristemente docile, come se aspettasse da me la felicità, che facevo fatica a trattenermi dal baciare - dal baciare con lo stesso tipo di piacere, quasi, che avrei provato baciando mia madre - quel volto nuovo, che non somigliava più al musetto sveglio e colorito d'una gatta ribelle e perversa dal roseo nasino all'insù, ma sembrava, nella pienezza della sua malinconica prostrazione, fuso nella bontà a larghe colate appiattite e cadenti. Staccandomi dal mio amore come da una follia cronica priva di rapporti con lei, mettendomi al suo posto, mi commuovevo davanti a quella brava fanciulla abituata ad essere trattata con maniere gentili e leali e che un buon amico, quale aveva creduto che io fossi per lei, ossessionava da settimane con persecuzioni arrivate adesso, infine, al loro culmine. Assumendo un punto di vista puramente umano, esterno a noi due, nel quale non trovava posto il mio amore geloso, provavo per Albertine una pietà profonda, che, tuttavia, lo sarebbe stata di meno se non l'avessi amata. 
[...] ...strappai quella tunica che aderiva così gelosamente a un seno desiderato e, attirando a me Albertine:
Mais toi, ne veux-tu pas, voyageuse indolente,
Rêver sur mon épaule en y posant ton front?
(Marcel Proust - Sodoma e Gomorra)

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